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Testimonianza (La) - Ha'edut


Regia:Greenberg Amichai

Cast e credits:
Sceneggiatura: Amichai Greenberg; fotografia: Moshe Mishali; musiche: Marnix Veenenbos, Walter W. Cikan; montaggio: Gilad Inbar; scenografia: Tamar Gadish; costumi: Sarit Sharara; effetti: Gabriel Wagon; interpreti: Ori Pfeffer (Yoel), Rivka Gur -(Fania), Hagit Dasberg Shamul (Rina), Ori Yaniv (Micky), Orna Rothberg (Miriam), Daniel Adari (Yonatan), Shmulik Atzmon (Yehoshua), Iréna Flury (Sylvie), Issac Heskia (rabbino), Lea Koenig (Lea), Miriam Gabrieli (Shoshana), Michaela Rosen (politica austriaca), Michael Fuith (sindaco austriaco), Irit Barak (MaliI; produzione: Gum Films, in coproduzione con Freibeuterfilm; distribuzione: Lab80 Film; origine: Austria-Israele, 2017; durata: 91’.

Trama:Yoel, un ricercatore che studia l'Olocausto, è nel mezzo di una battaglia legale, ampiamente ripresa dai media, contro interessi potenti in Austria. La questione riguarda un brutale massacro di ebrei che ebbe luogo verso la fine della Seconda guerra mondiale nel villaggio di Lendsdorf. Un'influente famiglia di industriali, sulle cui terre avvenne la strage, sta progettando di costruire un complesso immobiliare proprio in quel luogo. Yoel sospetta che il loro scopo sia quello di insabbiare il caso per sempre, ma ha difficoltà a trovare le prove definitive per fermare il progetto. Mentre svolge le sue ricerche sull'incidente, Yoel esamina testimonianze secretate di sopravvissuti all'Olocausto e, scioccato e sorpreso, ritrova una testimonianza resa dalla madre, di cui non sospettava l'esistenza. In essa, la donna confessa un fondamentale segreto del proprio passato. Yoel, che sta svolgendo una doppia ricerca, personale e scientifica, è intrappolato tra muri di silenzio. Da storico incrollabilmente dedito alla verità, decide di continuare le ricerche anche a costo di rovinare la propria vita personale e professionale.

Critica (1):Gerusalemme, oggi. Yoel è uno storico e ricercatore universitario che studia l’Olocausto, da tempo impegnato in una battaglia legale per ristabilire la verità su un brutale massacro di ebrei avvenuto nel villaggio di Lendsdorf, Austria, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Nel luogo presunto delle esecuzioni, infatti, si progetta di costruire un complesso immobiliare: cosa che implicherebbe l’inaccettabile oblio su quei fatti e l’impossibilità di trovare tracce dell’accaduto. Mentre esamina le molte testimonianze secretate dei sopravvissuti, però, lo studioso ritrova anche un’intervista a sua madre: parlando degli anni della guerra la donna svela un segreto familiare che fa entrare Yoel entra in profonda crisi. Ecco le due traiettorie del protagonista (e del nostro film): una pubblica – la lotta per ristabilire la verità e per salvare un luogo destinato al ricordo -, l’altra privata – l’indagine sul passato della propria famiglia, che mette in dubbio la sua ortodossia religiosa. Come si comporta uno storico quando si muove tra pubblico e privato? E come ci si rapporta a concetti così straordinariamente complessi come memoria (è opportuno edificare un monumento o un museo in quel luogo?) o verità (“la verità è sempre una e assoluta!”, dice Yoel… una convinzione che entrerà pian piano in crisi).
Il film dell’esordiente Amichai Greenberg mantiene questi due filoni narrativi per larghi tratti separati, creando però un sottile dispositivo di causa-effetto che pian piano li fa collidere. The Testament risulta pertanto un po’ troppo schematico, rinchiudendosi nell’esperienza privata di Yoel come simbolo di un’intera generazione di israeliani che negli ultimi decenni hanno dovuto e voluto fare i conti con la minacciosa rimozione della memoria. E allora: se la progressione narrativa manifesta qualche meccanicità di troppo, Greenberg sa ben creare un’atmosfera di forte aderenza emotiva a Yoel sfruttando un montaggio di fonti e di diverse tracce mediali con notevole rigore registico. Dalle fotografie di guerra alle conversazioni su skipe con le autorità austriache, dalle mappe della zona mutate nei decenni sino all’archivio di interviste dei reduci, il giovane regista tenta un montaggio intermediale che restituisca testimonianza di quell’orribile omicidio di massa. Un punto di vista eticamente inattaccabile.
Questa è una materia personalissima e molto sentita dal regista che, non a caso, racconta proprio l’impossiblità di Yoel di scavare nella memoria collettiva – letteralmente il terreno di Lendsdorf viene in più punti rimosso alla ricerca di tracce del passato – se non ci si riesce a conciliare prima con i traumi privati. Insomma The Testament forse non ha la maturità necessaria per indagare a fondo l’immensa complessità del tema che sceglie di raccontare, ma la sincera e rigorosa indagine del suo protagonista resta impressa nella nostra “memoria”. Un buon esordio.
Pietro Masciullo, sentieriselvaggi.it, 8/9/2017

Critica (2): “Sono stato cresciuto con la consapevolezza che essere un ebreo osservante, nonché il figlio e nipote di sopravvissuti alla Shoah, rappresentasse le radici della mia esistenza, la vera essenza della mia identità: qualcosa di più grande di me e della vita stessa. Da bambino ero incantato dalle storie dei miei nonni sulla Shoah. Sono cresciuto tra storie eroiche, incredibili, in cui la vita e la morte erano separate da una linea sottile. Per me erano le migliori storie d’avventura che ci fossero. Ma la mia vita di tutti i giorni contrastava con questo dramma. Figlio di sopravvissuti della Shoah, sono cresciuto in una famiglia priva di emozioni, dove sentivo che mancava sempre qualcosa. Qualcosa di sfuggente, che rimaneva innominato. Questo enorme abisso mi ha lasciato senza parole. Il copione del film rappresenta il mio sforzo per penetrare attraverso i muri trasparenti del silenzio”.
(Amichai Greenberg, regista)

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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