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Garage Demy - Jacquot de Nantes


Regia:Varda Agnès

Cast e credits:
Soggetto: Jaques Demy; sceneggiatura: Agnès Varda; fotografia: Pairick Blossier, Agnes Godard, Georges Strouvè; musica: Joanna Bruzdowicz; montaggio: Marie-Jo Audiard; scenografia: Robert Nardonem Olivier Radot; costumi: Francoise Disle; suono: Aurique Delannoy; interpreti: Philippe Maron (Jacquot 1), Edouard Joubeaud (Jacquot 2), Laurente Monnier (Jacquot 3), Brigitte de Vilepoix (Marilou, la madre), Daniel Dublet (Raymond, il padre), Clement Delaroche (Yvon 1), Rody Averty (Yvon 2), Hèlèn Pors (Reine 1), Marie-Sidonie Benoist (Reine 2), Julien Mitard (Renè 1), Jeramie Bader (Renè 2), Jeramie Bernard (Yannick 1), Cedric Michaud (Yannick 2), Guillaume Navaud (Joèl), Fanny Lebreton (Genevieve); produzione. Danielle Vaugon, Agnes Varda e Perrine Bauduin, per Ciné- tamaris /Canal Plus /La Sept/ La Sofiarp/ Centre National de la Cinèmatographie; distribuzione: Mikado; origine: Francia, 1991; durata: 118'.

Trama:Nonostante la guerra, l'occupazione nazista, le bombe alleate, Jacquot vive a Nantes un'infanzia felice e serena. Costretto dal padre ad intraprendere noiosi studi di meccanica, Jacquot coltiva un sentimento così intenso che si tramuterà ben presto in vocazione: il cinema.

Critica (1):La voce di Agnés Varda, assente dal 1988, torna a farsi sentire in elevate tonalità attraverso un'opera personale e intensa, tributo d'amore verso l'uomo della sua vita recentemente scomparso, il regista Jacques Demy. Costretto in casa dalla malattia, Demy scrive ogni giorno, puntualmente, qualche pagina sulla sua infanzia a Nantes: una maniacale descrizione di luoghi, avvenimenti, personaggi emozioni, primo passo di una ricca e veridica sceneggiatura che prenderà corpo per mano di sua moglie. Traducendo le parole in immagini, la Varda compone un piccolo teatro della vita di famiglia visto coi medesimi occhi avidi e curiosi con cui il piccolo Jacquot osservava gli spettacolo di marionette o le immagini del cinematografo. Attraverso un paziente lavoro di ricostruzioni e incastri, sono trasmesse allo spettatore le emozioni di Jacquot in veste di regista in erba: gli amici coinvolti nel cast del primo film, la trepidante attesa della pellicola mandata a stampare, la delusione del primo tentativo fallito, le successive esperienze realizzate nel granaio trasformato in set per i filmini d'animazione. Lo scambio di un meccano con una cinepresa amatoriale anticipa in chiave simbolica ciò che sarà il destino di Jacquot: agli studi di meccanica impostigli dal padre, si sostituirà l'esperienza parigina dell'Ecole de Vaugirard dove il suo ostinato desiderio diventerà realtà. Così come il cinema ha cadenzato l'esistenza di Jacquot, la sua caparbia ed intensa avventura ora il cinema ne esorcizza la morte attra verso una pratica del narrare di sapore quasi medievale (e in effetti il titolo originale francese ha un sapore decisamente medievale). Come accade per la maggiore novellistica di area romanza e mediterranea, la narrazione è innanzitutto lotta contro la morte, il racconto è vita e nel raccontare si perpetua la presenza dell'uomo nel mondo, con la propria creatività e le proprie indolenze, nel contesto sociale in cui si trova ad operare, e la storia con la maiuscola a fare da sfondo importante e mai decisivo. Film per uso di memoria, personale e collettiva, e quindi militante vecchia maniera, film che parla innanzitutto di immagini e come queste immagini possono essere costruite conservate e quindi riscritte al di là dell'autore per rivelarsi, nello stesso tempo, assolutamente d'autore, Garage Demy è comunque un film d'amore. Intorno a questo aspetto ruota e si accentra l'interesse della regista: raccontare la scoperta dell'amore per il cinema, analizzare gli sviluppi di una vocazione.
L'esigenza di far rivivere le persone, gli oggetti, i luoghi che ispirarono il cinema di Demy viene brillantemente risolta con una originale trovata stilistica: l'interposizione nel racconto di spezzoni dei film di Demy che puntualizzano il rapporto tra realtà
vissute e successiva trasformazione in cinema. Episodi minuti dell'infanta di Jacquot ritornano, artisticamente rielaborati nella vasta produzione cinematografica: ad esempio la giovane vicina di casa incinta è la futura Catherine Deneuve de Les
parapluies de Cherbourg; la cantante incontrata a cena con la zia ricca diventa Ainouk Aimée in Lola. Ma la lista potrebbe continuare: Peau d'Ane, Le jouer de flute, Une chambre en ville, La baie des Anges: flash di colore di cui vediamo brevi estratti.
Un percorso parallelo superato nella difficoltà della resa dall'uso del bianco e nero (l'infanzia) alternato al colore (la realtà del bambino si trasforma in un film musicale nell'adulto).
Non paga di una intelaiatura strutturalmente e cromaticamente articolata, la Varda farcisce il tutto con elementi di stretta attualità e fa parlare Demy in persona, seduto sulla riva del mare. La cinepresa indugia amorevolmente sui lineamenti del volto segnato dal tempo, sui capelli, sulle mani con la fede d'oro per poi reimmergersi nel passato tornando a Demy bambino. Garage Demy si configura allora come tre film in uno: il primo è la cronaca dell'adolescenza attivata dai ricordi, il secondo è la fantasia forte di futura ispirazione artistica, il terzo è l'amore che suggella il tenerissimo addio di una donna al suo uomo.
Cristiana Giovannini, Segno Cinema n. 55

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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