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So dove sto andando - I Know where I’m Going


Regia:Powell Michael, Pressburger Emeric

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger; fotografia: Erwin Hillier; scenografia: Alfred Junge; musica: Allan Grav: suono: C.C. Stevens; montaggio: John Seabourne; interpreti: Wendy Hiller (Joan Webster), Roger Livesey (Torquil MacNeil), George Carney (il signor Webster), Pamela Brown (Catriona), Walter Hudd (Hunter), Duncan MacKechnie (capitano “Lochinvar”), Ian Sadler (Ian), Finlay Currie (Ruairidh Mor), Murdo Morrison (Kenny), Margot Fitzsimmons (Bridie), Capitano C.W.R. Knight (colonnello Barnstaple), Donald Strachan (il pastore), John Rae (il vecchio pastore), Duncan Maclntyre (suo figlio), Jean Cadell (la direttrice dell’ufficio postale), Norman Shelley (Sir Robert Bellinger), Ivy Milton (Peigi), Anthony Eustrel (Hooper), Petula Clark (Cheril), Alec Faversham (Martin), Catherine Lacey (la signora Robinson); produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger per The Archers; origine: Gran Bretagna, 1945 durata: 92’.

Trama:Joan Webster, venticinquenne, parte per l’isola di Kiloran, nelle Ebridi, dove dovrà sposare un anziano e ricco industriale. Bloccata dalla nebbia, che impedisce la traversata, si ferma nell’isola di Mull, dove conosce l’affascinante ufficiale di Marina, Torquil.

Critica (1):The Archers, la corporation che col suo nome rimanda subito a Powell e Pressburger, ha fatto nuovamente centro. La settimana scorsa la coppia inglese regista-sceneggiatore ci ha dato un film emozionante dal punto di vista artistico, Narciso nero (Black Narcissus). Ieri è stato proiettato al Cinema Sutton, nella 57° Strada Est, uno dei più convincenti film sentimentali della stagione. So dove sto andando (I Know where I’m Going) del genere boy-meets-girl, ma sviluppato in uno stile adulto e colto, una specie di dramma di suspence romantico che è recitato tanto ammirevolmente quanto ammirevolmente è stato scritto e diretto.
Wendy Hiller, di ritorno sullo schermo per la prima volta dopo Il maggiore Barbara (Major Barbara), 1941, fornisce un ritratto facile e accattivante di una giovane donna materialista che crede che il denaro sia il trampolino di lancio verso tutta la felicità della terra. A lei si accompagna magistralmente Roger Livesay nei panni di un ufficiale di marina inglese che vorrebbe convincerla altrimenti e una schiera di attori meno conosciuti, ciascuno dei quali sembra essere stato scelto per il suo ruolo con cura meticolosa. Questi personaggi minori sono personalità a tutto tondo, e quello che dicono e fanno esercita una notevole influenza sul destino dei protagonisti. In altre parole, So dove sto andando è un esempio straordinario del fare cinema come lavoro d’insieme.
A ventisei anni, Joan Webster è rappresentata come una ragazza che nella vita ha sempre saputo dove andare. E, mentre il film inizia, sta andando da Londra all’isola di Kiloran, nelle Ebridi, per sposare un anziano e ricco industriale. Una tempesta la blocca per otto giorni sull’isola di Mull in compagnia di un avvenente ufficiale di marina e di altri abitanti delle Highland, e per la prima volta nella sua vita miss Webster comincia a vivere col cuore oltre che con la testa. Questa semplice trama è sviluppata, con notevole immaginazione, intelligenza e introspezione emotiva, in una vicenda romantica assolutamente divertente ed esilarante. Praticamente tutta la storia di So dove sto andando si svolge nell’accidentata, pittoresca isola di Mull, e la popolazione scozzese e le loro abitudini sono rappresentate mirabilmente. Tutta l’atmosfera del film è ravvivata dal suono lamentoso del vento e dall’infrangersi furioso delle onde sulla costa rocciosa, dai fantasmi di antichi uomini dei clan vestiti di kilt che vegliano silenziosi sui castelli abbandonati, e dal suono delle cornamuse.
Una delle sequenze più affascinanti del film è il Ceilidh (“kayley”), un’antica canzone e danza rituale, tenuta in onore di una coppia che celebra il sessantesimo anno di matrimonio. La maggior parte della canzone e dei dialoghi durante il Ceilidh si svolge in gaelico, e per quanto incomprensibile alla maggior parte del pubblico americano, non si vorrebbe diversamente, in quanto lì si ritrova il vero spirito della gente del luogo.
So dove sto andando traccerà una linea di demarcazione tra gli spettatori, ma non eserciterà molta attrazione su quelli che si aspettano uno spettacolo di emozioni violente. Perché i personaggi in questo film sono solidi, normali e maturi esseri umani e le loro esperienze lungi dall’essere spettacolari. Ma essi, alla loro maniera tranquilla, sono personaggi molto interessanti.
Thomas M. Pryor, New York Times, 20/8/1947 (traduzione di Angela Cervi)

Critica (2):«Ho sempre desiderato fare un film su una ragazza che vuole andare su un’isola» aveva annunciato Emeric Pressburger a Michael Powell, suo co-regista/co-sceneggiatore, nel 1944.
«Alla fine del suo viaggio è così vicina che può vedere distintamente la gente sull’isola, ma una tempesta le impedisce di raggiungerla, e alla fine della tempesta non vuole più andare là, perché la sua vita è cambiata improvvisamente nel modo in cui cambiano le vite delle ragazze».
«Prima di tutto, perché vuole andare sull’isola?» aveva chiesto Powell. Pressburger aveva suggerito: «Facciamo il film e scopriamolo».
Più tardi, egli scoprì che la sceneggiatura che avevano scritto insieme per So dove sto andando era tenuta in grande considerazione alla Paramount come esempio da manuale di grande scrittura per il cinema. Il titolo del film viene da una canzone irlandese che sentiamo per la prima volta quando Joan Webster (Wendy Hill) sta lasciando Manchester per Kiloran, un’isola nelle Ebridi, dove sposerà un industriale milionario. Ma molto prima che smarrisca il suo itinerario nello stretto braccio di mare, sospettiamo che si ritroverà nell’impossibilità di sbarcare. Le onde si abbattono sulla riva come colpi di accetta, gli alberi nudi si agitano contro il cielo. «L’isola non era mai tranquilla», ricordava la Hiller. «Tutto ciò che vi cresceva si muoveva». Pressburger aveva osservato un prato battuto dai venti impetuosi e aveva dichiarato: «Questo è ciò che voglio. Queste sono le Ebridi». Non è solo il tempo che mette a rischio i progetti di Joan. Entra in scena Torquil McNeal, un affascinante giovane ufficiale di marina, per insegnarle come vanno le cose. «Da queste parti la gente è molto povera, suppongo», sospira lei. «Non è povera», precisa lui, «semplicemente non ha denaro».
Il ruolo fu assegnato a James Mason, che fu licenziato per avere preteso un trattamento da star – non gli andava a genio di vivere scomodamente nella località dove si effettuavano le riprese “giocando ai boyscouts” con il resto della troupe. Mason fu sostituito da Roger Livesay, che finì comunque per girare tutte le scene in studio. Come se Livesey in kilt non fosse una ragione sufficiente per amare il film, esso abbozza anche una vivace sequenza di apertura che ripercorre i primi venticinque anni della vita di Joan in due minuti; un’armoniosa escursione nell’immaginario allucinatorio [...]; e la fotografia emozionante di Erwin Hillier, che è spesso a un pelo dall’horror gotico. Per quanto possa valere, penso che questo sia il film più magico che Powell e Pressburger abbiano mai fatto: Narciso nero è più sexy, Duello a Berlino più audacemente costruito: Ma questo è – qual’è il termine giusto? – perfetto.
Ryan Gilbey, The Independent on Sunday, 16/2/ 2003 (traduzione di Angela Cervi)

Critica (3):

Critica (4):
Michael Powell Emeric Pressburger
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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