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Gelosia


Regia:Germi Pietro

Cast e credits:
Soggetto: tratto dal romanzo di Luigi Capuana “Il Marchese di Roccaverdina”; sceneggiatura: Giuseppe Mangione, Giuseppe Berto, Pietro Germi; scenografia: Carlo Egidí; fotografia: Leonida Barboni; musica: Carlo Rustichelli; interpreti: Marisa Belli (Agrippina Solmo), Erno Crisa (il barone Antonio), Alessandro Fersen (don Silvio), Liliana Gerace (contessina Zosima), Vincenzo Musolino (Fattore Rocco), Grazia Spadaro (Mamma Grazia), Maresa Gallo (Santa), Gustavo De Nardo, Amedeo Trilli, Loriana Varoli, Gustavo Serena (medico), Giuseppe Martella (Salvatore), Assunta Radico, Pasquale Martino (commissario), Paola Borboni; produzione: Minerva Film; origine: Italia, 1953; durata: 86'.

Trama:Il marchese di Roccaverdina, invaghitosi di una contadinella, Agrippina Solmi, l'accoglie nel suo palazzo e ne fa la sua amante. Punto dalle critiche dei nobili, egli tenta d'educare la sua amante, facendole assumere modi signorili; ma ben presto s'accorge della vanità del tentativo. Poiché egli è sempre follemente innamorato d'Agrippina, decide di farle sposare, pro forma, il suo fattore Rocco: il matrimonio però non dovrà essere consumato. Ma il giorno delle nozze, il sospetto che Rocco non tenga fede ai patti, l'induce ad ucciderlo proditoriamente. Quando un innocente, Neli Casaccio, viene condannato per il suo delitto, il marchese, tormentato dal rimorso, cerca sollievo nella confessione; ma poiché lo sciagurato non è disposto ad assumere la propria responsabilità, il sacerdote non può assolverlo. Oppresso dal rimorso, il marchese si ammala: lo cura con devozione Zosima, la bionda cugina, che i parenti vorrebbero fargli sposare. Rimessosi in salute, egli la sposa; ma poco dopo riallaccia la relazione con Agrippina. Intanto Neli Casaccio evade dal carcere e, per il mancato intervento del marchese, viene ucciso dai carabinieri. Il marchese impazzisce e muore, confortato da Agrippina.

Critica (1):Tre anni dopo Il cammino della speranza Germi torna in Sicilia per girarvi Gelosia, tratto dal "Marchese di Roccaverdina" di Luigi Capuana. Siamo fuori, ancora, dall'area neorealista, pur se è possibile stabilirvi più di un aggancio: il film è infatti la traduzionedi un’opera letteraria di un convinto assertore di una poetica con la quale il cinema italiano del dopoguerra aveva evidenti affinità. Capuana fu infatti "un sostenitore instancabile del 'metodo impersonale' che vide realizzato pienamente nelle opere del Verga, in quelle del De Roberto e, è sottinteso, nelle proprie dove 'i personaggi e i loro atti, e i loro sentimenti' erano 'esposti oggettivamente' senza relazione col pensiero individuale dell'autore". Sebbene con Gelosia il regista consumasse un altro "tradimento' nei confronti del neorealismo, l'influenza di questo si manifesta soprattutto per la scelta evidentemente non casuale di un testo letterario fra i più significativi del tardo Ottocento. Chi ricordi l'intenso dibattito teorico che precedette la nascita del nostro cinema nel dopoguerra e l'interesse per tutta la narrativa europea di matrice realistica che lo aveva ispirato, potrà agevolmente collocare questa prova di Germi in un ambito di ricerche abbastanza omogenee al neorealismo. "A noi che crediamo nell'arte specialmente in quanto creatrice di verità, la Sicilia omerica e leggendaria dei Malavoglia, di Mastro Don Gesualdo, dell'Amante di Gramigna, di Jeli il pastore, ci sembra nello stesso tempo offrire l'ambiente più solido e umano, più miracolosamente vergine e vero, che possa ispirare la fantasia di un cinema il quale cerchi cose e fatti in un tempo e in uno spazio di realtà, per riscattarsi dai facili suggerimenti di un mortificato gusto borghese", avevano scritto De Santis e Alicata in un notissimo articolo.
Se Verga con "I Malavoglia" - punto obbligato di questo discorso - aveva dato inizio alla sua grande epica dei "vinti", anche Capuana col "Marchese di Roccaverdina", che è concordemente ritenuto il suo capolavoro, ripropone lo stesso motivo: "innanzitutto il marchese stesso - è stato notato - che non sa di essere più un "maluomo" come gli avi e che è sconfitto nel suo imperioso (e dapprima incontrastato) disegno di garantirsi la vita e la fedeltà della ex amante contadina dandola sposa - con impegno di perenne castità - al fedelissimo Rocca... anche la signorina Mugnos, poi marchesa di Roccaverdina, è una vinta, che si vede negato il diritto a una povertà infelice ma dignitosa e che sarà costretta a mettere a nudo, davanti a tutto il paese, l'interiore aridità quando è travolta dalla follia del marito".
Circa dieci anni prima il romanzo di Capuana era stato portato sullo schermo con lo stesso titolo da Ferdinando M. Poggioli in uno dei suoi migliori film. Rispetto a questa prima trasposizione le differenze con l'analogo lavoro di Germi risultano in primo luogo dall'impianto scenografico: mentre Poggioli girò quasi tutto in interni, la seconda versione fu ambientata dal vivo, secondo una prassi che il neorealismo aveva consolidato e che lasciava spazi sempre più ampi alla presenza del paesaggio come motore interno del dramma. A tal proposito Alessandro Fersen, che interpretò il ruolo di Don Silvio, affermò che "la caratteristica del film sta proprio nello studio
dell'ambiente. Ciò che nel film di Poggioli era intensità puramente drammatica, di azione, qui trova specchio e riscontro nell'intensità dell'ambiente siciliano. Anch'esso diventa protagonista. Si può stabilire facilmente un rapporto fra l'asprezza del dramma e quella del paesaggio nel quale esso ha luogo".
Sotto un secondo aspetto la prima traduzione cinematografica del romanzo si iscriveva in un capitolo in parte divergente dalle esigenze che il verismo di Capuana avrebbe legittimato, collegandosi a quel calligrafismo che fu senza dubbio la più significativa corrente del cinema italiano dei primi anni Quaranta. Germi, indifferente per natura a siffatte suggestioni di tipo formalistico, dovette certo avvertire che col suo nuovo film si lasciava alle spalle buona parte della precedente sua esperienza: "un regista può considerarsi tale solo quando con uguale impegno affronta i più disparati soggetti e fruga con la macchina da presa in tutti gli ambienti e in ogni epoca... Ogni cosa nel mondo e nella vita costituisce materia di studio e di interesse, sia che si giri un film nel centro della Sicilia che tra i grandi alberghi della Costa azzurra... ciò che importa è l'entusiasmo con il quale si affronta un lavoro".
Vito Attolini, II cinema di Pietro Germi, Elle Edizione 1986

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