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Maternity Blues


Regia:Cattani Fabrizio

Cast e credits:
Soggetto: Fabrizio Cattani, dal libro "From Medea" di Grazia Verasani; sceneggiatura: Fabrizio Cattani, Grazia Verasani; fotografia: Francesco Carini; musiche: Paolo Vivaldi; montaggio: Paola Freddi; scenografia: Daniele Frabetti; costumi: Teresa Acone, Sandra Cianci; suono: Francesco Liotard; interpreti: Andrea Osvárt (Clara), Monica Birladeanu (Eloisa), Chiara Martegiani (Rina), Marina Pennafina (Vincenza), Daniele Pecci (Luigi), Elodie Treccani (Giulia), Pascal Zullino (Dott. Scalia), Giulia Weber (Trudy), Lia Tanzi (parrucchiera Rosa), Pierluigi Corallo (avvocato), Giada Colucci (dott.ssa Lucia Stregari), Franca Abategiovanni (Elsa), Amina Syed (Mari); produzione: Fulvia Manzotti e The Coproducers-Ipotesi Cinema-Faso Film; origine: Italia, 2011; durata: 95’.

Trama:Quattro donne diverse tra loro, ma legate da una colpa comune: l’infanticidio. All’interno di un ospedale psichiatrico giudiziario, trascorrono il loro tempo espiando una condanna che è soprattutto interiore: il senso di colpa per un gesto che ha vanificato le loro esistenze.
Dalla convivenza forzata, che a sua volta genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella dell’altra, germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto mai pienamente consolatorio ma che fa apparire queste donne come colpevoli innocenti.
Clara, combattuta nell’accettare il perdono del marito, che si è ricostruito una vita in Toscana, sconta gli effetti di un’esistenza basata su un’apparente normalità. Eloisa, passionale e diretta, persiste ogni volta nel polemizzare con le altre, un cinismo solo di facciata. Rina, ragazza-madre, ha affogato la figlia nella vasca da bagno in una sorta di eutanasia. Vincenza, nonostante la fede religiosa sarà l’unica a compiere un atto definitivo contro se stessa. Ha ancora due figli, fuori, e per loro riempie pagine di lettere che non spedirà mai.

Critica (1):Lo chiamano baby blues quel sentimento di angoscia, paura, tristezza che assale tante donne dopo il parto. E che in alcuni casi diviene intollerabile, scatenando una sorta di furia verso quel tiglio che pretende l'assoluto, che ha invaso ogni spazio di vita, il sonno, le relazioni, il corpo... E può anche accadere che lo uccidano questo figlio come hanno fatto le protagoniste di Maternity Blues, il film di Fabrizio Cattani: quattro figure femminili e quattro storie diverse e anche vicine, di donne, madri che hanno ucciso e che si incontrano nell'ospedale psichiatrico in cui sono state rinchiuse. l giorni sono la lotta con se stesse, coi propri ricordi, con la colpa, con gli affetti rimasti fuori, con le figure sbiadite degli uomini, padri e mariti che le hanno lasciate sole.
Clara (Andrea Osvart) ha annegato i suoi figli. Nella comunità di cura che l'accoglie incontra Rina. Vincenza, e Eloisa, ognuna come lei col peso dei propri fantasmi...lntanto il marito prova a ricominciare, a lasciarsi alle spalle il ricordo della loro relazione e della tragedia..
Cattani lavora a partire dal testo teatrale di Grazia Verasani, From Medea, in cui l'autrice sin dal titolo prova a ripercorrere questo mito e tabù insostenibile nella nostra società, la madre assassina, radicalmente conflittuale con l'idea di donna/madre. Non tutte le donne nascono madri, dice il film, rivendicando perciò l'assunto di una maternità come idea culturale, e sempre di più oggi, come scelta e non scontata evidenza. Il soggetto è difficile, Cattani nell'affrontarlo attraverso la poetica dei suoi personaggi non sembra però arrivare a una scrittura sfumata, finendo col ridurre a un certo schematisrho la lettura del loro gesto. E le potenzialità che lascia intravedere, non riescono a arrivare a un compimento.
Inoltre: perché lasciare fuori campo i maschi, mariti o compagni o quant'altro? Se l'idea, appunto, è quella di mettere in discussione la lettura naturale della maternità, allora è possibile che gli uomini siano solo accessori? Possibile che non abbiano nessuna responsabilità? Dove sono quando le loro compagne stanno male? Increduli o attoniti di fronte I'Horrore», non sanno guardare i gesti del malessere e dei disagio? O è piuttosto una situazione di comodo in cui i soliti schermi – culturali e sociali – si replicano stancamente?
Cristina Piccino, Il Manifesto, 27/4/2012

Critica (2):Quattro donne, quattro madri che, per motivi diversi portate alla disperazione, hanno ucciso i propri figli. Un evento che le ha portate a ritrovarsi in un istituto psichiatrico, confrontandosi e aiutandosi a vicenda, nel tentativo di recuperare ciò che avevano e hanno ora perduto. Maternity Blues si snoda come una variazione sul tema. Un film in cui quattro storie principali si incrociano tra di loro, andando ad amplificare il tema centrale, declinandolo in più versioni, tra loro simili, ma diverse al tempo stesso. A queste si vanno ad accostare altri fili narrativi che le attraversano, le arricchiscono oppure creano altre linee tangenti.
Una narrazione che si fa via via complessa, anche da un punto di vista temporale. Seppur si scelga il personaggio di Clara, l'ultima arrivata all'istituto, come punto di vista privilegiato, in ognuna di queste storie, infatti, il passato viene a sostituirsi al presente più e più volte. Ma non si tratta di semplici flashback bensì, in questo caso, il passato rappresenta una presenza costante che pesa inevitabilmente sulle vicende presenti e future delle protagoniste, andandole a definire, non solo perché la società le addita come infanticide, ma perché loro stesse non riescono a superarlo, bloccate in una sorta di limbo mentale dal quale è difficile uscire. Guardare al passato è per loro come sprofondare di nuovo nell'acqua, elemento simbolo di vita e di morte al tempo stesso, che lega le quattro donne, rivivere una colpa che le accompagna costantemente.
Fabrizio Cattani tratta così un tema delicato e di cui, spesso, poco si parla come quello della depressione post partum, esplorando la mente delle protagoniste ed evidenziando come ognuna di loro reagisca in modo diverso: chi si nasconde dietro una finta spavalderia, chi trova rifugio nella religione, chi ancora non smette di sognare e continua a sperare. Un avvicinarsi a queste donne che si riflette anche nella vicinanza della macchina da presa, mai invasiva, sempre a una distanza di sicurezza, ma comunque una presenza quasi confortante. A volte, però, quasi troppo vicina e di parte, rischiando di cadere in quello che potrebbe essere scambiato per vittimismo.
Tuttavia, l'opera di Cattani non si fossilizza solo sulla psicologia dei personaggi, ma ha il pregio di mostrare come la società si rapporti a esse, soprattutto guardando a chi è più vicino a queste donne. In particolare, attraverso la linea narrativa dedicata al marito di Clara, un Daniele Pecci che, finalmente lontano dalla TV, riesce a creare, con la sua sofferenza silente, empatia. È grazie all'unica presenza maschile davvero rilevante che si dà ulteriore profondità a quello finora raccontato, spostando l'asse del film e dandogli maggior respiro, seppure quel senso d'annegamento si ritrovi anche in questo caso. Ma l'acqua qui non spinge verso il basso, bensì fa tornare a galla, donandoci un barlume di speranza.
Eleonora Sammartino, sentieriselvaggi.it, 28/4/2012

Critica (3):Questo non è un paese per madri. Lo si vede da come le donne con figli abbiano una vita complicata, faticosa e con pochi sostegni sociali. Eppure l'Italia è anche il paese dove la maternità è santificata. Tra la realtà e l'idealizzazione c'è in mezzo una sacca silenziosa, nascosta, di grave disagio che a volte, troppe volte (20 casi solo nel 2010), sfocia nel delitto più antico e oscuro: l'infanticidio, che non può trovare perdono o giustificazione, ma comprensione probabilmente sì. Così come sostiene Fabrizio Cattani nel suo film Maternity Blues. Accolto da applausi schermo acceso alla scorsa Mostra del cinema dì Venezia (presentato a Controcampo italiano), arriverà venerdì nelle sale distribuito da Fandango. Girato con un budget di 400mila euro, è un film duro: le madri di Cattani sono madri assassine, quattro donne in un ospedale psichiatrico diverse tra loro, ma tutte legate dalla colpa comune, l'infanticidio appunto. C'è Clara (Andrea Osvart) combattuta nell'accettare il perdono del marito (Pesci); Rina (Chiara Marteggiani) ragazza-madre che ha affogato la figlia nella vasca da bagno come in trance (cosa che acca spesso in questi casi); c'è poi Vincenza (Marina Pennalina) che, nonostante la fede, non riuscirà a perdonarsi. E questo fino alle ultime conseguenze. Infine, Eloisa (Monica Birladeanu) polemica, sicura e diretta, in realtà la più fragile di tutte. Nella loro convivenza forzata per queste quattro donne, tanti piccoli drammi, alleanze, inimicizie e soprattutto una sofferenza a volte sorda, a volte urlata, con cui si trovano a fare i conti tutti i giorni.
«Nel film non giustifico né condanno, ma vorrei che il pubblico capisse che la maternità può essere una cosa molto difficile – ha spiegato il regista –. Molte donne vivono in silenzio le loro difficoltà: vorrei che un film conte questo le aiutasse a chiedere aiuto a familiari o medici, senza vergognarsi». Tratto dal libro di Grazia Verasani "From Medea" (opera divenuta anche una pièce teatrale), ha avuto non poche difficoltà di realizzazione per l'argomento trattato. «Nessuno voleva farlo», confessa Cattani. «Bisogna capire che la maternità non è per forza una cosa naturale. Ancora di più adesso che la società e il ruolo della donna stanno cambiando. Oggi una donna ha più opportunità, ha un lavoro e vuole avere i propri spazi. E un bambino è anche un usurpatore, un tiranno del tempo della madre. Mi aspetto che il pubblico possa avere un giudizio diverso rispetto alle donne che fanno queste cose e trasformare i loro pregiudizi in pietas».
«Il mio libro l'ho scritto nel 2002 – spiega invece la Varesani, autrice, tra l'altro, di "Quo Vadis Baby?" divenuto film con Saivatores – e nasce da) mia rabbia verso l'opinionismo televisivo superficiale che c'è stato dopo il caso Franzoni. Non esistono le madri perfette e l'istinto materno non è obbligatorio». Infine, il titolo: "Maternity Blues" è un modo di definire, non la sindrome assassina, ma quella depressione post-partum che colpisce circa il 30% delle puerpere. Nel silenzio e nella solitudine.
Annalisa Siani, Nazione-Carlino-Giorno, 24/4/2012

Critica (4):
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