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Imbalsamatore (L')


Regia:Garrone Matteo

Cast e credits:

Sceneggiatura: Matteo Garrone, Massimo Gaudioso, Ugo Chiti; fotografia: Marco Onorato; scenografia: Paolo Bonfini; costumi: Francesca Leondeff; montaggio: Marco Spoletini; interpreti: Ernesto Mahieux (Peppino), Valerio Foglia Manzillo (Diego), Elisabetta Rocchetti (Deborah), Pietro Biondi (padre di Deborah), Lina Bernardi (madre di Deborah), Bernardino Terracciano (Boss), Marcella Granito (Manuela); produzione: Domenico Procacci per Fandango; distribuzione: Fandango; origine: Italia, 2002; durata: 101'.


Trama:Peppino è di piccolissima statura e fa il tassidermista in una località del litorale casertano. Quando incontra il giovane Valerio, fa di tutto per prenderlo a lavorare con sé, stringendo con lui un rapporto sempre più ambiguo. L'equilibrio fra i due viene rotto dall'arrivo di Deborah...

Critica (1):Da Psycho in poi, l’arte dell’imbalsamazione (che era l’hobby preferito del protagonista del film di Hitchcock) sembra portare fortuna ai film, visto che quello di Matteo Garrone (L’imbalsamatore) presentato con vivace successo a Cannes alla Quinzaine des Realizateurs, non si limita a confermare le qualità d’occhio e indagine dei precedenti film del regista italiano (come Terra di mezzo e Estate romana), ma libera sensazioni dense e allusive intorno ad un intreccio di attraente invenzione. Lontanamente ispirato ad un fatto di cronaca (a Roma, qualche anno fa, un giovane uccise un nano sostenendo di essere stato da questo plagiato), è un film da non perdere per chiunque creda ancora che in Italia si possano fare film, non solo fiction con attori e sceneggiature imbalsamati. Nell’hinterland attiguo alla domiziana, nelle vicinanze di Caserta, un nano esercita la tecnica della tassidermia (l’imbalsamazione degli animali) come un cultore appassionato e un po’ maniacale, isolato dal mondo, che perfezioni all’infinito una dottrina fatta di destrezza manuale e conoscenza erudita. Quando trova un giovane, seducente, desideroso di apprendere e praticare la stessa disciplina, lo porta a vivere con sé e lo introduce nei segreti della sua esistenza e della sua arte fatte di operosità diurna e libertinaggio notturno.
L’equilibrio entra inesorabilmente in crisi quando a Cremona, dove si recano per portare a termini servizi per la Camorra – imbalsamare cadaveri umani farciti di cocaina – il ragazzo incontra una ventenne che lo cattura con la voluttà del predatore. Il trio cerca maldestramente un equilibrio fin quando il nano, folle d’amore, non finisce ucciso da una pistola: la stessa con la quale cerca disperatamente di costringere il giovane ad una fuga che insieme avevano premeditato e con la quale tenta di strapparlo ad una convivenza famigliare che gli altri due avevano già iniziato nella città del nord.
Garrone allestisce con esotica fascinazione questo "crime movie" melò, circondato da un ambiente dove tutto, dalle discariche ai ristoranti sgarrupati, dai night pieni di trans e Johnny Walker ai palazzoni di cemento nel deserto, sembra un paesaggio archeologico dove chissà quale inutile civiltà si è estinta da secoli. Le inquadrature dall’angolo estremo come gli interni museali, cavernosi o imbevuti di un lusso cianotico e funereo, sembrano i riflessi di un occhio fossile attratto dalle tracce di vita come un movimento o un tepore in una landa lavica pietrificata.
La forza e le intensità del film, però, stanno nel modo in cui istruisce la spietatezza dell’uso strumentale dei sentimenti tipica del noir, smarcandosi dal suo caratteristico cinismo. Ogni personaggio possiede l’istinto involontario di una innocenza con la quale insegue l’appagamento disperato di un desiderio prima che la sopraffazione. Inutilmente. Gli attori sono, una volta tanto, più che convincenti, innanzitutto Ernesto Mahieux (il piccolo imbalsamatore, che ha alle spalle decenni di teatro e una lunga militanza nella sceneggiata, a fianco di Mario Merola), ma anche i due giovani (Valerio Foglia Manzillo ed Elisabetta Rocchetti), che esibiscono sul loro corpo le increspature intermittenti del perenne conflitto tra affetto e ambizione, ricerca dell’attenzione degli altri e angoscia della sopravvivenza, felicità e riconoscenza. È un attrito sottile e invisibile che percorre e alimenta l’intero film e che forse avrebbe meritato un finale meno sommario e definitivo: la passione per l’arte di dar forma alla morte di cui i due protagonisti maschili sono appassionati come adolescenti riempie la loro vita, il desiderio di trovare un posto e una persona nel mondo con cui vivere, li ossessiona tutti fino a scatenare la morte.
Mario Sesti, Kwcinema

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Matteo Garrone
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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