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Post Mortem - Post Mortem


Regia:Larraín Pablo

Cast e credits:
Sceneggiatura: Pablo Larraín, Mateo Iribarren; fotografia: Sergio Armstrong; musiche: Alejandro Castanos, Juan Cristóbal Meza; montaggio: Andrea Chignoli; scenografia: Polin Garbisu; costumi: Muriel Parra; interpreti: Alfredo Castro (Mario Cornejo), Antonia Zegers (Nancy Puelmas), Jaime Vadell (Dott. Castillo), Amparo Noguera (Sandra), Marcelo Alonso (Víctor), Marcial Tagle (Capitano Montes); produzione: Juan De Dios Larraín Per Fabula, Canana, Autentika Production; distribuzione: Archibald Enterprise Film; origine: Cile-Messico-Germania, 2010; durata: 98’.

Trama:Cile, 1973. Il paese è in subbuglio a causa del golpe, il governo Allende sta per essere rovesciato e la gente muore per le strade. Su questo sfondo si dipanano le vicende di Mario, 50enne impiegato di un obitorio, che alla scomparsa dell'amata vicina di casa decide di andare alla sua ricerca...

Critica (1):Il più gelido horror sulla fine di Salvador Allende, Post mortem di Pablo Larrain, esce nelle sale qualche settimana dopo la Mostra di Venezia. Molto amato dalla critica, che lo aveva indicato nella rosa vincente, il film non ha conquistato però Quentin Tarantino, presidente della giuria. Il titolo però è stata una delle gemme del festival, ed è una visione irrinunciabile.
Il regista cileno di Tony Manero (premiato al Torino film festival 2008) è tornato a interloquire con il volto scarnificato di Alfredo Castro, e il suo personaggio di solitario ed emozionalmente congelato osservatore del mondo. 1973, Santiago del Cile. Larrain assume lo stesso sguardo straniato di Mario Cornejo, funzionario dell'obitorio, abituato a trascrivere i reperti delle autopsie e che assisterà alla mattanza con la banale indifferenza che fu di Karl Adolf Eichmann, l'addetto al «trasporto ferroviario» degli ebrei verso i campi di sterminio.
Stilisticamente sobrio, il film accumula tensione, ribolle ed esplode come la fontana di sangue evocata all'improvviso dal «ragioniere nazista» e sprigiona un'umanità più spaventosa della morte. Il corpo sezionato, indagato in ogni foro di proiettile, disteso sulla tavola della morgue di fronte al plotone militare che pretende un referto di suicido è quello del presidente, Allende, dai lineamenti sventrati, irriconoscibile. Chi non ne vuol sapere, compila le pratiche dell'archiviazione come il protagonista, l'ometto qualunque, né buono né cattivo, il peggiore davanti alla livida catasta di cadaveri che ingombrano l'ospedale, pronto a servire il paese di Pinochet con il suo cardigan beige, il caschetto di capelli grigi e il sorrisetto ammiccante rivolto alla vicina di casa, Nancy (Antonia Zegers), una ballerina di cabaret in via di pensionamento. Anche lei allergica ai cortei di dimostranti, all'insorgere della città e alla politica, diva frustrata nel Cile che si infiamma. Mario Cornejo segue i suoi percorsi quotidiani, la sua piccola esistenza di silenzi e appostamenti. Non visto, vede. L'unica aspirazione è conquistare la donna, che lo usa e lo illude.
Lorrain è minuziosamente crudele nei suoi tempi lenti, le geometrie visive, e un andamento iniziale da commedia, prima di trascinarci davanti ai ragazzi morti, distesi nei corridoi della clinica piantonata dai militari. Pietrificata e insostenibile immagine dell'ordinario espletamento delle funzioni di un trascrittore di referti mortuari. Una luce verde spettrale avvolge le figure dei macabri cerimonieri, medici, infermieri, becchini... il colpo di stato è fuori campo, il primo piano è per il «dopo», il Cile-complice.
Un film dell'ordinaria crudeltà, di chi assiste alla fine del mondo, ma «sono cose che non interessano alla gente», leit motiv dei politici di oggi. Per dimenticare lei e le vittime del colpo di stato militare, l'ometto deve rimuovere la paura, e sigillare la porta delle urla. In tempo reale, assistiamo alla metaforica barriera eretta dalla borghesia cilena per tenersi fuori e auto-assolversi. Una sequenza terrificante con Mario Cornejo che, dopo aver scoperto il tradimento della sua complice, accumula tavoli, sedie e armadi contro la porta del rifugio dove si sono nascosti la donna e il suo amante, un militante in fuga dalle milizie di Pinochet. Una lunga, estenuante, minuziosa performance fatta di oggetti simbolo della normalità, pietre tombali sulla memoria della Casa Rosada. Cosa mai sarà un delitto privato, direbbe monsieur Verdoux, di fronte ai delitti di stato? Ma c'è qualcuno che protesta e grida forte dall'alto della scalinata dove rotolano le vittime. Fermo immagine sul risveglio di chi era distratto mentre accadeva.
Mariuccia Ciotta, Il Manifesto, 29 ottobre 2010

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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