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My Generation


Regia:Batty David

Cast e credits:
Sceneggiatura: Dick Clement, Ian La Frenais; fotografia: Ben Hodgson; montaggio: Ben Hilton; interpreti: Michael Caine - Se stesso/Narratore (V.O.), David Bailey, Joan Collins, Roger Daltrey, Dudley Edwards, Marianne Faithfull, Bárbara Hulanicki, Lulu, Paul McCartney, Terry O'Neill, David Puttnam, Mary Quant, Mim Scala, Sandie Shaw, Penelope Tree, Twiggy; produzione: Simon Fuller, Michael Caine, Dick Clement, Ian La Frenais, Fodhla Cronin O'reilly Per Raymi Films; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Gran Bretagna, 2017; durata: 85’.

Trama:Coinvolgente documentario composto da immagini d'archivio per raccontare la storia della rivoluzione culturale degli anni Sessanta a Londra. Alcuni dei più importanti nomi del mondo del cinema e della musica hanno contribuito alla produzione, con oltre 1000 ore di immagini di repertorio e più di 50 interviste filmate. Il documentario è la cronaca dell'ascesa di alcune icone degli anni Sessanta, personaggi che hanno reinventato tutto, cambiando per sempre la cultura popolare nel mondo. Filo conduttore tra i diversi contributi di alcune leggendarie figure della cultura britannica, è la voce narrante dell'attore Sir Michael Caine, che regala agli spettatori le sue riflessioni su un decennio che ha definito la musica e la creatività in Gran Bretagna.

Critica (1):My Generation non è un film cosi scontato come si potrebbe pensare leggendone qualche sintetica sinossi. C’è tutto quello che ti aspetti in un film di montaggio su quell’età indimenticata e indimenticabile che fu la swinging London: anni esplosivi che segnarono per sempre la storia del costume, della musica, del cinema ma anche, più in generale, il corso della Storia.
David Batty è un documentarista per lo più televisivo e da qui forse arriva il taglio divulgativo del film; ma non è un difetto. La capacità di affabulazione è affidata al volto sornione di Michael Caine (anche produttore), al suo accento irresistibile, al suo charme che resiste al tempo e che si insinua, inquadrato come è all’interno di un camerino come stesse sul punto di entrare in scena, tra straordinari spezzoni di film, frammenti di casting, materiali di archivio più o meno noti. E poi ci sono le interviste che si srotolano come un tappeto sulle o sotto le immagini. Caine dialoga infatti con i maggiori protagonisti di quel periodo (quelli vivi) restando però sempre fuori dall’inquadratura; raccontano aneddoti, storie, fanno osservazioni, battute, si scambiano ricordi, ridono come vecchi amici davanti a una tazza di the o con un bicchiere di wiskey in mano mentre lo spettatore si gode un viaggio nel tempo e nell’energia di quell’epoca. Non si vedono mai oggi, Marianne Faithfull, Paul McCartney, Mary Quant, Twiggy, i Rolling Stones ma si sentono parlare e le testimonianze si fanno graffiate e vissute come lo sono diventati i timbri delle loro voci mentre i loro corpi si muovo giovani e “sovversivi” sullo schermo.
C’è il cinema, ovviamente: la carriera di Caine e attraverso di lui anche la storia dell’Inghilterra di quegli anni, l’inurbamento dei provinciali, il sollevarsi della working class, il classismo della società britannica, le piccole grandi rivoluzioni della società attraverso il teatro e il cinema.
C’è la moda e attraverso i racconti dei designer, delle modelle e dei fotografi il cambiamento epocale, l’emancipazione, la sensualità, le droghe ma anche la politica e il sovvertimento di una società conservatrice come poche.
E poi, naturalmente, c’è la musica (oltre a Caine tra i produttori Simon Fuller leggendario produttore discografico e televisivo inglese) che si iscrive sulle immagini, che le scrive in prima persona, e che le persone, quelle che l’hanno fatta, ascoltata, ballata raccontano allora e oggi. Molti i pezzi di footage conosciuti, come i celebri arrivi dei Beatles in America, ma anche meno prevedibili, come le immagini dei quattro di Leverpool in condizione estatica – e confusa – mentre si aggirano all’aeroporto di ritorno dall’India.
Un film denso e intelligente, un continuum di colori, emozioni e vitalità che diventa puro godimento e dal quale si esce nostalgici e galvanizzati, divertiti e anche un po’ commossi.
Chiara Borroni, cineforum.it, 5/9/2017

Critica (2):(…) questo ritratto della Swingin' London e dei Sixties merita attenzione soprattutto nella prima parte, che intreccia l'elemento socio-economico a quello antropologico. Si insiste infatti subito su come la rivoluzione dei costumi scaturisse quasi da una (indolore) rivoluzione socio-economica. Oggi forse tende a essere sottovalutato quanto fosse non solamente mora-lista e puritana, ma ancora rigidamente classista l'Inghilterra del dopoguerra: ecco che qui si descrive come, pur senza ambire al potere politico, divenne leader di una generazione quella classe operaia da cui provenivano, fra gli altri, i membri dei Beatles e di altri gruppi storici, dai Rolling Stones agli Who (a una cui celeberrima canzone rimanda il titolo del documentario). Working class heroes, perfetti esempi di esponenti di classi marginali (fra i quali lo stesso Caine, dalle origini cockney) che ebbero improvvisamente accesso ad ambiti loro preclusi, riuscendo in molti casi a divenirne le guide: non solo musica e cinema, ma anche moda, fotografia e grafica.
S.S., Cineforum n. 568, 10/2017

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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