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Lo and Behold - Internet: il futuro è oggi - Lo and Behold, Reveries of the Connected World


Regia:Herzog Werner

Cast e credits:
Fotografia: Peter Zeitlinger; musiche: Mark Degli Anotoni; montaggio: Marco Capalbo; produzione: Rupert Maconick, Werner Herzog per Saville Productions; distribuzione: I Wonder Pictures; origine : Usa, 2016; durata: 98'.

Trama:ll mondo virtuale raccontato dalle sue origini fino ai suoi più estremi sviluppi. Un paesaggio digitale esplorato alla stregua di un qualsiasi territorio o panorama terreno. Herzog, attraverso una serie di conversazioni stimolanti e provocatorie, conduce gli spettatori in un viaggio che rivela quanto il mondo online abbia ormai trasformato e condizionato quello reale: dal business all'istruzione, dai viaggi nello spazio all'assistenza sanitaria fino alle nostre relazioni personali.

Critica (1):Agli scienziati dei programmi spaziali di spedizioni su Marte, Werner Herzog si propone subito per partire. Lo fa senza esitazioni, mentre il suo interlocutore sorride divertito. E invece c'è da credergli perché l'immagine della sfida «assoluta» fonda la poetica del regista tedesco, le sue storie i cui protagonisti (pensiamo a Fitzcarraldo) incarnano l'epica di una impresa impossibile, la dimensione del suo fare cinema. Lo and Behold: Reveries of the Connected World, il suo nuovo film (...) risponde all'esigenza di esplorare il mondo al tempo di internet con le nostre vite che appaiono sempre più interconnesse e dipendenti dai social network. Lui internet lo usa raramente, ha un «limite biologico» nei confronti della navigazione web e Facebook o Twitter non lo riguardano. Ma certo il suo non è uno sguardo banalmente moralista o nostalgico. Nei dieci capitoli che scandiscono Lo and Behold Herzog ne esplora infatti molteplici frammenti, possibilità, usi quotidiani, speculazioni filosofiche, meraviglia e mostruosità, rischi e scommesse. Il suo è un viaggio che allo stesso tempo attraversa il paesaggio americano cercando anche lì le tracce dei cambiamenti prodotti dalla tecnologia (...). Attratto dai «giocatori» più spericolati (...) Herzog nel ruolo del narratore mescola umorismo, romanticismo, curiosità provando a immaginare insieme ai molti intervistati – scienziati, astronomi, analisti... – presente e futuro di internet a cui l'esistenza del mondo appare ormai indissolubilmente legata. (...) Herzog attraversa una galassia, e la questione non è mai se internet è «bene» o »male» (...). «Internet sogna se stesso» chiede il regista ai suoi interlocutori. Cioè la rete è ormai autonoma dall'uomo da mutare la concezione morale e sociale? L'orizzonte è aperto, quello della rete e quello del film.
Cristina Piccino, il manifesto, 6/5/2016

Critica (2):Qual è stato, qual è e quale sarà l'impatto di Internet e delle tecnologie ad esso collegate sulla società contemporanea? Quali cambiamenti ha effettivamente portato il passaggio da una comunità industriale e consumista a una tecnocentrica e iperconnessa?
A queste e altre domande Werner Herzog cerca risposta nei dieci capitoli che compongono il suo Lo and Behold, Reveries of the Connected World, documentario che partendo dal prototipo del Web ARPANET (1969) giunge al presente di robot avanzati, capaci in un futuro ormai prossimo di sostituirsi all'uomo grazie a capacità di apprendimento e condivisione di dati sempre più sviluppate. Un rapido excursus nell'evoluzione informatica degli ultimi quarant'anni, di cui il cineasta tedesco cerca di affrontarne ed esplorarne progressi, limiti, contraddizioni ed errori.
Come in Lezione di cinema (1991), il regista avvalendosi dei contributi di esperti in ambiti diversi rispetto al proprio, parte da un argomento specifico per arrivare a parlare di qualcosa di più ampio e complesso, in una lettura filosofica della cultura e dell'umanità che l'ha creata. Ma se con il cinema il tentativo era decisamente riuscito, con l'informatizzazione coeva il risultato non convince del tutto.
Lo and Behold non ha mezze misure, tutto sembra semplificarsi in una dicotomia di estremi, quando invece la questione necessiterebbe di riflessioni ben più caute e valutanti molteplici fattori in causa, soprattutto per quel riguarda il lato oscuro della Rete o le conseguenze di una sua non escludibile implosione. Si ha così una comunque interessante visione di insieme sul tema, che non aggiunge però molto a quel che già è più o meno conosciuto da chiunque abbia un interesse anche minimo verso il soggetto del film.
Sfuma in tal modo l'occasione di uno sguardo più attento e critico sull'annoso dibattito, che tenga conto in particolare della prospettiva futura ormai prossima legata al destino di Internet e al suo ruolo nella vita individuale e collettiva delle generazioni a venire. Resta allora un documento che constata un presente per sua natura etereo, come i dati sulla cui trasmissione si basa l'attuale sistema comunicativo. Un tempo effimero e sfuggente, difficilmente identificabile se non con uno sguardo a posteriori, utile dunque più a parlare dell'oggi che del domani.
Lapo Gresleri, cineforum.it, 19/6/2016

Critica (3):La prima volta che incontrai Werner Herzog, fu quando entrò in un cinemino romano sotterraneo, quasi venticinque anni fa, urlando da ossesso contro di me che avevo appena finito di presentare i suoi bellissimi cortometraggi "americani". Era arrivato in ritardo, non ricordo semi avesse sentito o se qualcuno gli avesse segnalato che avevo evocato la parola « pornografia», o il fantasma di essa. Così era, in effetti, e si trattava per me dell'elogio entusiastico per uno dei rarissimi cineasti capaci di trovare e raggiungere, filmando, un grado di flagranza automatica e un'intensità ossessiva appunto "pornografiche". Chi era la bestia che l'aveva offeso tirando in ballo quella parolaccia? Buttò il suo cappellaccio e mi suggerì di togliermi gli occhiali, per salire in strada a regolare la cosa con una scazzottata da uomini. Non avevo nessuna voglia di separarmi dalla protesi tenera binoculare che soavemente mi impediva di credere fino in fondo a quel che vedevo. Tre minuti di alterco duro e insanabile bastarono a sedare la situazione, anche grazie all'intervento di amici comuni. Nel giro di pochi anni (attraverso incontri casuali – spesso in aereo partendoarrivando dai festival – oppure legati alle "prifilmme" delle regie di opere liriche con cui aveva preso a misurarsi in modi e forme spazialmente geniali) diventammo amici – credo, o immagino.
Lo invitai inevitabilmente ai festival che ogni tanto qualche sconsiderato cinicamente mi affidava. Una decina di anni fa, a Procida, per il Vento del cinema, (s)centrato sull'idea di "catastrionfo", non ebbi bisogno di inseguir-lo, la cosa gli calzava perfettamente. I suoi interventi appassionati riverberavano di entusiasmo. Lo filmammo mentre eccitato e forse esagerato (anzi Herzog è stato da sempre incarnazione fisica dell'esagerarsi mentale, capace di camminare per centinaia di chilometri o di mangiare una scarpa per una scommessa, o di lasciare il montaggio di uno dei suoi capolavori – Cuore di vetro – per correre a filmare il vulcano La Soufrière su un'isola in mezzo all'oceano già evacuata e lì lì per esplodere) indica alle sue spalle Capo Miseno, dove Plinio perse la vita per andare a vedere e sentire il Vesuvio nell'eruzione pompeiana.
Si riconosce facilmente di Herzog la dismisura, gli si accreditano il gusto singolare per l'estremo e insieme la versatilità rara (ha diretto più di cinquanta film, tutti apolidi e atemporali, non uno che non sia una scommessa – con se stesso ecol suo pubblico, ovvero con i suoi pubblici misteriosamente incrociati: ventiquattrore fa uscendo da un cinema vengo intercettato da un giovane ventenne – «Scusi se la disturbo, volevo solo dirle che mandando in onda il film di Herzog su Bokassa ha cambiato la mia vita»). Cinema alchemico telepatico ipnotico. Sospeso tra la curiosità eccentrica dei soggetti – molto spesso eccedentie sospetti proprio riguardo l'affiorare di una domanda di fondo. Sarà davvero così? I personaggi sono garantiti da altri o da un altro racconto, storiografico o filologico? Dove a essere messa in questione è l'istanza stessa che produce il racconto e le domande, saltando ogni dialettica in nome di una sorta di "ragione fantastica" abissale.
E l'abisso la forma evidente dei soggetti herzoghiani"ultimi", da Grizzly man a Cave of forgotten dreams, da Wild blue yonder a Encounters at the end of the world al possente Into the abyss, titolo di un film che sembra chiarire la pena (di) morte e le pene di morte tutte riportandole nel campo presunto dell'umano. Tra archeologie di sogni senza età e identità che continuano a parerci "ingannevoli", quasi che la bella voce accorata di Herzog continui a rischiare – si tratti di uomini o di robot, di miniature reti immense (in cui un buco si rivela spesso più grande della rete stessa) di confermare la macchinazione eternamente perpetrata dal cinema nei confronti dei film e delle immagini. Con questo Lo & Behold - "fantasticando del mondo connesso", Herzog invia via internet – ma ci sarà anche qualche piccione viaggiatore – con piglio che ricorda la sprezzatura del Rossellini geniale e decisivo dei non-viaggi in India, un manuale del dubbio in rete, che si e ci ricorda senza ideologia che quando ce ne accorgiamo (del cinema della televisione della rete) la catastrofe è già avvenuta.
Enrico Ghezzi, il Sole 24 ore Nòva, 25/9/2016

Critica (4):
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