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Ignoto spazio profondo (L') - Wild Blue Yonder (The)


Regia:Herzog Werner

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Werner Herzog; fotografia: Tanja Koop, Henry Kaiser, Klaus Scheurich; musiche: Ernst Reijseger, Mola Sylla - Concordu e Tenore De Orosei, composti da Piero Pala, Massimo Roych, Gianluca Frau, Mario Siotto, Patrizio Mura; montaggio: Joe Bini; interpreti: Brad Dourif (l'Alieno), Franklin Chang-Diaz, Donald Williams, Ted Sweetser, Martin Lo, Roger Diehl, Ellen Baker, Shannon Lucid, Michael McCulley; produzione: Andre Singer, Lucki Stipetic per Werner Herzog Filmproduktion Tetramedia-West Park Pictures-France 2-Bbc-Fr2-Cnc; distribuzione: Fandango; origine: Germania-Gran Bretagna- Francia, 2005; durata: 81’.

Trama:Attraverso le parole di un alieno seguiamo un'ipotesi: cosa succederebbe se, all'improvviso, una navetta spaziale in orbita attorno alla terra non potesse più fare ritorno alla base perché le condizioni di vita sul nostro pianeta sono diventate impossibili? Per gli astronauti l'unica possibilità di scampo sarebbe quella di trovare un altro luogo dove stabilirsi. Ma inviando sulla superficie di un altro pianeta la sonda Galileo, i dati che questa riporta non sono rassicuranti: la loro, quindi, sembrerebbe destinata ad essere una missione suicida. Questa ipotesi sconfortante viene illustrata dalle parole di un alieno reduce dalla missione fallimentare di integrare la propria comunità con quella già esistente sulla terra. Gli extraterrestri vengono da The Wild Blue Yonder, un pianeta composto di elio allo stato liquido e immerso in un'atmosfera completamente ghiacciata.

Critica (1):Dentro il miraggio, dall'altra parte della "fata morgana", nel punto esatto in cui la visione si concretizza in un corpo/mondo che sembra guardarci: The Wild Blue Yonder è il passo sospeso del grande falsario, la grande estasi dell'intagliatore Herzog che sorniona ci sorprende (in)creduli e ci racconta la realtà sottosopra, sull'onda di una affabulazione che ha perso i confini e travalica tra immaginario e immaginazione... Il capolavoro "occulto" (perché persistentemente segreto nella sua lapalissiana sovversione della visione) di Venezia 62 è questo oggetto non identificato from outer space, scheggia di cinema abissale in bilico sulla polvere residua della terra, tra la profondità delle acque e l'altezza dei cieli, in sinfonica compromissione di vero e falso con la natura soggettiva delle immagini e quella oggettiva dello sguardo. Herzog s'inventa una fantascienza che letteralmente non sta né in cielo né in terra, girando un film sulle immagini filmate da altri (la NASA e i suoi astronauti; Henry Kaiser che si spinge «sotto il cielo ghiacciato», come si legge nei credits...) e facendolo a sua volta girare sull'asse di un angolo di mondo desertificato, che fa da cerniera dell'affabulazione, invertendo il senso e il controsenso di ciò che viene mostrato e osservato e narrato e svelato... Lo scherzo è scritto sul corpo strabico del grande Brad Dourif, personalissima «fantasia fantascientifica», come dice Herzog, di un alieno che, dalla fine del tempo di uno scorcio d'America popolato solo di polvere e case abbandonate, racconta i prodromi dell'apocalisse avvenuta: di come la sua stirpe aliena proveniente da un pianeta col cielo ghiacciato - il Wild Blue Yonder, appunto - si fosse segretamente insediata sul meraviglioso pianeta chiamato Terra; di come avesse tentato di integrarsi con l'Umanità per cercare di salvarla dalla fine cui si stava tragicamente indirizzando; di come l'uomo si fosse a sua volta inutilmente spinto nel cosmo, in cerca di nuovi mondi da abitare; e di come un gruppo di astronauti fosse rimasto bloccato su una sonda spaziale, impossibilitato a tornare su una Terra ormai divenuta inabitabile... L'alieno, sguardo in macchina, racconta tutto questo. Herzog, sguardo altrove, mostra asincrone visioni che si scoprono distanti dai luoghi di provenienza (gli archivi della NASA, le acque ghiacciate polari...) ma perfettamente aderenti ala performance dello sguardo herzoghiano, che è miraggio per se stesso: gli astronauti dello Shuttle STS-34 che, inconsapevoli attori, galleggiano negli spazi ristretti del loro abitacolo; qualche matematico che spiega le sue teorie a supporto della fiaba fantascientifica raccontata dal nostro alieno; un mondo abissale disperso nell'universo (e trovato nei polari fondali marini), il cui cielo appare coperto da una meravigliosa coltre di nuvole ghiacciate... Il tutto stretto nell'abbraccio ipnotico della visione musicale di una session che intreccia jazz (l'olandese Ernst Reijseger), vocalizzi e strumenti sardi (il Tenore e Cuncordu di Orosei) e sonorità senegalesi (Mola Sylla), per spingere ulteriormente il testo dell'affabulazione nella dimensione di un sincretico trip da trance.
La visione, insomma, come traccia di una digressione del senso nello sguardo d'altrove, al limite di una performance che tradisce la lettera del testo per rivelare altri universi testuali: in realtà, non è che la perenne ricerca di questo straordinario filmmaker, il tentativo di sradicare l'immagine dalla sua aderenza testuale per scoprire la stratificazione di mondi e visioni che ogni sguardo/immagine contiene. La realtà è un mondo che comprende altri mondi, perché l'alterità degli elementi è nella torsione logica ed esperienziale di chi guarda. E infatti The Wild Blue Yonder è un film sospeso sull'inversione semantica degli elementi, in una serie di visioni in cui la terra è acqua e l'acqua diviene aria per i visitatori del pianeta sommerso, la cui atmosfera «è composta da elio liquido», come dice Herzog; così come l'aria è terra su cui camminare/volteggiare per gli astronauti dello shuttle che vivono in assenza di gravità... In mezzo a tutto questo il corpo alieno di Brad Dourif, che non è solo elemento discriminante dell'invenzione fantastica ordita dal grande falsario Werner Herzog, il sembiante che con la sua presenza conferma e sovverte la realtà; ma è anche - e di conseguenza - la cerniera sulla quale ruota 1 asse prospettico dei mondi attraverso lui visualizzati e narrati. Il suo sguardo in macchina è il limite su cui si compie il passaggio dal mondo reale a quello immaginario, esattamente come sul suo corpo umano si compie la finzione dell'alterità incarnata nell'alieno proveniente dal Wild Blue Yonder.
Se a ciò si aggiunge che Brad Dourif è l'unico vero attore del film e che il suo personaggio è l'unico elemento davvero finzionale, si comprende come Herzog abbia davvero giocato su di lui l'intera sovversione su cui si basa questo suo straordinario film. Il suo sguardo in macchina è il punto focale su cui si costruisce l'intero universo di contrapposizioni dalla segnità invertita: le profondità degli abissi diventano immaginaria superficie di un mondo liquido sovrastato da un cielo ghiacciato che in realtà porta a filo d'acqua l'altezza delle nuvole..., così come le coordinate di riferimento tra sopra e sotto vengono disperse nella mancanza di gravità a bordo dello shuttle... Tutto il film è attraversato da inversioni di questo tipo, in una significazione verticale del mondo reale/immaginario che si oppone alla significazione orizzontale e circolare della rospettiva in cui è sempre inquadrato alieno Brad Dourif: non solo inquadrato in scenari che si sviluppano sulla linea di un orizzonte desertificato e infinitivo (in opposizione alla rigida conclusione degli atri mondi), ma anche ripreso da Herzog in piani ravvicinati realizzati con focali corte, e dunque inserito in quell'effetto tipicamente sferico che spine la percezione in una dimensione circolare...
Insomma un'opera che si stringe attorno alla sua formula semantica apparentemente semplice nell'opposizione tra immagini documentarie e performance finzionale, ma che poi elabora in profondità ogni suo elemento costitutivo, a conferma dell'inesausto talento visionario di un filmmaker rimasto ancor oggi tra i pochi a percorrere sino all'estremo limite il senso del proprio lavoro. Con una tensione paritetica logica e spirituale alla quale di tanto in tanto aggiunge pulsioni liriche, ironiche, ideali. Il tutto, in questo caso, con tanti ringraziamenti nei titoli di coda alla NASA: A or its sense of poetry»...
Massimo Caruso, Cineforum n. 449, 11/2005

Critica (2):Lo stesso procedimento è adottato anche in Il diamante bianco e L'ignoto spazio profondo, due film quasi gemelli per il loro voler usare proprio la musica come strumento di viaggio dentro l'abisso. Solo la musica può concepire contrasti così forti in una forma tanto lieve. Sprofondare nelle immense distese dell'oceano e sentire, al contrario, la leggerezza infinita dell'aria, viaggiare nel buio assoluto del cosmo e avere sulla pelle la sensazione di sfidare le leggi della gravità. È quasi indescrivibile la perfezione cui si arriva in questi due film. È ebbrezza continua, vertigine dei sensi, lucida sintesi di un cinema che, ormai, è andato oltre il cinema stesso, ha ritrovato la linea semplice dell'origine di tutte le cose, è riuscito a filmarla. Ecco il mondo che si dischiude sotto i nostri occhi. Vediamo per la prima volta tutto quanto ci è stato, fino ad ora, precluso. Scopriamo che lo schermo è una finestra direttamente affacciata sul precipizio dell'ignoto, e il nostro sguardo è come quello dei viandanti di Cuore di vetro, fermi verso l'orizzonte per scoprire la vera forma del mondo.
Grazia Paganelli, Segni di vita. Werner Herzog e il cinema, Il Castoro, 2008

Critica (3):Werner Herzog, grande regista e documentarista tedesco (due titoli a caso in una filmografia eccellente: Fitzcarraldo e il documentario Apocalisse nel deserto sui pozzi in fiamme in Iraq), fa con The Wild Blue Yonder (traduciamolo come "Il profondo selvaggio blu", in Orizzonti) un film tanto geniale e spiazzante da rendere difficile definirlo. E un documentario fantascientifico (definizione già contraddittoria), una proposta ipotetica, un pamphlet filosofico e scientifico, (...), un universo capovolto, un grido di dolore, un verso di Dylan Thornas... potremmo veramente andare avanti all'infinito nel tentativo (...) di fissare questa visione eccellente e lucida di ciò che siamo, di quel che faremo e di quel che sarà.
Il film propone una lettura del futuro del mondo, "eccitata" da un alieno triste che ha tentato inutilmente di fondare, al fianco degli umani ignari, una colonia sulla terra per salvare la sua specie in fuga da un pianeta morente. Ma non vi riesce perché il pianeta terra decade sotto la pressione dell' idiozia umana. E così, da un passato, che è il nostro presente, la faccia lunare di Brad Dourif (l'alieno triste) racconta di suo sogno fallito e di un modo che non c'è più. Lo fa aggirandosi, unico superstite, tra le macerie" di una qualsiasi periferia il industriale. Si rivolge a un uditorio futuro, registrando su una cassetta un messaggio per i posteri. E da qui apprendiamo che la terra ha avuto visitatori dallo spazio per decine di anni. Che sono venuti, pacifici e anonimi, dai loro pianeti morenti per trovare un loro spaziò. Ma hanno fallito. Un'apocalisse ecologica ha reso vana la vita sulla terra. Alcuni umani, unici sopravvissuti, navigano nello spazio su di una navicella spaziale, cercando altri pianeti su cui vivere. Ma andranno incontro a una missione suicida. L'alieno lunare ora immagina che gli umani tentino di colonizzare quel che fu il suo pianeta: un mondo sommerso nel liquido di elio, con il cielo ghiacciato. Non vi riusciranno e quando, passati mille anni, torneranno verso la terra, la troveranno immersa nella sua bellezza preistorica.
Ora, dovete pensare questa storia raccontata nelle forme di un documentario di fantascienza un io narrante, uomini sudi una navicella spaziale (filmati originali della Nasa), il viaggio nel pianeta con il cielo ghiacciato (immagini girate da Herzog nell'oceano sotto la calotta glaciale), qualche "intervista", nelle forme di un reportage peri posteri, e una musica antica e ipnotica. Con questi strumenti Herzog erige la sua utopia negativa, ribaltando completamente lo stereotipo dell'immaginario fantascientifico. Il viaggio degli esseri viventi (alieni e umani) nell'universo per cercare altri luoghi da abitare è una chimera. Un fallimento.
Hanno distrutto il loro habitat e scoprono che altri mondi possibili non ci sono. Herzog non vede la terra dalla luna, ma mostra la terra come fosse la luna, fuori retorica, nel suo niente desertificato di buchi e crateri, che hanno risucchiato i segni di civiltà passate. L'alieno triste sembra Orlando che va sulla luna e trova i resti dell'umanità.
La fantasia spaziale di Herzog è una visione lucida e un pianto poetico di quel che si sta perdendo: la bellezza della terra. Il finale del film vede il nostro pianeta, dopo mille anni dì assenza dell'uomo, tornare alla bellezza primitiva. Un mondo placido e imponente, che fluisce fiero e libero. Anche Herzog pensa il futuro come un ritorno al primitivo, all'arcaico. Ma lo fa da posizione d'avanguardia. La sua "invettiva" (ironica e poetica) non è un de profundis, ma il tentativo di guardare oltre, di immaginare cosa sarà il domani se il presente è quello di oggi. Il risultato è una "distopia", un'utopia negativa.
Alberto Crespi, L'Unità, 5/9/2005

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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