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Paradiso per quattro ore


Regia:Risi Dino

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Dino Risi (collaborazione alla sceneggiatura - per tutti gli episodi, senza altre specificazioni: Aldo Buzzi, Luigi Chiarini, Luigi Malerba, Tullio Pinelli, Luigi Vanzi, Vittorio Veltroni, Cesare Zavattini); fotografia: (b/n) Gianni Di Venanzo; scenografia: Gianni Polidori; musica: Mario Nascimbene (dir. Franco Ferrara); montaggio: Eraldo Da Roma; fonici: Giovanni Paris, Mario Messina; interpreti: non professionisti; produzione: Faro Film; organizzazione generale: Alfredo Mirabile; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1953; durata: 20'.

L'amore in città viene presentato come numero uno di "Lo spettatore", rivista cinematografica di Cesare Zavattini, Riccardo Ghione e Marco Ferreri. Gli altri episodi sono: L'amore che si paga di Carlo Lizzani, Tentato suicidio di Michelangelo Antonioni, Agenzia matrimoniale di Federico Fellini, Gli italiani si voltano di Alberto Lattuada.

Trama:
Prodotto da Marco Ferreri, ideato e supervisionato da C. Zavattini, più che un film a episodi è, o voleva essere, un'inchiesta giornalistica filmata in 6 parti. C'è l'inchiesta vera e propria ("L'amore che si paga" di Lizzani, "Tentato suicidio" di Antonioni), il pezzo di colore ("Paradiso per quattro ore" di Risi, girato in una balera), l'aneddoto di cronaca bianca ("Agenzia matrimoniale" di Fellini, che però lo inventò, facendolo passare per cinema-verità), il servizio di cronaca nera ("Storia di Caterina" di Maselli-Zavattini), il corsivo di costume ("Gli italiani si voltano" di Lattuada).

Critica (1):Conoscevo Zavattini da quando sono venuto a Roma, ma più che Zavattini furono Marco Ferreri e Ghione che mi invitarono a partecipare a questo film. Io dovevo fare invece dell'episodio sulla balera, che poi ho fatto, una cosa un po' sul tipo di quella che avevo già fatto a Milano sul siero della verità. Dovevo fare un pezzo un po' scientifico. Poi, siccome c'era rischio di non ottenere il visto di censura, abbiamo detto be' facciamo una cosa più divertente. Allora ho fatto un pezzo di sala da ballo popolare. [...] Mi ha sempre divertito la sala da ballo; volevo fare un film tutto nella sala da ballo, un po' quel che hanno fatto in America con Non si uccidono così i cavalli? Pensavo si potesse fare un film su una domenica, gli incontri di ragazzi e ragazze, queste ore di libertà rubata; piene anche di malinconia perché infondo i protagonisti di questo teatrino erano le serve, che oggi praticamente non esistono più. Ma allora c'erano quelle povere ragazze, prigioniere tutta la settimana, che sfogavano in quelle due ore i loro sogni. Le serve e i soldatini, che erano protagoniste di quell'episodio avevano tutta la mia simpatia perché erano dei paria, i piccoli della scala sociale, quelli che vivevano per imitazione una vita che aveva luce solo in quelle poche ore domenicali, e poi tornava ad essere molto grigia ed infelice. Tra un episodio e l'altro c'erano dei francobollini, delle piccole cose fulminanti che ho realizzate io. Dei flash di trentaquaranta secondi che anch'essi scandagliavano il tema dell'amore in città. Il film è stato fatto un po' come un giornale: una volta assegnati i compiti, sia io che gli altri registi, li abbiamo svolti e montati indipendentemente. Solo a cose fatte ci siamo rivisti tutti. Il film è stato un disastro come pubblico.
Dino Risi, Positif n. 142, sett. 1972

Critica (2):[...] Alla singolare coerenza formale di un film come questo, pur risultante da apporti numerosi e disparati, coerenza da attribuirsi, oltre ad una sotterranea affinità di "punti di vista" nei confronti della realtà, se non di metodo (il che, come si è visto e meglio si vedrà fra poco, non sarebbe esatto sostenere), all'apporto prezioso dell'operatore Gianni Di Venanzo, il quale ha assicurato una uniformità di riprese, caratterizzate da una grigia, spoglia tonalità cronistica; a tale coerenza in senso esteriore fa riscontro, come dicevamo, una notevole disparità strutturale e di risultati, tra episodio ed episodio. I più felici [...] sono gli "elzeviri", ed in particolar modo Paradiso per quattro ore (titolo sbagliato, ma molto diffuso n.d.c.) di Dino Risi. Mi è grato rendere atto di questo successo ad un regista che, dopo le stimolanti prove documentaristiche, era scaduto nel generico (Vacanze col gangster, 1952) o tutt'al più nel correttamente convenzionale (Il viale della speranza, 1953). Attraverso un montaggio accortissimo e stretto, di ottimo stile documentaristico, Risi ha sintetizzato il mondo delle "balere" domenicali con un estro pungente, con una vivacità sapida di osservazioni, di caratterizzazione, con un intuito felice del contrappunto. Paradiso per quattro ore è una piccola cosa perfetta, e giunge, nei limiti delle sue dimensioni e delle sue aspirazioni, a fornire esatte indicazioni psicologiche, pregnanti definizioni di tipi, di modi di essere, deformati da un tratto ironico che non oltrepassa mai i confini segnati dal buon gusto e dal rispetto per la realtà, oppure contemplati con affettuosa comprensione (Si veda, da un lato la solitaria sorvegliata dal "madro", lo stile di danza o di galanteria di certi "bulli", dall'altro il muto colloquio del militare e della ragazza, l'uno e l'altra paralizzati dalla timidezza).
Giulio C. Castello Cinema n. 123 dic. 1953

Critica (3):

Critica (4):
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