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Beyond - Svinalängorna


Regia:August Pernilla

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo omonimo di Susanna Alakoski; sceneggiatura: Pernilla August, Lolita Ray; fotografia: Erik Molberg Hansen; musiche: Magnus Jarlbo, Sebastian Öberg; montaggio: Åsa Mossberg; scenografia: Anna Asp; costumi: Kicki Ilander; interpreti: Noomi Rapace (Leena adulta), Ola Rapace (Johan), Outi Mäenpää (Aili),Ville Virtanen (Kimmo), Tehilla Blad (Leena bambina); produzione: Hepp Film Ab-Kamoli Films-Blind Spot Pictures-Drakfilm Ab-Nordisk Film-Nordisk Film & Post Production-Film I Skåne-Svt-Nordsvensk Filmunderhållning No7; distribuzione: Sacher Distribuzione; origine: Svezia, 2010; durata: 95’.

Trama:Quello che per Leena – una donna di origini finlandesi ma svedese di adozione – era nato come un giorno di festa, dopo aver ricevuto una telefonata si trasforma per lei in un doloroso viaggio nel passato che la costringerà a fare i conti con gli infelici eventi della sua famiglia, che lei era riuscita a cancellare con un estremo atto di volontà.

Critica (1):Bisognerebbe farlo vedere a tutti quelli che credono alla "verità" della cosiddet­ta Tv del dolore, questo film d'esordio di Pernilla August. Bisognerebbe mo­strarlo a quelli che il dolore lo gonfiano, lo ecci­tano, lo spremono, lo spolpano. A quelli che ci spe­culano. A quelli che godono delle lacrime e delle ferite degli altri. C'è un pudore, in questo Beyond, che viene da lontano. C'è un'estetica del pudore che si fa tout court etica del dolore, e che arriva sugli schermi del cinema contemporaneo passan­do per lbsen, probabilmente (quello di Spettri e di L'anitra selvatica in particolare), e poi soprattutto per Bergman, con cui Pernilla August ha lavorato a lungo a teatro e al cinema (era la governante di Fanny e Alexander, 1982) prima di vincere il pre­mio come miglior attrice a Cannes (Con le miglio­ri intenzioni, 1992) per poi arrivare a recitare an­che in grandi blockbuster come Star Wars Episo­dio 1(1999) di George Lucas, dove era la madre di Anakin Skywalker.
Qui, con Beyond (Premio del pubblico all'ultima Mostra del cinema di Venezia), Pernilla August tor­na alle origini e si ispira all'omonimo romanzo di Susanna Alakoski per mettere in scena il viaggio al contempo fisico e mentale di una donna – Leena, interpretata da Noomi Rapace, l'indimenticabile Lisbeth di Uomini che odiano le donne – chia­mata al capezzale della vecchia madre morente e obbligata all'improvviso a fare i conti con il rimos­so della propria memoria. Leena sa – l'ha sempre saputo – che il problema della memoria non è – come si sente troppo spesso ripetere – quello di mantenere vivi i ricordi. Per lei, il problema è quello di ucciderli, i ricordi. Di farli tacere. Di ri­muoverli, cancellarli, esorcizzarli. Leena vive da anni nella menzogna. Nella rimozione della sua infanzia povera di ragazzina finlandese emigrata in Svezia, figlia di genitori violenti e alcolizzati: un'infanzia segnata dalla miseria, dallo squallore e dalla discriminazione di genere e di classe. L'a­gonia della madre la obbliga ora a rivisitare e a rivedere quel passato, e a fare i conti con quelle immagini che riemergono dall'oblio e ingorgano la sua mente come apparizioni di fantasmi. Nel primo dei tanti flashback che punteggiano il racconto Leena vede nel controcampo se stessa bambina, poi un totale al bordo di una piscina ci mostra le due donne – l'adulta e la bambina – una accanto all'altra: chi ricorda e chi è ricordata coa­bitano nella stessa immagine. Perché il problema della memoria, oggi, sta prima di tutto qui: nella possibilità (e nella necessità...) di trovare un equilibrio (una coabitazione?) fra soggetto e og­getto, fra il punto di vista di chi rievoca il passato e quello di chi in quel passato viene rievocato. Il cinema lo sa e almeno dai tempi di Spider (2002) di David Cronenberg mette inscena proprio que­sto paradosso, e mostra nella stessa immagine chi ricorda e l'oggetto del suo ricordare. Pernilla Au­gust si muove in questa scia, molto delicata e ri­schiosa sia dal punto di vista epistemologico che da quello drammaturgico, ma mostra di saper evi­tare con sicurezza e con rigore le sirene della la­crima facile e del pathos a buon mercato, riuscen­do a mantenere la messinscena sempre entro un'asciuttezza e una sobrietà davvero esemplari. Non c'è mai voyeurismo, in Beyond. Spesso, la macchina da presa stringe sul volto di Leena in primi e primissimi piani molto ravvicinati, im­mersi in una luce fredda, livida e bluastra. E come se l'occhio del cinema fosse lì, pronto a cogliere il riflesso sul volto del minimo turbamento dell'a­nima. Ma non farebbe mai nulla, la August, per spingere quell'anima a rivelarsi contro la sua vo­lontà. Nulla per far gridare quel dolore che pure pulsa e spinge e rantola sotto la superficie del vi­sibile, e che si rende percepibile attraverso det­tagli minimi – ma, a modo loro, abrasivi – della messinscena.
(...) Quando poi il film, in quello che è forse il flashback più scorticante, ci mostra la ragazzina che copre con le mani le orecchie del fratellino immerso nella vasca da bagno, per non fargli sentire le urla ani­mali dei genitori che litigano e si picchiano nella stanza accanto, lì – in quel gesto intriso di pietas e di rifiuto e di protezione – Beyond va davvero oltre. E arriva a offrirci la sua piccola, preziosa e non scontata cognizione del dolore.
Gianni Canova, Il Fatto Quotidiano, 18/3/2011

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