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Donne senza uomini - Zanan bedoone mardan


Regia:Neshat Shirin

Cast e credits:
Soggetto: tratto dal Romanzo "Donne Senza Uomini" di Shahrnush Parsipur; sceneggiatura: Shirin Neshat, Shoja Azari; fotografia: Martin Gschlacht; musiche: Ryuichi Sakamoto, Abbas Bakhtiari (musiche persiane); montaggio: George Cragg, Jay Rabinowitz, Julia Wiedwald, Patrick Lambertz, Christof Schertenleib, Sam Neave; scenografia: Katharina Wöppermann; arredamento: Shahram Karimi; costumi: Thomas Oláh; interpreti: Pegah Ferydoni (Faezeh), Arita Shahrzad (Fakhri), Shabnam Tolouei (Munis), Orsi Tóth (Zarin); produzione: Coop99 Filmproduktion-Essential Filmproduktion Gmbh-Société Parisienne De Production; distribuzione: Bim; origine: Germania-Austria-Francia, 2009; durata: 95’.

Trama:La vita di quattro donne nella Teheran del 1953, scossa dal colpo di stato dello shah Mohammed Reza Pahlavi, avvenuto con il supporto dell'intelligence americana, che avrebbe segnato la fine della democrazia. In un giardino di orchidee, le quattro donne capiranno il valore dell'amicizia e del conforto.

Critica (1):Affascinante l'esordio della videoartista iraniana Shirin Neshat, resa celebre per i suoi ritratti di corpi di donna interamente ricoperti da scritte in calligrafia persiana. Women Without Men, serio candidato in lizza per un premio importante, ci porta nell'estate del '53 a ridosso dell'ennesimo putsch imperialista britannico-statunitense che priverà l'Iran del presidente Mossadegh, eletto democraticamente e fautore, guarda caso, della nazionalizzazione del petrolio iraniano. Prima che venga imposto lo Scià, quattro donne di diversa estrazione sociale si sfiorano vivendo la loro problematica condizione psicologica. Estetizzante e deciso sperimentalismo cromatico dai set d'epoca ricostruiti in Marocco, Women Without Men è composto, raffinato, atemporale grido di ribellione per le donne iraniane.
Davide Turrini, Liberazione, 10/9/2009

Critica (2):Potremmo dire che Women Without Men è un viaggio di «formazione» in cui il femminile – l'universo che narrano le quattro donne – traccia una cartografia di conflitti universali. Le quattro donne vanno verso una nuova consapevolezza di sé che passa attraverso le epoche, la morte, il disincanto, la sofferenza e anche in una diversa e strana dolcezza di complicità. Quasi che alla fine divenissero una sola, fragile e fortissima insieme, tanto da lottare per la libertà senza perdere i desideri. La cifra visiva di Neshat è quella delle sue opere, col ritmo sospeso in un intreccio di simboli e sovrimpressioni narrative. Non è un film «realistico» Donne senza uomini anche se parla della realtà, è fortemente politico, quasi «didattico» nel suo rapporto col presente che non esclude dalla storia e dalla metafora. Neshat cerca una diversa sostanza dell'immagine che vuole comunicare. La sua realtà è una sospensione fantastica (molti cinefili si sono irritati gridando che non è cinema), nutrita di associazioni personali, che conduce lo spettatore, nel difficile rapporto di associazioni arte-schermo cinematografico, a un diverso sguardo non banalmente «preordinato».
Cristina Piccino, Il Manifesto, 10/9/2009

Critica (3):«Ahmadinejad e Berlusconi si assomigliano molto. Sono diversi nella forma ma la sostanza è la stessa. Certi fanatismi si assomigliano tutti, come è stato anche per Bush». Minuta, esile addirittura, con gli occhi marcati dal kajal come le figure della mitologia persiana, Shirin Neshat ha in realtà la grinta di un leone. Con le sue donne velate, tatuate, coi fucili in primo piano ha portato nel mondo dell’arte visiva la sua personale denuncia contro gli integralismi religiosi e la drammatica condizione femminile nel mondo islamico. Ha esposto nei musei più importanti del pianeta conquistando da una parte il consenso unanime della critica internazionale, ma dall’altra il divieto di rimettere piede nel suo paese, l’Iran. È dal ‘75 che vive «nomade», soprattutto negli Stati Uniti. Ma da allora non ha mai interrotto la sua militanza artistica. Una continua ricerca, una continua sperimentazione che ora l’ha portata sulla strada del cinema. Donne senza uomini, il suo esordio nella regia, ha vinto il Leone d’argento a Venezia e si appresta ad uscire nelle sale il prossimo 12 marzo per la Bim. Il film è ispirato all’omonimo romanzo dell’iraniana Shahrnush Parsipur, scrittrice censurata ed esiliata a causa di questo suo testo-denuncia in cui racconta una pagina cruciale della storia dell’Iran: il golpe della Cia del ‘53, che portò alla destituzione del premier Mohammad Mossadeng – «colpevole» di aver nazionalizzato il petrolio iraniano – e al ritorno dello Shah Palevi. Una storia dimenticata che Shirin Neshat racconta con stile personalissimo: colori saturi e sguardo onirico fanno da scenario alla storia di quattro donne che vivono ognuna a suo modo quei drammatici giorni di rivolta e repressione, così incredibilmente simili alle immagini degli studenti in lotta nella Teheran di oggi. «È una storia che si ripete da sempre – conferma Shirin Neshat –. Prima siamo stati traditi dagli americani, poi dagli inglesi, poi dallo scià e ancora dalla rivoluzione islamica. Eppure il popolo iraniano non si arrende e continua a lottare». E a scontrarsi col cruento regime di Ahmadinejad. L’arresto del regista Jafar Panahi lo dimostra. «Jafar – prosegue – avrebbe potuto stare tranquillo, rimanere neutrale e continuare a fare i suoi film. Invece con grande onestà e coraggio ha scelto di esporsi e stare col suo popolo. Per questo è stato arrestato». Secondo Shirin sono «proprio gli artisti con la loro immaginazione a fare più paura al regime. Per la liberazione di Panahi – dice – si devono impegnare tutti. Kiarostami, per esempio, avrebbe la forza per chiedere il suo rilascio. O meglio ancora leader come il vostro Silvio Berlusconi o Sarkozy. Ci vuole, insomma, una forte voce diplomatica: Hillary Clinton, magari». Perché questa contro il regime è una battaglia durissima. Nella quale, prosegue l’artista, «le donne iraniane sono impegnate in prima fila. Io che da loro ho sempre tratto ispirazione so quanto siano forti e coraggiose. Sono delle vere combattenti da sempre schierate contro guerra e violenza. Non sono affatto delle vittime come si crede in occidente. Nelle nostre università la maggioranza sono donne, nonostante il governo cerchi di bloccare le iscrizioni. I movimenti femminili sono presenti in tutti i settori della società. E come dimostrano le manifestazioni di questi ultimi tempi le donne sono sempre in lotta». Una lotta questa che ha avuto come suo tragico simbolo la giovane Neda, la ragazza uccisa per le vie di Theran durante gli scontri con la polizia. E che Shirin identifica con la protagonista del suo film, Munis. «Lei – spiega – non ha una sua idea politica definita, non è comunista, ma sente istintivamente il desiderio di libertà e vuole aiutare il suo popolo. Questo è il messaggio simbolico del mio film: la volontà di non arrendersi mai». Di combattere, insomma, anche e soprattutto contro gli integralismi, sempre più duri nei confronti delle donne. «Pensate – prosegue – che ai martiri dell’Islam viene promesso un paradiso fatto di vergini e minorenni... Mentre nella nostra cultura le donne vengono educate
a vivere la propria sessualità con vergogna e sensi di colpa». Però attenzione agli integralismi da qualunque parte si guardino, aggiunge Shirin. «Prendiamo la questione del velo. Io sono una credente ma laica e resto convinta che le donne debbano essere libere di scegliere cosa indossare. Non si può vietare il velo per legge. Religione e fede sono questioni individuali di cui non possono occuparsi i governi. L’Occidente sbaglia a non riflettere sulle scelte delle persone». Lei non solo da artista, ribadisce, ha a cuore prima di tutto la libertà individuale. «Del resto – conclude – lo stiamo vedendo in Iran, questa grande oppressione sul popolo ha prodotto un risultato contrario: un’esplosione di creatività artistica che per il regime è un incubo».
Gabriella Gallozzi, L’Unità, 6/3/2010

Critica (4):
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