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Soy Cuba - Il mammut siberiano - Soy cuba, o mamute siberiano


Regia:Ferraz Vicente

Cast e credits:

Soggetto e sceneggiatura: Vicente Ferraz; fotografia: Tareq Daoud, Vicente Ferraz; musica: Jenny Padrón; montaggio: Dull Janiel, Mair Tavares; suono: Cesar Fernandez; produzione: Isabel Martinez, per Tres Mundos Producciones; distribuzione: Fandango; origine: Brasile, 2004; durata: 90'.

Trama:Il film è una riflessione sulle opere d'arte, per come evolvono nel tempo, a seconda delle diverse interpretazioni. Rintracciando alcuni collaboratori sovietici e cubani dell'epoca, il regista scopre, attraverso le loro parole, l'emozione che nel 1964 permeò la realizzazione del lungometraggio "Soy cuba", e tenta di comprendere come sia stato possibile trasferire certi concetti dell'epopea sovietica all'interno della cultura cubana.

Critica (1):Documentario sul ritrovamento di un film sovietico girato a Cuba negli anni Sessanta. Immagini di repertorio e del film Soy Cuba di Mikhail Kalatozov s'intrecciano a interviste ai protagonisti di quella vicenda straordinaria che fu la realizzazione di un film sulla rivoluzione cubana portato a compimento con uno sguardo sovietico.
Il brasiliano Vicente Ferraz, colpito dal ripescaggio del film Soy Cuba di Kalatozov, che Coppola e Scorsese hanno scoperto negli anni '90, decide di girare un documentario per capire in che modo un film, che pure scomparve poco dopo la sua realizzazione, abbia influito sul cinema latino-americano. Negli anni '60 Cuba si libera dall'imperialismo americano con la famosa rivoluzione che porta al potere Fidel. Una delle prime istituzioni create dai ribelli è l'Icaic (Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematograficos), il cui fondatore è Alfredo Guevara. Un gruppo di registi e tecnici, legato al movimento neorealista e alla lezione zavattiniana, inizia a lavorare per l'Icaic, e tra i registi più famosi, che s'impongono nelle competizioni internazionali,Tomas Gutierrez Aléa. Con l'interruzione dei rapporti con gli Stati Uniti, l'Unione Sovietica si fa avanti non solo nella politica, ma anche in campo culturale.
Kalatozov e altri intellettuali sovietici sbarcano a Cuba con l'intento di realizzare un film contro l'aggressione americana imperialista e che mostri a tutto il mondo l'importanza della lotta rivoluzionaria cubana, idealizzando e stilizzando ciò che quella rivoluzione ha rappresentato. I sovietici entrano così in contatto con tecnici, attori e professionisti del cinema cubano per girare un kolossal: la lavorazione del film dura due anni e vengono dispiegate moltissime energie per dar vita a Soy Cuba. Kalatozov, abituato alla grandeur sovietica, pretese 5.000 soldati per rappresentare la rivoluzione, girò tantissime volte le stesse scene per raggiungere la perfezione, perché era convinto di costruire una sorta di manifesto che inneggiasse al Socialismo e che mostrasse in modo chiaro le conseguenze devastanti del capitalismo americano. Come ricordano molte persone che hanno lavorato al film, la ricerca di Kalatozov per il dettaglio era quasi maniacale, come era forse eccessiva anche la cura del direttore della fotografia Sergeij Urusevskij per l'immagine, una cura formale che quasi schiacciava i contenuti (addirittura venne utilizzata una pellicola molto sensibile, abitualmente utilizzata dai militari sovietici per fotografare obiettivi militari), con il risultato di ottenere virtuosistiche immagini bianco e nero della ricostruita lotta cubana.
Quando il film fu terminato venne mostrato a Cuba e a Mosca, ma ai cubani non piacque quel tono melodrammatico della voce fuori campo che insistentemente ripeteva "Yo Soy Cuba", sottolineando con una certa arroganza ciò che, secondo i sovietici, era Cuba in quegli anni (i cubani lo ribattezzarono addirittura No Soy Cuba), non convinsero i tempi del film, che rispecchiavano il cinema sovietico, eccessivamente dilatati per il temperamento cubano e che non appartenevano alla cultura latina (vedi la lunga scena in cui uno studente tira una pietra alla polizia), e non piacque neanche ai moscoviti perché si dilungava troppo nel mostrare la dissolutezza degli americani, che neanche al cinema i sovietici potevano sopportare. Il film venne ritirato dopo una settimana e archiviato per sempre, finché dopo la caduta del muro di Berlino, i cambiamenti politici internazionali permisero che gli stessi americani scoprissero questo strano e interessante documento filmico anti-Usa che univa per la prima volta artisti provenienti da due mondi molto differenti che, incontrandosi, erano riusciti a scambiarsi esperienze e a confrontare la propria visione del mondo, rimanendo comunque ancorati alla propria diversità.
Il regista Ferraz "restituisce" a coloro che collaborarono al film e che hanno ormai del film un ricordo vago, una copia in videocassetta di Soy Cuba dicendo loro che quel film è oggi stato rivalutato ed è considerato un capolavoro. Interessanti sono le riflessioni che scaturiscono a proposito di questo ripescaggio del film dimenticato: quando venne realizzata questa "allucinazione bolscevica", che doveva sostenere a livello mondiale l'ideologia della rivoluzione cubana, il film venne ignorato, ora che è diventato pezzo d'archeologia, "fossile cinematografico che è riemerso come un mammut ai tropici", viene rivalutato. Un curioso destino, di cui è ricca la storia del cinema e la storia dell'arte, fatto di reinterpretazioni delle opere in base al contesto politico e culturale nel qualche esse hanno la possibilità di vivere e di essere mostrate. In Italia, grazie a Fandango che ha distribuito nelle sale sia il documentario, evento speciale all'ultima edizione di Locarno, che il film di Mikhail Kalatozov, abbiamo potuto apprezzare un "reperto filmico" che non può lasciare indifferenti, conoscendo attraverso il documentario, luci e ombre che hanno segnato la nascita di Soy Cuba, e capire meglio quel periodo storico, dai risvolti ancora oscuri, che furono i primi anni '60 a livello internazionale.
Anna Di Martino, SegnoCinema n. 137, 1-2/2006

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Vicente Ferraz
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