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Tra le nuvole - Up in the Air


Regia:Reitman Jason

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Walter Kirn; sceneggiatura: Sheldon Turner, Jason Reitman; fotografia: Eric Steelberg; musiche: Rolfe Kent; montaggio: Dana E. Glauberman; scenografia: Steve Saklad; arredamento: Linda Lee Sutton; costumi: Danny Glicker; interpreti: George Clooney (Ryan Bingham), Vera Farmiga (Alex), Anna Kendrick (Natalie), Jason Bateman (Craig Gregory), Danny McBride (Jim), Melanie Lynskey (Julie Bingham), Steve Eastin (Samuels), Chris Lowell (Kevin), Adam Rose (David), Lauren Mae Shafer (responsabile Hertz); produzione: Ivan Reitman, Jason Reitman, Jeffrey Clifford e Daniel Dubiecki per The Montecito Picture Company-Rickshaw Productions; distribuzione: Universal; origine: Usa, 2009; durata: 109’.

Trama:Ryan Bingham, è un 'tagliatore di teste' aziendale, viaggiatore professionista, abituato a vivere tra aeroporti, alberghi e automobili in affitto portandosi dietro tutto ciò di cui ha bisogno in una valigia a rotelle. Tuttavia, alle soglie dell'ambito traguardo di 10 milioni di miglia, l'incontro di Ryan con l'attraente Alex porterà scompiglio nella la sua raminga, ma ben organizzata, esistenza di viaggiatore incallito mettendolo di fronte all'opportunità di un lavoro in sede e di una vera e propria casa dove metter su famiglia...

Critica (1):(…) Up in the air è un film di sconcertante durezza e sofferenza. Per Jason Reitman, già autore di Juno, l'individuo contemporaneo, l'homo felix occidentalizzato, è un esserino fragile e disilluso. George Clooney, con la sua oramai proverbiale polentina brizzolata sul capo, interpreta il segaligno Ryan Bingham. Un raffinato, affabile, consolatorio ma infame tagliatore di teste. Un consulente esterno che piomba come la morte a falciare decine di esuberi in luoghi di lavoro impiegatizi e manageriali. Lavoro sporco svolto con classe. I mezzi busti che si susseguono davanti al viso marmoreo di Ryan sono i licenziati da un giorno all'altro, i senza futuro e con un presente totalmente incerto. C'è chi piange, chi si dispera, chi sbraita, chi minaccia a male parole, chi annuncia il suicidio (vero). Alcune facce prese dal gran calderone dei caratteristi Usa, altre quelle di veri licenziati nello sconvolgente tourbillon americano d'inizio secolo. A tutte, Ryan riserva una ramanzina sui possibili benefici del ricominciare (sussidi e rimborsi per alcuni mesi), delicati suggerimenti sui sogni da riprendere in mano (non a caso esiste l'american dream). Ma Up in the air non si ferma qui e la prende larga, anzi alta, altissima, virando fin sopra le nuvole del titolo. Ryan vive lì: 270 giorni di viaggio all'anno, prima classe aerea, hotel di discreto lusso, carte magnetiche a simboleggiare i vantaggi di superare una fila, far parte del club di questo e quell'altro. A casa, tanto, non lo aspettano né mogli né figli. E nemmeno una vera e propria dimora, tanto che è lui nei rari momenti in cui vi ritorna a riempire il bicchiere del lavandino con lo spazzolino, l'armadio vuoto con le camicie, il frigorifero con le bottigliette di liquori da minibar d'albergo. Un isolamento voluto e cercato che cela comunque smarrimento, perdita d'identità. Unico rimedio è reiterare le proprie vacue certezze: continuando a volare, salire e scendere da un aereo/città all'altro/a, senza voltarsi a guardare il baratro della propria solitudine. Saranno l'arrivo di Natalie (Anna Kendrick), la nuova giovanissima collega che vorrebbe sostituire l'esperienza "professionale" di Ryan con i licenziamenti via schermo web, della sorella in procinto di sposarsi e dell'amante Alex (una Vera Farmiga che dice «pensa a me, come fossi te con la vagina») a far scendere anche solo per un attimo Ryan a terra.
Jason Reitman lavora finemente sulla fitta tessitura di una narrazione da commedia romantica raggelata qua e là da innesti realistici (gli uffici in dismissione con le poltrone accatastate o i telefoni poggiati per terra). Il risultato è un film che scava dentro lo spirito del nostro tempo, che arriva alle traballanti radici del concetto di felicità, realizzazione e soddisfazione dell'esistenza contemporanea. Frame-stop: Clooney per un secondo barcollante, attonito, davanti a quelle foto di un' America che forse non ha mai visto. Prima che qualcuno al lavoro vi licenzi, non perdetevelo.
Davide Turrini, Liberazione, 22 /1/2010

Critica (2):Ci sono film che piacciono e si ammirano, ma di pochi ci si innamora a prima vista. Tra le nuvole (Up in the air) è uno di questi, una commedia soffice e cinica, divertente e malinconica, maschilista e femminista, finta e reale, dolce e amara, una di quelle magistrali commedie sofisticate che davano spiritosi schiaffoni con copyright americano nei 30-40. Jason Reitman, al terzo round vinto dopo Thank you for smoking e Juno, pare l' erede di Sturges, La Cava, Capra e Leisen. Siamo ad oggi e il film racconta (come Volevo solo dormirle addosso), iniziando con un pezzo di Woody Guthrie, del «tagliatore di teste» Clooney che vola per il mondo 322 giorni all' anno, col suo trolley dove non si sgualcisce mai una camicia (meglio del single di Tom Ford) e non dice «oh yeees!» come negli spot provinciali, ma spera nel premio dei 10 milioni di miglia. Cambia hostess, hotel a cinque stelle (ne vediamo sette, di eguale, freddo comfort), aeroporto, bar: viaggia molto, ma vede sempre lo stesso posto direbbe giustamente Eco. E poi va a domicilio a dare il benservito ai lavoratori in esubero col sorriso sulle labbra e la cravatta a pois. Ma una ragazza ancora più aziendalista propone di licenziare in sede con video conferenza senza viaggiare. E il nostro, convinto che anche la solitudine sia omaggio dei tempi, incontra una manager pure lei nelle nuvole: ci sarà un tentativo sentimentale, complici le convulse nozze country di una sorella di lui. Ogni scorciatoia romantica è rifiutata: il film finisce senza sconti, in un crescendo di humour e di amarezza, accostando un George Clooney mai così bravo, consapevole, simpatico (davvero il paragone con Cary Grant funziona), a 25 veri licenziati, confessi dal vero. Oltre a due presenze femminili che arricchiscono la sceneggiatura notevolissima scritta dal regista con Sheldon Turner (non a caso esperto di orrori), quasi la stessa donna in due età: la giovane carrierista e l' esperta cercano negli uomini cose diverse (dialogo tra le due degno di Cukor), due bravissime i cui nomi vanno segnati subito, Vera Farmiga e Anna Kendrick. Reitman ha il gusto della battuta (papà creò Ghostbusters) come quando svela i segreti del check-in (prima del body scanner?) parlando di sentimenti autentici, dubbi reali, solitudini vissute in business class. Ha trovate narrative di prima qualità che alzano il film, diviso in capitoli e città, subito up in the air e non lo fanno più scendere fino alla fine, senza scosse né vuoti d' aria. E Clooney è un prodigio espressivo: non sarà ora di dargli un premio?
Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 22/1/2010

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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