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Daratt - La stagione del perdono - Daratt


Regia:Haroun Mahamat-Saleh

Cast e credits:
Sceneggiatura: Mahamat-Saleh Haroun, Laora Bardos; fotografia: Abraham Haile Biru; musiche: Wasis Diop; montaggio: Marie-Hélène Dozo; costumi: Fatimé Lamina, Valérie Wadar; interpreti: Ali Bacha Barkaï (Atim), Youssouf Djoro (Nassara), Aziza Hisseine (Aicha, moglie di Nassara), Djibril Ibrahim (Moussa), Fatimé Hadje (zia di Moussa), Khayar Oumar Defallah (Gumar Abatcha, nonno di Atim); produzione: Chinguitty Films - Entre Chien Et Loup - Goi-Goi Productions - New Crowned Hope - Vienna 2006 - Arte France Cinema; distribuzione: Lucky Red; origine: Austria - Belgio - Ciad - Francia, 2006; durata: 96'.

Trama:Ciad, Africa. Deserto, povertà e poche ragioni per vivere. Ecco quindi che per Atim (che significa orfano), appena diventato quindicenne, l'unica ragione per vivere sembra sia il vendicare il proprio padre morto poco prima della sua nascita durante la guerra civile.
Sa chi è l'assassino, vive in città. Parte quindi per ucciderlo, ma quando lo trova si rende conto di avere davanti un vecchio panettiere, che ignaro dell'identità del ragazzo, gli offre persino un lavoro...

Critica (1):Ciad, 2006. Dopo decenni di stragi, viene concessa l'amnistia a tutti i criminali di guerra; ma il sedicenne Atim ha promesso al nonno cieco di farsi giustizia. Ucciderà l'uomo che ha provocato la morte di suo padre prima ancora ch'egli nascesse. Arrivato in città, il ragazzo conosce il colpevole: Nassara, un vecchio fornaio che parla con l'aiuto di un amplificatore, aspetta un figlio da una donna molto giovane e distribuisce pane ai poveri. Preso a bottega Atim, l'uomo gli insegna l'antica arte della panificazione. Tra i due, s'instaura un rapporto padre-figlio; Atim, però, non può dimenticare la promessa.
C'è davvero qualcosa di speciale nel film africano Daratt, vincitore del Premio speciale della giuria a Venezia: in ciò che comunica, c'è un'ammirevole parabola sul perdono; nel modo in cui lo comunica, una naturalezza e una concretezza di gesti, oggetti, corpi che si trova solo nel grande cinema, da qualsiasi parte del mondo provenga. Sposando lo splendore del vero con le suggestioni della metafora (vedi le invalidità dei due vecchi), il film si spinge fino a ribaltare i ruoli sedimentati nel nostro immaginario (il giovane è un cuore di tenebra; l'anziano, limpido e diretto malgrado le efferatezze compiute); però senza mirare al paradosso né al teorema.
Prima produzione del Ciad in concorso al Lido, Daratt ha anche il merito di inviare una parola di speranza e di vita dal tormentato continente africano, facendola apparire più forte di ogni odio o sete di vendetta.
Roberto Nepoti, La Repubblica, 1/6/2007

Critica (2):Innanzitutto un plauso al coraggio della Lucky Red, distributori italiani di Daratt (quarto film del 46enne giornalista Mahamat-Saleh Haroun) che hanno voluto lasciare il film in lingua originale con relativi, minimi, sottotitoli. Mossa rischiosissima dal punto di vista commerciale, ma encomiabile per chi ama il cinema non in lingua italiana.
Daratt significa stagione secca e nel Ciad è il lasso di tempo meteorologico che va da maggio a novembre, dopo la stagione delle piogge. Il sereno dopo la tempesta, metafora per una faticosa rinascita, ricerca cinematografica della pacificazione dopo una guerra fratricida che ha insanguinato il Ciad di Hissène Habré per oltre quarant'anni provocando più di 40mila morti. Il sedicenne Atim va alla ricerca dell'assassino del padre dopo un'amnistia governativa per i criminali di guerra che fa imbestialire parecchi oppositori del regime. Un solo enunciato narrativo in cui si racchiude la rabbia di fronte all'ingiustizia e il desiderio di vendetta si trasforma in una coerente e decisa compensazione di giustizia.
Il percorso vendicativo è diretto, senza mediazioni: villaggio di N'djamena, avvicinamento dell'obiettivo fino all'immediata esecuzione. Ma qualcosa s'inceppa e Atim finisce per diventare un benvoluto intruso in casa e nella bottega del panettiere Nassara, killer di suo padre al soldo di Habré, ridotto a parlare con un amplificatore portatile da appoggiare alla gola dopo che qualche altro ribelle al regime aveva tentato di sgozzarlo. Lo sfondo è desolato, tra sabbia e costruzioni dai muriccioli alti un metro, bimbi scalzi che giocano a pallone per strada in mezzo alla pubblicità delle compagnie telefoniche con il mondo a portata di mano e le battute acide sugli aiuti del Wto. Scarpe e sandali gettati al vento, pistole e fucili chiusi negli armadi, frutta e pane simboli di rinascita della vita, coordinate minime a cui si è ridotto un paese devastato dalla guerra e in via di ricostruzione, dove la figura corrucciata di Atim si carica del più classico dei dilemmi: perpetuare socialmente odio all'infinito o immolare l'istinto individuale dell'occhio per occhio, dente per dente? Ma Daratt è anche cinema formalmente affascinante dove, attraverso l'inquadratura e con relativa costruzione dello spazio filmico, si attua la più tradizionale suspense. Perché in fondo il film di Mahamat-Saleb Haroun è un thriller essenziale, senza digressioni, senza flashback, imbevuto della polvere della strada, della farina del pane che imbianca i protagonisti, di inquietanti sguardi rivelatori che senza sparatorie e spargimenti di budella gelano il sangue.
Davide Turrini, Liberazione, 1/6/2007

Critica (3):

Critica (4):
Mahamat-Saleh Haroun
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