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Tokyo Love Hotel - Sayonara kabukichô


Regia:Hiroki Ryuichi

Cast e credits:
Sceneggiatura: Haruhiko Arai, Futoshi Nakano; fotografia: Atsuhiro Nabeshima; musiche: Ayano Tsuji, Shin Yasui; montaggio: Jun'ichi Kikuchi; interpreti: Shôta Sometani (Toru), Atsuko Maeda -(Saya), Lee Eun-woo (Heya), Son Il-kwon (Chong-su), Kaho Minami (Satomi), Yutaka Matsushige (Yasuo), Nao Omori (Kazuki), Jun Murakami (Kageisha), Tomorowo Taguchi (Masashi), Oshinari Shugo (Masaya), Miwako Wagatsuma (Hinako), Aoba Kawai (Rikako), Tomu Miyazaki (Ryuhei), Asuka Hinoi (Miyu); produzione: Gambit And Happinet, The Fool And Arcimboldo, W Field; distribuzione: Tucker Film (2016); origine: Giappone, 2014; durata: 135'. VM 14

Trama:Una serie di vicende che si svolgono nell'arco di un giorno e di una notte a Kabukicho, il quartiere a luci rosse di Tokyo, sotto lo sguardo stralunato e rassegnato del giovane Toru. È lui che dirige, con pigrissima rassegnazione, lo squallido Atlas, uno dei tanti alberghi dell'amore, ed è sempre lui che, suo malgrado, fa da sponda al via vai, alle tresche, ai naufragi dei personaggi: amanti clandestini, ragazze fuggite di casa, finti talent scout, vere attrici porno, escort malinconiche, fidanzati ignari, donne delle pulizie che non sono chi dicono di essere, clienti che s'innamorano, aspiranti artiste che non disdegnano le scorciatoie.

Critica (1):L'erotismo e la sessualità giapponese sono stati visti dall'Occidente quasi sempre come un mondo raffinato e sublime anche quando si ribaltavano nel loro opposto mortifero e avvelenato. Evidentemente il mito della geisha fatica a morire. Per questo Tokyo Love Hotel di Ryuichi Hiroki è un'occasione da non perdere, almeno per sgombrare la testa (e la fantasia) dai luoghi comuni che circondano l'eros made in Japan. (...) un'idea del sesso (e delle sue mercificazioni) (...) che cancella una delle conseguenze più diffuse in occidente, e cioè il senso di peccato e di colpa: frequentare gli alberghi dell'amore non è qualcosa di cui vergognarsi. Può innescare tante reazioni, ma non quelle della colpa. (...) Ma è più interessante in questo film qualche cosa che forse nemmeno si è accorto di sottolineare ma che a uno sguardo occidentale balza all'occhio. E cioè che nessuno (e nessuna) si pente di quello che ha fatto, sia che abbia venduto il proprio corpo sia che abbia comprato quello di un altro. Se c'è qualcosa di cui chiedere scusa, quello riguarda il disonore per aver tradito la parola data (ai genitori, ai familiari, ai fidanzati). La vergogna non è mai legata alla pratica sessuale: è molto peggio e diventa un «peccato» aver detto una bugia. Perché in questo Giappone la sessualità avrà molti riti da rispettare ma sicuramente non ha rimorsi.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 29/6/2016

Critica (2):(...) il regista viene dai gloriosi pinku eiga, i soft core per adulti che dilagarono nel Giappone anni 70, e sa rendere le cose eccitanti anche evitando il nudo integrale, anzi giocando proprio su questo interdetto (...) Tokyo Love Hotel aggiorna l'archetipo di tanti film corali sugli alberghi (...) in chiave di fiaba moderna e venata di melodramma. Un melodramma soft però, come i soft core, che non prevede lutti e tragedie, e nemmeno picchi di eros (dimenticate la vertigine de L'impero dei sensi, ma anche le crudezze di Tokyo Decadence). Anzi sospende tutto dentro un universo post-adolescenziale in cui nulla è mai davvero grave o definitivo. L'unica vera tragedia, non a caso, si consuma fuori da quelle mura, e ha per oggetto una prostituta adulta (...): quasi che essere adulti fosse ormai la massima colpa in un mondo deresponsabilizzato, che non esclude i sentimenti ma li incanala dentro confini fissati in partenza. Un po' in ossequio al pudore giapponese, un po' perché i protagonisti, quasi tutti giovani o giovanissimi, vivono nell'era eternamente provvisoria del reboot e del reload. (...) Piacerà a chi ama il lato più 'morbido' e globalizzato della cultura giapponese contemporanea.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 30/6/2016

Critica (3):Le storie si inseguono in una lunga notte nel quartiere a luci rosse della capitale giapponese di Kabukicho, ispirazione di tanto immaginario. Dentro all'albergo si replicano i rituali che il regista, esordi indipendenti e poi molta produzione mainstream, filma muovendo la macchina da presa con inquadrature «storte», spesso sporche, vicine ai corpi dei personaggi, al sesso e alla loro malinconica indifferenza. Mescolando generi, suggestioni pop con un compiacimento a volte un po' stucchevole per il proprio «stile» – che non riflette uguale impatto di deflagrazione – Hiroki Ryuchi segue i suoi personaggi in situazioni ironiche, a volte esilaranti che nascondono ripetuti interrogativi sulle contraddizioni della natura umana. Lì, in quelle stanze che tutti possono scegliere sui monitor colorati, assaporando la dolcezza del cioccolatino della buonanotte, prende forma il sentimento reale della società giapponese, la paura, il peso della crisi economica, delle imposizioni sociali che obbligano alla bugia e ai sotterfugi, di un futuro che appare sempre più incerto. Tutto scivola nell'ambiguità, peccato e redenzione (...) i rapporti si confondono nella lotta disperata dei personaggi per sopravvivere. L'amore nel Tokyo Hotel può diventare molte cose.
Cristina Piccino, il manifesto, 30/6/2016

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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