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Private


Regia:Costanzo Saverio

Cast e credits:

Sceneggiatura: Saverio Costanzo, Sayed Qashua; fotografia: Gigi Martinucci; musiche: Alter Ego; montaggio: Francesca Calvelli; interpreti: Mohammed Bakri (Mohammad B.), Lior Miller (Comandante Ofer), Areen Omari (Samiah B.), Hend Ayoub (Mariam B.), Tomer Russo (Soldato Eial), Karem Emad Hassan Aly (Karem B.), Marco Alsaying (Jamal B.), Sarah Hamzeh (Nada B.), Amir Hasayen (Yousef B.), Niv Shafir (Soldato Dan), Sahar Lachmy (Soldato Ariel); produzione: Istituto Luce, Offside; distribuzione: Istituto Luce; origine: Italia, 2004; durata: 90’.


Trama:La Famiglia B., musulmana, vive in una casa che si trova tra gli insediamenti israeliani e i territori arabi.La loro abitazione viene occupata da un gruppo di soldati israeliani che concede loro l'uso del solo salotto.

Critica (1):Quando un confine implode e sega in due una casa palestinese. Mette le ali nella stretta parentesi di una metafora claustrofobica e domestica Private, l’unico film completamente italiano presentato ieri al Festival di Locarno nella sezione del concorso e accolto da lunghi applausi del pubblico in un palasport strapieno. La pellicola, che porta in calce la firma di Saverio Costanzo all’esordio sui tempi estesi del lungometraggio, raggruma in quattro pareti il riverbero privato e a corto raggio del più grande dramma mediorientale. Un microscopio narrativo che, senza cavalcare accenti sconfortanti o allentare le tensioni in un’amaca consolante, diventa lo zoom emotivo di una coesistenza imposta e forzata. E a pilotare gli sguardi, mettendo in surplace ogni giudizio politico più diretto, la posizione «arbitrale» di un regista che, mettendosi alla finestra, lascia parlare la situazione senza assonnarla sui cuscini di un buonismo fuori luogo.
Così, assoldando per cinque settimane un cast che mette spalla a spalla attori palestinesi e attori israeliani molto amati dai loro pubblici, il film ricostruisce nella Locride calabrese la condizione dimezzata di un’abitazione palestinese abbarbicata sugli orli dei territori occupati. Lì, trascina la sua esistenza una famiglia numerosa che trova nel colto e civile Mohammad (Mohammad Bakri), docente di letteratura inglese, un equilibrato padre di famiglia. E così, sui brevi flash che puntellano una vita quotidiana fatta di compiti scolastici per i figli, mogli intente a spadellare in cucina e a stendere i panni all’aperto, rasature di barba davanti allo specchio, ecco lo choc dell’irruzione di una pattuglia di soldati israeliani. Una notte soltanto e tutto viene capovolto per sempre. Attraverso un’operazione lampo, i soldati si accampano sulla «torretta di controllo» del primo piano, obbligando la famiglia a rintanarsi in quello inferiore senza possibilità d’uscita dopo che Mohammad aveva rifiutato l’evacuazione totale. Un sopra e sotto che prende sangue da una situazione fisica, ma che accoglie in sé tutto il rimbombo dell’allegoria. E se i militari sembrano soltanto obbedire a logiche calate dall’alto, ma non vissute nelle proprie vene, Mohammad si sbraccia per serrare le fila della famiglia su una posizione che attraverso un dignitoso silenzio urli la propria resistenza pacifica.
Nasce da qui, da questa coercizione a un dialogo senza dialogo, un rapporto di convivenza in cui la violenza non deborda in azioni corporali o sanguinarie, ma indossa un vestito psicologico che è una camicia di forza in grado di bloccare polsi e caviglie. Spazi compartimentati con il righello dello psicodramma, quindi, per una palazzina che si trasforma in una pentola a pressione. Potrebbe esplodere da un momento all’altro, la tensione non permette boccate d’aria tante sono le mine vaganti che sembrano scortare i passi dei nostri protagonisti. Come la curiosità della figlia maggiore di Mohammad che infrange più volte il tabù della scale tra un piano e l’altro per andare a rinchiudersi dentro un armadio e spiare i soldati israeliani. Uno sguardo clandestino che attraverso la feritoia di uno spiraglio umanizza le uniformi del nemico, sentendole parlare di calcio, musica e relazioni sentimentali. O ancora l’irruzione di un desiderio adolescenziale di vendetta da parte del fratello che scantona dall’esempio pacifico del padre per proiettarsi con l’immaginazione in un televisore nei panni di un combattente-kamikaze armato fino ai denti.
Nell’impossibilità di mettere in marcia una comunicazione che si azzoppa nella troppa vicinanza, soltanto chi avrà l’occhio per trafugare un piccolo sguardo di complicità nei confronti del nemico riuscirà a trovare l’oasi di una piccola salvezza. Chiudendosi in un’unica scatola simbolica, il film riesce ad accendere il nervo di una suspense che preme le dita sul conflitto mediorientale per farlo albergare su un pianerottolo più universale. E gli scossoni d’immagine in stile simil-dogma non possono che remare nella stessa direzione. Riprendendo i corpi da una distanza ravvicinata, la camera digitale di Costanzo si fa matita visiva, schiaffeggia l’aria viziosa della casa, sbatte contro le pareti, fruga e si sporca nelle sgranature emotive che vanno a rincorrere i respiri dei protagonisti. Sì, Private è proprio un bel film e non ci stupirebbe se ce lo ritrovassimo da qualche parte in zona-Pardo.
Lorenzo Buccella, L’Unità, 13/8/2004

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Saverio Costanzo
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