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Scarpe d'oro (Le) - Manneken Pis


Regia:Van Passel Frank

Cast e credits:
Sceneggiatura: Christophe Dirickx; fotografia: Jan Vancaillie; musica: Noordkaap; scenografia: Joahn Van Essche; montaggio: Karin Vaerenberg; interpreti: Frank Vercruyssen (Harry), Antje De Boeck(Jeanne), Ann Petersen (Denise), Wim Opbrouck (Désiré), Stany Crets(Bert), Guy Dermul (Gigi); produzione: Favourite Films, Fonds Films; distribuzione: Lucky Reed; origine: Belgio, 1996; durata: 98'.

Trama:Orfano di entrambi genitori, Harry - giovanotto arrivato a Bruxelles dalla provincia - trova ospitalità presso l'eccentrica Denise, proprietaria di un appartamento. Tra Harry e Jeanne che abita nel suo stesso sdrucito palazzo e fa la tramviera nasce un sentimento profondo, infuso di tenerezza, corretto da un'ironia sardonica..

Critica (1):Viaggia sotto il segno dell'ironia e della malinconia Le scarpe d'oro, il film con cui debutta nella regia il giovane belga Frank Van Passel . L'ironia sta nel titolo originale, "Manneken Pis", e cioè il beneaugurale fanciullo di bronzo che sull'angolo di una strada di Bruxelles emette acqua come i puttini di marmo nostrani contro cui si scagliava il perbenismo umbertino. Né buona fortuna né allegria arridono invece al protagonista del films, Herry che arriva a Bru
xelles dopo anni di orfanotrofio con una pena segreta nel cuore (è stato proprio mentre si fermava anche lui a far pipì come il simbolo bruxellese che un treno ha travolto e sterminato la sua famiglia
e con pochi capelli in testa - persi nella prima notte dopo l'incidente per il trauma. In compenso, l'attore che interpreta Herry, Frank Vercruyssen, ha una intensità che non si dimenticano - a testimoniare la ricchezza di volti e di presenze che, a cercare, offre la scena europea. E lo stesso è per Antine De Boeck, e cioè Jeanne, la giovane tranviera del tram numero 55 che gli indica dove andare a cercarsi una stanza: guarda caso dove abita anche lei, in un casermone di cemento gestito con malinconica fermezza da Denise (anche lei bravissima, Anni Petersen), una vecchia signora rimasta legata al suo sogno d'amore distrutto cinquant'anni fa da una bomba tedesca. La stanza è rimasta libera perché Martha che l'abitava, si è buttata dalla finestra lasciando un frigorifero pieno di antidepressivi - travolta forse da un'insanabile senso di colpa per essere stata una collaborazionista. L'ascensore cigola e sobbalza. Sui balconi si aprono crepe sospette. Ma tra il sesto piano dove alloggia la gaia Jeanne e il settimo dove ha sistemato le sue malinconie Herry corrono rapporti di gentile vicinato: anzi la ragazza è francamente innamorata. Anche se Herry, che fa lo sguattero ma sa cucinare deliziosi volau-vant, non riesce a rompere il silenzio del suo dolore, e gli equivoci montano persino di fronte ai gesti gentili, come quando regala alla ragazza le scarpe d'oro del titolo. Recentemente sul settimanale inglese "Time Out" Tom
Charity, sotto il titolo "Dead endes" (potremmo tradurre "senza via di uscita") ha scritto un pezzo curioso sulla voga degli "unhappy endings", del non lieto fine, invocando il ritorno alla "speranza". Ma la fine malinconica di Le scarpe d'oro si nutre di succhi ben diversi dalle mode, e sigla un film dall'anima poetica e realistica insieme, che sa come
le cose della vita tendano a non andare per il verso desiderato con stile da Frank Van Passel, che incalza i suoi personaggi con un interessante uso del teleobiettivo e disegna col colore una inedita Bruxelles povera: un debutto da ricordare.
Irene Bignardi, La Repubblica

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Critica (4):
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