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Sequestri di via Altona (I)


Regia:De Sica Vittorio

Cast e credits:
Soggetto: dal dramma Les Séquestrés d'Altona di Jean Paul Sartre; sceneggiatura: Abby Mann, Cesare Zavattini; fotografia: Roberto scenografia: Ezio Frigeno; costumi: Pier Luigi Pizzi; disegni: Renato Guttuso; musica: Nino Rota sul tema della sinfonia n.11, opus 103 di Dimitri Shostakovich difetta da Franco Ferrara; suono: Ennio Sensi; montaggio: Manuel del Campo, Adriana Novelli; assistenti alla regia: Luisa Alessandri, Giuseppe Mene atti; interpreti: Sophia Loren (Johanna), Maximilian Schelf(Franz Van Gerlach), Fredric March (Albrecht von Gerlach), Robert Wagner (Werner von Gerlach), Françoise Prevost (Leni von Gerlach), Alfredo franchi (il guardiano dello stabilimento), Lucia Pelella (la moglie del guardiano), Roberto Massa (l'autista), Antonia Cianci (la governante), Carlo Antonini (ufficiale di polizia), Armando Suo (un poliziotto), Aldo Pecchioli (il cuoco), Ekkehard Schall (l'attore che impersona Arturo Ui), Rolf Tasna, Gabriele Tinti, Piero Liri, Dino de Luca, Tonino Ciani, Mirella Ricciardi (attori della compagnia brechtiana); direttore di produzione: Luciano Perugi; produzione: Carlo Ponti per Titanus (Roma)/Société Générale de Cinématophie (Paris); distribuzione: Cineteca azionale; origine: Francia/Italia, 1962; durata: 113'.

Trama:Alla fine della guerra Franz Gerlach un ufficiale della Wermacht si è rinchiuso nella soffitta della villa del padre ad Altona, un sobborgo di Amburgo. Ad evitare che Franz possa essere imprigionato e condannato per crimini di guerra, il padre e la sorella Leni lo hanno nascosto e per anni hanno sostenuto per lui la menzogna di una Germania ancora distrutta e sepolta dalle macerie. Quando, dopo tanti anni di segregazione, Franz incontra Johanna, un attrice di teatro moglie di suo fratello Werner, la vita che pareva essere assopita per sempre, ricomincia. Attraverso una serie di drammatici e appassionati incontri con Johanna, Franz apprende che Leni ed il padre gli hanno sempre mentito, che la Germania è divisa in due zone, una delle quali completamente ricostruita. Una sera Franz abbandona la sua tana e dopo un allucinante vagabondaggio per la città è arrestato. Johanna lo rintraccia ad un posto di polizia e riesce a farlo liberare. Tutti i crimini non possono essere annullati nel silenzio di una tana oscura. E' necessario pagare. Espiare anche per quanti, oggi, sono impunemente liberi. E Franz, crollando insieme al padre dalle impalcature del cantiere navale Gerlach, pagherà con la propria vita.

Critica (1):[...] è legittima - ci si può chiedere - la "riduzione" che è stata fatta del testo di Sartre? Non solo essa ci appare legittima, ma anche largamente meritevole, almeno sul piano dell'impegno civile. Tutto sommato gli sceneggiatori si sono disimpegnati senza guasti molto rilevanti, se si tiene conto che nel dramma originale la sostanza filosofica non si scinde logicamente mai dalla contingenza storica in cui si esemplifica; e, d'altra parte, un assoluto rispetto nei confronti della prima, oltre a costituire difficilmente - per la complessità del pensiero di Sartre - opera di divulgazione, avrebbe inevitabilmente ridotta l'evidenza dell`occasione" drammatica. Inevitabilmente - ripetiamo - sono rimaste nella riduzione cinematografica parti insufficienti, nella loro incompiutezza, a spiegare i concetti universali di un pensiero filosofico, e ne hanno sofferto di conseguenza alcuni personaggi, oltre a Franz stesso, come quello di Leni - che si sostituirà al fratello, sequestrata volontaria a sua volta, nella soffitta - e di Johanna, riguardo alla quale non si potrà certo comprendere nel contesto cinematografico, la ragione effettiva per cui il suo amore per Franz si risolva in uno "strumento di tortura" per entrambi. Si tratta comunque di elementi negativi che pesano sul giudizio di valore complessivo che deve essere dato al film e che si assommano a quelli, più gravi in quanta ingiustificati, che riguardano la dilatazione del personaggio di Johanna in una direzione che non serve ad altro scopo se non a quello di offrire l'occasione ad una attrice di richiamo (Sophia Loren), ma del tutta inadatta alla parte, di apparire in scena il più spesso possibile (ci riferiamo, tra l'altro alla parte iniziale del film, che la vede alla prova della recita, mentre, in Sartre ella smesso da tempo di recitare e non a caso). Rilevati tali limiti nel lavoro di Mann e Zavattini è doveroso sottolineare anche i non pochi meriti. Innanzitutto, quello di aver quadrato alla perfezione il personaggio di Gerlach padre, sia pure con il favore della concretezza che esso gode anche nelle pagine di Sartre e della prestanza dell'interprete Frederich March che lo ha fatto vibrare nell'autorità come nell'angoscia; poi quello di aver trovato, nella direzione polemica prestabilita soluzioni di notevole suggestione drammatica ove il testo, pur offrendo l'occasione, era costretto a condensarle nella successione dell'azione scenica. Per cui, Franz fa la sua sconvolgente scoperta della rinascita della Germania non più dalle pagine del "Frankfuri Zeitung" ove si parla dei "Giganti" che hanno ricostruito il paese e dei centoventi cantieri di suo padre, bensì attraverso un allucinante vagabondaggio per la città di Amburgo che lo fa assistere, mentre avverte il fastidio che suscita la lacera divisa che ancora indossa, ad una sinistra opulenza e ad un discorso teletrasmesso del ministro Strauss, che invita i cittadini a compiere il loro dovere verso lo stato. alternato a parate militari del nuovo esercito; ed infine ad una recita dell" Ui" di Brecht che suona di agghiacciante ammonimento e che induce lo stesso Franz a parteggiare apertamente per il folle dittatore satireggiato. Inoltre l'espiazione di Franz col padre non avviene più sulla Porsche, lanciata a centottanta sul Ponte del Diavolo, bensì entrambi precipitando dall'alto della gru da cui si domina il funesto impero dei Gerlach. Si tratta di due sequenze che, all'efficacia della rappresentazione, aggiungono un'ulteriore chiarificazione della concretezza entro cui intendeva svolgersi (e in massima parte si è svolto) il discorso civile dei riduttori e dei registi con essi.
La prestazione di De Sica alla realizzazione dei sequestrati di Altona è stata quella di un esecutore, ma di uno splendido esecutore. Fatte le dovute riserve per ciò che riguarda la condotta della recitazione (pensiamo che gli sarebbe stato possibile trarre una maggiore incisività tragica, non tanto dagli inadeguati Sophia Loren, Robert Wagner e Frangoise Prevost, quanto da Maximillian Schell), bisogna riconoscere che De Sica ha assolto il suo compito sul piano di un prestigioso artigianato. Basterebbe ricordare, al riguardo, oltre alle due sequenze già citate, quella dell'inizio di Albrecht von Gerlach che attraversa il suo impero in piedi sul motoscafo insofferente del peso della sua condanna, il cui regista è riuscito a trasmettere pienamente il senso di una squallida solitudine. Non possiamo che plaudire, insomma, ad un regista il quale, dopo aver legato il suo nome ad alcune delle opere più intense ed intramontabili del nostro neorealismo, cosciente ora che quella splendida stagione si è conchiusa e che una "zavattinata" come Il giudizio universale non vale a rinverdirla, ha trovato comunque il modo di disimpegnare nella direzione che I sequestrati sta almeno ad indicare, il suo indubitabile ingegno registico e la sua passione civile e democratica. Oltre tutto, ci sorge spontanea la considerazione che, mentre De Sica presta la sua opera al discorso de I sequestrati di Altona, un altro principe del neorealismo, Rossellini, non trova di meglio che occuparsi, alla maniera della "nouvelle vague", dell'Anima nera di Patroni Griffi. Lasciamo i confronti a chi abbia voglia di farli.

Leonardo Autera Bianco e nero XXIII, 12, Roma, dicembre 1962

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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