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Luci della sera (Le) - Laitakaupungin valot


Regia:Kaurismäki Aki

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Aki Kaurismäki; fotografia: Timo Salminen; musiche: Melrose; montaggio: Aki Kaurismäki; scenografia: Markku Pätilä; costumi: Outi Harjupatana; interpreti: Janne Hyytiäinen (Koistinen), Maria Heiskanen (Aila), Maria Järvenhelmi (Mirja), Ilkka Koivula (Lindström), Juhani Niemelä (capo dello staff ), Sergei Doudko (russo), Andrei Gennadiev (russo), Arturas Pozdniakovas (russo), Sulevi Peltola (supervisore), Sesa Lehto, Jukka Rautiainen, Antti Reini, Neka Haapanen, Santtu Karvonen (guardie di sicurezza); produzione: Aki Kaurismäki per Sputnik Oy; distribuzione: Bim; origine: Finlandia, 2006; durata: 80'.

Trama:Koistinen, é un uomo solo alla ricerca di compagnia e tenerezza, fa il guardiano notturno, e così, vagando per la città, finisce per cedere al fascino di una seducente donna, ma non sa che di lì a poco, il protettore della donna, approfittando dell'ingenuità di Koistinen, rapina una gioielleria facendo ricadere le accuse sul povero guardiano che così perderà tutto...

Critica (1):Dura poco meno di 80 minuti. Ed è firmato da uno dei pochi grandi registi europei e certamente dall'unico che afferma di essere ancora (e non per gusto della provocazione, come altri suoi colleghi nordici, ma per rigore morale demodé) "comunista". Forse è per questo che la sua casa di produzione si chiama "Sputnik Oy".
Sugli schermi italiani arriva finalmente Le luci di Faubourg (da noi tradotto Le luci della sera) l'ultimo gioiello di Aki Kaurismaki, il veterano regista (e sceneggiatore, montatore e produttore) finlandese che lo ha presentato in concorso a Cannes 2006, meritando quella Palma d'oro che non è, come al solito, ancora arrivata. Un grande film che non è riuscito a trovare ancora una robusta distribuzione oltre oceano (è italiano un coproduttore, la Bim). Forse perché, questa volta, Aki ci regala solo un "campo lungo del suo cinema", un frammento del suo gelido incantato mondo dell'innocenza dove un uomo, il guardiano notturno di un centro commerciale a Helsinki, Koistinen (Janne Hyytiainen) subisce ogni crudeltà sentimentale e materiale. Il film, che come al solito è pieno di raffinate citazioni al grande cinema muto e sonoro, dai melodrammi danesi a Vertigo di Alfred Hitchcock, chiude la trilogia della solitudine, iniziata con Drifting Cluds e proseguita in L'uomo senza passato.
Disegnato pensando a Charlie Chaplin, il personaggio catatonico non si difende dal doppio-gioco di Mirja (Maria Jarvenhelmi) una seducente donnina bionda al soldo di un "uomo d'affari", un gangster, cioè un uomo d'affari di nome Lindholm (Ikka Koivula) che lo incastra nella rapina a un gioielliere, lo manda in galera per due anni e lo fa anche picchiare selvaggiamente. Lui la vede e le chiede di sposarlo. Lei dice: prima il corteggiamento, no? Lui la porta al cinema, poi a sentire un concerto della band Melrose.
Koistinen era come immerso nella routine, beve sempre la sua birra nella luce al neon di un fast
food ambulante, davanti all'indifferenza della proprietaria (Maria Heiskanen), salvo affrontare un
trio di bestioni rapati perché hanno lasciato il cane legato fuori dal pub da un settimana senza acqua, e viene pestato spietatamente. Non chiede nulla, ed è sempre respinto. Anche dai compagni di lavoro. È un diverso.
Ma il vero super-uomo è proprio lui, Koiskinen, essenza di tutto il cinema di Aki Kaurismaki, ovvero quando la sconfitta diventa luminosa come "nuvole in viaggio". Un film "muto", tagliato dalle luci, dai vuoti e dai silenzi e dal sorriso interiore di uno tra i più grandi registi della scena internazionale. Anzi non un film, ma una nuvola con il cuore.
Mariuccia Ciotta, il manifesto, 13/01/2007

Critica (2):Il suo ispiratore è Charlie Chaplin, e scusate se è poco. Del resto fino dal titolo, Le luci del quartiere ("Laitakaupungin valot") evoca il mitico regista di Luci della città. Anche il protagonista, Koistinen, è un omino chapliniano: senza la sana aggressività di Charlot, ma suo gemello per la vocazione al silenzio, l'ostinato ottimismo, il molo di reietto) della società. "Chaplin - dice il regista. finlandese Aki Kaurismnaki - è il più grande in assoluto. In una sua singola inquadratura c'è tutto, dal dramma al comico". Se Koistinen evoca Il vagabondo, la storia ricorda quella di don José, la vittima delle seduzioni di Carmen. Una Carmen bionda, nel caso, che fa innamorare il vigile di un grande magazzino per consentire al proprio amante gangster di svaligiarlo; poi lo incastra con false prove, fornendo il capro espiatorio che la società reclama.
Ambientato nell'implacabile freddezza del quartiere Rouholathi di Helsinki, dove il mal di vivere di ciascuno si manifesta in esplosioni di violenza o si affoga nel fondo di una bottiglia, il film sposa un pessimismo radicale con un'impalpabile atmosfera da fiaba, che resta tra le caratteristiche più inimitabili del cineasta finlandese. Lo stile, infatti, è "puro Kaurismaki", al livello dei precedenti Nuvole in viaggio e L'uomo senza passato. Aki parla del suo film come dell'ultimo capitolo di una "trilogia dei perdenti. Gli altri due riguardavano rispettivamente la disoccupazione e la condizione di senza-casa; questo ha per tema la solitudine".
Vittima predestinata di chiunque, amato in silenzio dalla padrona di un chiosco di salsicce, Koistinen non si lamenta della propria vita da cani; quando la giustizia lo condanna a pagare per tutti, non denuncia chi Io ha tradito; solo alla fine, accetterà un gesto di solidarietà e d'amore. Per essere totalmente riuscito, Luci del quartiere ha forse una cosa di troppo: la parola. Lo si direbbe un film muto (ancora Chaplin?) con l'aggiunta di poche frasi; ancorché contate, però, a volte le parole sembrano di troppo. Più significativa la presenza della musica: dalla canzone "Volver" (bizzarra la coincidenza con il film di Almodovar) sui titoli di testa alle arie di "Tosca" e "La fanciulla del West", echi del melodramma al servizio di un mélo raffreddato, che ti fa toccare con mano la desolazione di vite immemori di ogni rapporto umano, dove Koistinen - come sottolinea il regista - sorride una sola volta: "quando è in prigione, perché è lì che ha trovato un po' di umanità".
Certo, non si tratta di un film per platee ecumeniche; però Kaurismaki è troppo negativo quando afferma che "non esiste più spazio per il cinema d'autore"; anche questa volta il "suo" pubblico lo seguirà, e sarà contento di averlo fatto. Pur sapendo dove Aki ci vuole portare, vediamo con ammirazione partecipe il suo film di piani e sguardi fissi, in equilibrio delicato - ma sempre padroneggiato - tra nichilismo e tenerezza. (...)
Roberto Nepoti, La Repubblica, 24/05/2006

Critica (3):

Critica (4):
Aki Kaurismäki
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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