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Visione del Sabba (La)


Regia:Bellocchio Marco

Cast e credits:
Sceneggiatura: Marco Bellocchio; fotografia (colore): Beppe Lanci; scenografia: Giantito Burchiellaro; montaggio: Marco Garrone; musica: Carlo Crivelli; coreografie: Raffaella Rosseffini; interpreti: Béatrice Dalle (Maddalena), Daniel Ezralow (Davide), Jacques Weber (Cadò), Corinne Touzet (Cristina), Omero Antonutti (il medico condotto); produzione: Achille Manzotti per Gruppo Bema e Rete Italia; distribuzione: Titanus; origine: Italia, 1987; durata: 104’.

Trama:Il film inizia su un profilo femminile, dietro il quale si sprigiona una grande fiammata. In una specie di segreta, alcuni uomini sottopongono ad esame il corpo inerte di una donna sospettata di stregoneria. Tra di loro c’è un giovane che dichiara di avere la peste e stringe a sé la donne baciandola, mentre gli altri si ritirano inorriditi, pronunciando formule rituali. Davide, un giovane e noto psichiatra, si reca in macchina in un paese dove si trova in osservazione una donna, Maddalena, accusata di omicidio; avrebbe tentato di uccidere un guardiacaccia che voleva violentarla. Davide rimane profondamente affascinato dalla ragazza, che dice di essere una strega, di essere nata nel gennaio del 1630 e di essere ancora alla ricerca di un uomo da amare. Lo psichiatra penetra sempre di più nell’universo misterioso di Maddalena, si allontana dalla moglie, entra in conflitto con i colleghi Rimane coinvolto nelle visioni della strega, viene a trovarsi nella celebrazione del Sabba, oscilla continuamente tra mondo reale e mondo immaginario. Davide è fortemente attratto da questa strana creatura, che sembra eludere qualsiasi tentativo di avvicinamento e si muove ambiguamente tra il presente e il passato. Alla fine l’uomo riuscirà a possederla anche fisicamente. Un enorme rogo viene acceso attorno alla strega condannata, ma Maddalena non viene toccata dalle fiamme, la visione del Sabba continua...

Critica (1):(...) La Maddalena de La visione del Sabba, (...) non porta con sé il mistero della creatura proveniente da secoli oscuri e non è la reincarnazione di una figura simbolica ritornata a scuotere le menti, a misurare la repressione dell’oggi. La strega è un’immagine, una fantasia, dietro le quali vive un’esperienza, un corpo che dialogano con le resistenze, le interpretazioni, le classificazioni dei vari dottori della legge. Maddalena è un personaggio unico, esclusivo; davanti a lei, e contro di lei, ci sono tutti gli altri. Ella è in un certo senso assolutamente indipendente, non presenta motivazioni comportamentali, anzi gioca con l’ambiguità, con la menzogna, con la furbizia. Nel suo aspetto "moderno" Maddalena è provocatoria, sfrontata, ribelle ad ogni richiesta di chiarezza sul proprio conto; incomprensibile per la stranezza delle sue risposte, rivela contemporaneamente un’astuta sagacia nel leggere le intenzioni degli interroganti. Maddalena è un mistero, un oggetto indecifrabile: non si può semplicemente definirla una pazza, poiché il suo temperamento non è maniacale, delirante, eccessivo, insensato... (una tassonomia comunque tendenziosa). Sul suo volto, nel suo sguardo si legge una dolcezza intrigante, vi trapela una passione profonda, antica, si muove un desiderio ansioso, avido. Maddalena appare inafferrabile, è invitante e sfugge la presa, provoca e sparisce, per ritornare improvvisamente, inaspettatamente. E come un sogno, un incubo, una chimera, qualcosa che si insinua nella mente, nella carne; evita il possesso per alimentare l’ossessione. Non è lei la vittima (ha superato la prova del rogo); piuttosto la strega riduce, con la sua inattaccabilità, gli altri ad essere caricature, marionette di una cultura dominante che può solo rinchiudersi nella propria supposta garanzia scientifica. La stranezza di Maddalena non sta tanto nel credere di essere nata nel gennaio del 1630, ma nel fatto che non reagisce in modo logico, come ci si aspetterebbe anche in un caso di follia, ai messaggi che le vengono trasmessi. Maddalena non perde sangue e non versa lacrime, è un essere demoniaco; in realtà è del tutto insensibile a qualsiasi interpretazione, che può persino rilanciare sarcasticamente. Sul letto dell’inquisizione o al tavolo degli psichiatri, ella esprime lontananza, indifferenza, presunzione, arroganza, sfida.
Il giovane psichiatra fa direttamente le spese di questa provocazione; come esperto viene rapidamente smentito, in quanto la sua conoscenza è incapace di arginare i comportamenti della donna, come persona è alienato dalla sua stessa incapacità a resistere agli inviti erotici della strega. Impossibilitato a possedere Maddalena con la sua superiorità intellettuale, intesa come misura del sapere e non come funzione dell’intelligenza egli è costretto a perdere la testa ed a soffrire fisicamente l’esasperazione del desiderio. Inebetito a tal punto da dimettere i panni della socialità perdere i propri attributi di medico e di marito, diventa lui un essere dominato dall’ossessione, dal momento che vuole a tutti i costi penetrare nel mistero di Maddalena. Perciò egli accetta, condivide il racconto della strega, si identifica col passato di lei e vede i momenti della sua vita, partecipa alle visioni della sua storia. Il "medico" delle sostituzioni pulsionali si trova a condividere, realizzare l’immaginario, a credere nell’impossibile. La sua presenza al sabba sancisce la totale immedesimazione alla realtà di Maddalena; egli vittima di un desiderio, di un appetito inesorabili Ma insieme egli vive un rapporto d’amore totalizzante, un amour fou che lo mette in balìa di Maddalena, gettandolo in uno stato di invasamento che lo porta fuori dal mondo; l’interesse scientifico scivola nell’adesione misterica. Lo psichiatra viene posseduto dalla strega, è attratto da un sensualità fagocitante ed è altresì dominato da una personalità che non può trattenere entro i limiti della classificazione patologica. Il film è costruito su trapassi "inspiegabili", immediati, tra la realtà e la proiezione immaginari del passato di Maddalena; in questa altalena i personaggi non cambiano, oggi come allora l’eccentricità viene punita dalla legge, oggi come allora l’irrazionale agita le profondità dell’essere. L’inquisitore, l’analista, il sociologo difettano di ragione critica e quindi di predisposizione al comprendere; al linguaggio della diversità essi rispondono con una forma di irrazionale istituzionalizzato, controllato, dalle formule del potere e dall’ideologia del rigetto. Il giovane psichiatra si annulla sul piano istituzionale, lasciandosi irretire dalla consumazione completa del transfert. In questo modo egli viene trasportato in un’altra dimensione e perde quell’identità che lo rendeva riconoscibile agli altri; il rapporto con la moglie si svuota, la sua mente è altrove. Il film si muove sul limite del "cedimento", sul confine tra la veglia e il sonno, nella zona in cui la mente subisce i richiami dell’inconscio. È anche la linea incerta tra normalità e follia, dove può avvenire, improvvisa, l’esplosione della protesta dell’essere, l’urlo violento contro l’indifferenza delle cose (si pensi, ne Il diavolo in corpo alla donna sul tetto o, qui, alla donna che corre nella stanza), l’urlo che si ripiega in una grande stanchezza, in una rassegnazione malinconica, che nulla cambia, ma che inesorabilmente uccide le possibilità dell’individuo.
La cultura dello psichiatra lo ripara dalla caduta paranoica, ma non lo ferma di fronte ad una richiesta illimitata: la corporeità di Maddalena lo trascina nell’esperienza, a scoprire persistenze arcaiche, nel mondo notturno della pulsione, per essere ammesso ad una specie di iniziazione, di rito, dove l’immaginario ha la meglio sul principio di realtà. Il film può essere interpretato come una lunga soggettiva, come il percorso visionario di un soggetto fortemente impregnato di sapere, che si misura completamente, empaticamente con l’oggetto della propria conoscenza; l’innamoramento, che rientra nell’ordine delle possibilità, diventa alla fine una sfida all’ultimo sangue, distrugge la certezza della comprensione, inverte il rapporto delle dominanze. Lo psichiatra scivola in uno stato di ipnosi; la relazione si rovescia. Maddalena avoca a sé il diritto naturale a decidere il destino della specie, ad incrinare il dominio della cultura. Il film può essere anche visto come un’esplorazione autocosciente nell’incertezza, nella complicazione di un’interiorità che appare ancora un territorio sconosciuto, indecifrabile, una zona al di qua del dominio culturale, che si proietta nell’immaginarlo, evocando altri tempi, altre rappresentazioni. L’inverosimiglianza è parte dell’essere, è un "bisogno" della psiche; in Maddalena vive un desiderio assoluto, onnipotente, che travolge il tempo, la storia, le strutture dell’ordine. Ella dimentica il mondo, annulla lo spazio attorno a sé; in tal modo diventa un oggetto strano, affascinante ed attrae l’uomo impegnato a conquistarne il mistero. Questi, da parte sua, è costretto a credere in lei, a viverne l’esistenza, ad accettare tutte le sue fantasticherie. Tale disponibilità, che lo porta ad interpretare i racconti di Maddalena, non lo fa però precipitare nell’incubo, nel tormento, nell’orrore; la sua immedesimazione diventa quasi estatica, rapita, incantata.
Bellocchio non ricorre, per La visione del Sabba, ad una rappresentazione cinematografica caricata, ossessiva, dove le immagini riproducono i meccanismi e gli effetti del l’allucinazione, dell’invasamento. Il trapasso non è mai traumatico, non è l’indice di un collasso psichico; è piuttosto un atto mentale di traslazione, di abbandono voluto ad un richiamo affettivo. Il film inizia nell’immaginario, come una storia ambientata in altri tempi, come una ricostruzione del possibile. E la trascrizione del racconto di una donna che ha subito violenza e crede di essere una strega, di avere più di trecento anni e di avere incontrato nientemeno che Napoleone. Il film proietta la verità di questa donna; è come se accettasse ogni sua manifestazione, partecipando ad un movimento che non distingue il presente dal passato, la realtà dalla finzione; perciò non vi sono scosse narrative che fanno precipitare la rappresentazione nel terrore, nella paura provocata da apparizioni angoscianti. Il film non è catartico e non fa affiorare un inconscio collettivo, non accenna quindi a qualsivoglia retaggio orrorifico, che ricompare a turbare le coscienze appesantite dal ricorso di epoche buie, prigioniere di un senso di colpa che spazia in ignoranze lontane. Le visioni del sabba non hanno nulla delle rappresentazioni tradizionali, dominate dall’elemento demoniaco e percorse dal delirio, dall’orgia e dalla profanazione. Nel film esse richiamano più la danza e sono ispirate dalla presenza purificatrice dell’acqua e del fuoco. Quella di Maddalena è una storia individuale, un’occasione di femminilità, al centro di un rapporto d’amore, che non riguarda solo un gioco di personaggi, ma coinvolge lo sguardo del narratore, l’occhio cinematografico, che a sua volta viene catturato dal mistero della donna. C’è nel film come un’adesione culturale alla figura di Maddalena, al suo corpo, alla sua fisicità che si oppone silenziosa alle violenze dell’esterno. Bellocchio costruisce un personaggio femminile portatore di una diversità che non si afferma come espressione patologica; in sé Maddalena è una creatura che cerca di essere compresa con un atto d’amore, mostrando anche l’ambiguità di chi avverte la volontà altrui di trasformarla in un oggetto di conoscenza, quindi sempre accettabile. Come Giulia in Il diavolo in corpo, Maddalena esige una fatica, una aggressività, un’intermittenza nell’approccio; il fascino di queste donne deriva dalla tortuosità e insieme dalla ricchezza della loro femminilità, che ne fanno dei veri e propri labirinti esistenziali. Dove può anche essere piacevole perdersi.
Angelo Signorelli, Cineforum n. 273, aprile 1988

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Marco Bellocchio
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