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Mia notte con Maud (La) - Ma nuit chez Maud


Regia:Rohmer Eric

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Eric Rohmer; fotografia: Nestor Almendros; montaggio: Cécile Decugis; suono: Jean-Pierre Ruh; scenografia: Nicole Rachline; interpreti: Jean-Louis Trintignant (il narratore, Io), Françoise Fabian (Maud), Marie-Christine Barrault (Françoise), Antoine Vitez (Vidal), Léonide Kogan (il violoncellista del concerto), Anne Dubot (l’amica bionda), R.P. Guy Léger (il predicatore), Marie Becker (Maria, figlia di Maud), Marie-Claude Rauzier (la studentessa); produzione: Barbet Schroeder, Pierre Cottrell (Les Films du Losange); co-produzione: F.F.P., Simar Films, Les Films du Carrosse, Les Productions de la Gueville, Renn Productions, Les Films de la Pleiade, Les Films des Deux-Mondes; origine: Francia, 1969; durata: 110'.

Trama:Michel, un giovane ingegnere, dopo esser vissuto dieci anni in America, trascorre ora la sua serena esistenza a Clermont Ferrand. Una sola persona lo interessa, Françoise, una ragazza di cui egli è sicuro d’essere innamorato anche se gli riesce difficile fare la sua conoscenza perché essa percorre la città su di un motociclo. Frattanto egli ritrova un vecchio compagno di scuola, Vidal, ora professore di filosofia, il quale lo conduce una sera da un’amica, Maud. Costei, giovane, divorziata e affascinante, partecipa vivacemente alla discussione che l’aggressivo e ironico Vidal ha provocato. Una volta partito Vidal, durante la notte lo scambio di idee continua e, alle confessioni del giovane, Maud risponde rivelando le ragioni del suo divorzio: la passione del marito per una studentessa e la morte tragica del suo amante. Il giorno dopo Michel rivede Françoise e riesce a fermarla ottenendo un appuntamento. La sera successiva i due si rivedono: ma la ragazza, pur innamorata di lui, sembra riluttante ad accettare l’amore del giovane. La sincerità reciproca riesce però a fugare gli ultimi dubbi e a togliere corpo all’ombra di un amante nella vita di Françoise. Alcuni anni più tardi, mentre conducono il loro bimbo al mare, Michel e Françoise incontrano Maud che li saluta. Dal fatto che le due donne si conoscano Michel comprende che il marito di Maud fu l’amante della moglie. Fugato l’ultimo segreto, Michel e Françoise riprendono la loro vita tranquilla.

Critica (1):Nella numerazione dei racconti morali Maud risulta anteriore a La collezionista anche se è stato girato dopo, nel 1969. Il ritardo di quasi due anni è soprattutto dovuto agli impegni di Jean-Louis Trintignant, ritenuto da Rohmer indispensabile per sostenere il ruolo del narratore: tanto visibili erano i suoi scrupoli morali e religiosi da richiedere la presenza, e la compensazione, di un interprete di valore. Oltre che essere, come ogni protagonista maschile dei contes, un donjouan honteux, il narratore di Maud potrebbe addirittura vestire i panni di un boy-scout, come del resto osserva la stessa Maud: piccolo mentitore ("non dirò tutto di questa storia", è il suo esordio), cattolico praticante e dichiarato (va regolarmente in chiesa con tanto di messale) ma cattolico sui generis, terrorizzato dal rigorismo giansenista di Pascal che è invece sostenuto dall’amico Vidal, l’intellettuale sedicente marxista (interpretato da Antoine Vitez).
Diciamo "sedicente" marxista come Trintignant si dice cattolico, perché quel che è in gioco in Maud non è certo il dibattito ideologico quanto la fatidica esitazione morale, la "fedeltà – come dice lo stesso Rohmer – a una donna ma anche a un’idea, a un dogma. Tutti i personaggi sono presentati come dogmatici esitanti" ("Cahiers du Cinéma", n. 210). Esitazione tra fedeltà e tradimento: poco importa a quale norma o a quale morale ci si riferisca, quel che conta è proprio il riferimento morale, l’esitazione indotta, come in ogni conte moral. La mia notte con Maud, dove tutti i personaggi esitano, è un prezioso intreccio di incertezze, un labirinto di simmetrie e di echi del non-detto (ricordiamo: "non dirò tutto di questa storia") che percorre segretamente la logorrea della colonna sonora.
Fra i contes, Maud è il più parlato o, meglio, il più "conversato" (il riferimento letterario è al XVIII secolo, a La nuit et le moment di Crebillon figlio), un vero e proprio "film di conversazione", con la voce fuori campo del narratore ridotta a soli due o tre brevi interventi. Così, il discreto successo di pubblico, ottenuto dopo la presentazione al festival di Cannes del 1969, è stato ascritto alla "elevatezza" dei dialoghi, alla consapevolezza di assistere a un dibattito "impegnato", "alto", a una squisita e profonda operazione di analisi psicologica (motivazioni che si ritrovano sulla stampa che in questa occasione decreta il successo di Rohmer). I "Cahiers" (n. 219) riassumono così, facendo cinicamente il verso alla banalità: "In opposizione a tutti questi film "moderni", eccone finalmente uno che invece di mostrarci qualche cretino balbettante – come ad esempio fa Godard – ci presenta personaggi intelligenti, impegnati a dibattere problemi estremamente elevati, per di più in provincia, e tutto questo in un testo coerente, colto, articolato logicamente".
La rivista, come si vede, lamenta la confusione tra discorso del film e discorso enunciato nel film, ritenendone responsabile l’autore. Rohmer replica respingendo la gerarchia dei possibili livelli di lettura (quella del pubblico supposta esplicita e immediata e quella della critica più profonda, giocata tra le righe del testo). Cosa che ci trova consenzienti, non solo nel rifiuto della dignità di una possibile lettura profonda, quanto per l’oggettiva difficoltà di una prima lettura cosiddetta "superficiale". Nondimeno, alcune ipotesi possiamo avanzarle, se riteniamo ogni produzione di piacere sempre connessa a una dialettica di piccole insoddisfazioni risolte e superate, a un gioco di scollamenti del testo e di loro sutura. E di scollamenti, in Maud, possiamo immediatamente individuarne una serie: tutti quelli che si riferiscono allo scarto tra dichiarazione verbale e comportamento effettivo dei personaggi, tra il discorso "alto" e "colto" e la goffaggine di chi lo sostiene, tra gli enunciati e le enunciazioni (silenzi, imbarazzi, lapsus degli interpreti), e ancora tra un enunciato e un altro enunciato che lo contraddice. Son tutte calcolate incongruenze che suscitano il sorriso, collocano lo spettatore in una posizione di distacco ironico e divertito. E mettono in gioco il testo come "pratica alta" (senza crederlo poi tanto: si gioca pur sempre tra Diderot e Marivaux) ma, insieme, lo presentano libero da dispositivi d’intimidazione, lasciando che lo sguardo dello spettatore ritrovi il gusto della rohmeriana verità dell’immagine nel gioco della finzione (all’esasperazione di questa pratica, come vedremo meglio più avanti, non sarà estraneo il successo di La Marquise). Un gioco di incongruenze che può funzionare solo se sostenuto da un alto standard recitativo; e se ne La Marquise il cast sarà preso in prestito dalla Schaubuehne, La mia notte con Maud è il primo film di Rohmer che si avvale organicamente di collaudati attori professionisti.
Il piacere che il terzo conte moral può suscitare non è comunque legato solo al rapporto fra la recitazione e il testo. Se prima abbiamo parlato di film di conversazione, dobbiamo pur dire che i temi della querelle (il caso, il destino, le donne...) si rifrangono con esemplare chiarezza negli accadimenti (la corte a Françoise, la futura moglie, la tentazione di Maud, il gioco delle coppie), rimbalzano sulla precisa causalità degli incontri (Jean-Louis con Françoise, Jean-Louis con Vidal e dunque Maud, Jean-Louis e Françoise con Maud), trovano verifiche o smentite nelle azioni, nei percorsi prodotti da una rigorosa messa in scena: anche qui, allora, si produce il piacere di suture sapientemente ritardate, di simmetrie che inavvertitamente si compiono, di tensioni e delicati suspenses per le falle del non-detto. Se è vero che dello schema narrativo dei contes Maud è l’esempio più chiaro (come per La boulangère de Monceau abbiamo in scena ambedue le donne, la predestinata e la seduttrice: la corte che il narratore fa alla prima si alterna a quella che la seconda indirizza a lui), è altrettanto vero che quello schema si articola in una complessa trama di rimandi e di percorsi che, su apparenti simmetrie, traccia il disegno di un prezioso labirinto Come per La boulangère de Monceau, cui Maud direttamente si collega, vera protagonista dell’azione è la topografia, intesa come destino del luogo prescelto. La messa in scena, del resto, ha acquisito – nei sette anni che separano il terzo dal primo conte – uno standard assai elevato. Al pari di Schroeder, che conosce per strada la sua futura moglie, Jean-Louis pedina la sua, Françoise. Ma, se prova a servirsi dell’auto (una R 16), deve presto rendersi conto che la cosa migliore resta quella di tentare di raggiungerla a piedi: Rohmer ha confidato a Vidal (op. cit.) che Ma nuit chez Maud è un film in cui si va più veloci in Solex che in automobile (è in tal modo difatti che Françoise sfugge a Jean-Louis, bloccato dal traffico) e più veloci a piedi che in Solex (è a piedi che il narratore riesce infine a raggiungerla). Come dire che si tratta di un film senza fretta, volutamente puro e "primitivo", pazientemente svolto negli spazi di un luogo chiuso e determinato. (...)
Michele Mancini, Eric Rohmer, Il Castoro cinema, 1988, La Nuova Italia

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Eric Rohmer
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