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Gadjo Dilo - Straniero pazzo - Gadjo Dilo - The crazy stranger - L’étranger fou


Regia:Gatlif Tony

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Tony Gatlif; fotografia: Eric Guichard; musiche: Tony Gatlif, Rona Hartner; montaggio: Monique Dartonne; interpreti: Romain Duris (Stéphane), Rona Hartner (Sabina), Izidor Serban (Isidor), Ovidiu Balan (Sami), Angela Serban (Angela), Aurica Ursan (Aurica), Vasile Serban (Vasile), Ioan Serban (Ioan), Gheorge Gherebenec (Gheorge), Dan Astileanu (Dumitru), Petre Nicolae (il farmacista); produzione: Guy Marignane; distribuzione: Mikado; origine: Francia, 1997; durata: 100’.

Trama:Stephane, un giovane francese, parte alla ricerca di un cantante di cui ha ascoltato la voce. Si tratta di Nora Luca, cantante zigana di cui possiede solo una audiocassetta che il padre ascoltava negli ultimi anni di vita. Cercherà a lungo in un viaggio attraverso l'Europa che è anche un viaggio nell'anima umana, alla ricerca del significato della vita. Troverà, infine, la sua musa in un villaggio di zingari in Romania.

Critica (1):“Davanti a noi / La terra era incinta / nessuno osava toccare il suo cuore / Nemmeno la rugiada / Né la formica (...) Davanti a noi / né urlo / né grido / né pianto / né sorriso / Davanti a noi / né tomba / né casa”. Così dice Rajko Djuric, poeta zingaro. Qualcosa in queste parole ci sorprende ancor prima del loro senso, ancor prima dell’immagine splendida della terra incinta stentiamo a credere che siano state scritte da uno zingaro, e per di più da uno zingaro poeta. L’incredulità misura noi molto più che lui. Ossia, descrive uno dei nostri pregiudizi più profondi e diffusi : non tanto che gli zingari non possano essere poeti – eventualità che neppure consideriamo – , ma che non siano davvero uomini, che non abbiano sentimenti pienamente umani. Per il nostro senso comune, piuttosto, sono inquietanti creature del disordine, criminali e ladri, mentitori e sporchi. Come Djuric, zingaro e poeta, così anche Tony Gatlif, zingaro d’Algeria e autore cinematografico, mina alle radici il nostro pregiudizio. La sua macchina da presa entra in una comunità Rom, e con sé porta la curiosità dei nostri occhi che si aprono su quello che non hanno mai visto, o che forse hanno altre volte respinto chiudendosi.
Gajo Dilo (Francia, 1997) inizia appunto con un’apertura : quella culturale ed emotiva di Stéphane (Romain Duris), viaggiatore e vagabondo che s’è venuto a perdere fin da Parigi nel gelo della piana attorno a Bucarest. Come ogni vero viaggiatore e vagabondo, non ha in mente una meta certa. Al contrario, insegue un’immagine sfocata e per questo affascinante una cantante rom di cui niente conosce a parte il nome, Nora Luca, e la voce catturata dal padre anni prima in giro per il mondo, e che ora si porta appresso, su un nastro.
Per Stéphane, confuso nel bianco sterminato dell’inverno tutto è possibile : i suoi occhi non conoscono la misura d’un confine, ma sono aperti allo stupore. Così dovrebbero essere anche i nostri, mentre in platea ci perdiamo nel suo stesso felice perdersi. Qual è la gioia del cinema se non questa del perdersi a occhi bene aperti ? Se, in qualche modo, ogni vero viaggiatore e vagabondo è uno spettatore, dal canto suo ogni vero spettatore è un viaggiatore e un vagabondo.
Ben oltre la sua “meta” immediata, Stéphane si trova coinvolto (e ci coinvolge) in una storia che mai prima s’è sentito raccontare. Narra, questa storia, di costumi strani, di uomini e donne dai visi e dai corpi scuri (mustalais, “negri” son chiamati in Finlandia gli zingari). Narra, ancora di case inusuali e di suoni forti, di ragazzini che corrono a frotte, irrispettosi e vivi, di donne sfrontate – così il nostro senso comune è tentato di descriverle –, di gesti intensi, di rituali sconcertanti. Il pericolo, qui, non è solo di chiudere gli occhi, di riconfermare il pregiudizio per difenderci da questa storia del tutto nuova. E anche di ridurla a folclore, di considerarla pittoresca. Gatlif ha il merito di tenerci lontani da questa tentazione, di non indurci a osservare queste donne e questi uomini con quel misto di sorpresa e benevolenza che è l’altra faccia del pregiudizio nei confronti di chi ci sia “straniero” (il quale pregiudizio non è solo nostro, ma d’ogni gruppo, e dunque anche dei Rom del film, che all’inizio espellono Stéphane proprio come noi facciamo con gli zingari “È un pazzo. Deve aver rubato i nostri polli. Al ladro !”).
Gadjo dilo non è mai folcloristico appunto. In qualche passaggio semmai, è più etnografico di quanto gioverebbe alla fluidità narrativa e all’emozione. D’altra parte, questo interesse di Gatlif alla documentazione d’una cultura ha il merito di fare un po’ di luce su un popolo di artigiani e musicisti che da quindici e più secoli attraversa gli altri popoli, dalla Siria all’Egitto, dai Balcani alla Spagna, spinto come ogni popolo dal sogno d’una “terra incinta”, eppure condannato all’odio.
E di questo, dell’odio che porta a uccidere, finisce per narrarci il film. Attorno ai Rom del vecchio Izidor c’è tensione ininterrotta, interminabile intrecciarsi e sovrapporsi di contiguità e rifiuto. Rumeni e zingari vivono gli uni accanto agli altri, frequentano la stessa osteria, talvolta quelli allietano le proprie feste con la musica e le danze di questi. Eppure, basta un nulla perché, di rancore in rancore, la crisi esploda, le case vengano bruciate, gli uomini trucidati.
Nel tentativo di spezzare questo cerchio interminabile di morte, nel film si suppone che, per una volta, siano smentite le parole di Rajko Djuric, zingaro e poeta, e che davanti a Izidor e ai suoi ci si una speranza. Stéphane, uno “straniero”, vede l’orrore e la cecità dell’odio e perciò fa propria l’identità rom, mentre Sabina (Rona Hartner) lo osserva con un sorriso tenero, ma forse anche divertito dalla sua goffaggine di gadjo. Così immagina Tony Gatlif, zingaro e autore cinematografico.
Roberto Escobar, Il Sole-24Ore, 31/05/98

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