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Infanzia di Ivan (L') - Ivanovo Detstvo


Regia:Tarkovskij Andrej

Cast e credits:
Sceneggiatura: Michail Papava e Vladimir Bogolomov, da "motivi" del racconto di V. Bogolomov, "Ivan"; fotografia (bianco e nero): Vadim Jusov; scenografia: Evgenij Cernaev; musica: Vjaceslav vcinnikov; montaggio: G.Natanson; interpreti: Nikolaj Butliaev (Ivan) Valentia Zubkov (Cap. Cholin), E. Zarikov (Ten. Galcev), S. Krylov (Katasonic), Nikolaj Grinko (Col. Grjaznov), D. Miljutenko (il vecchio col gallo), V. Maljavina (Masa), Irma Tarkovskaja (la madre di Ivan), Andrej MichalkovKoncalovskij(il soldato con gli occhiali); produttore: Mosfilm; distribuzione: Cineteca Italia-URSS; durata: 85'; anno: 1962.

Trama:
Solo al mondo (i tedeschi gli hanno sterminato la famiglia), il dodicenne Ivan fa la staffetta e l'esploratore per i partigiani russi, lacerato tra l'odio per il nemico e il bisogno di tenerezza e protezione. La guerra ingoia anche lui.

Critica (1):Si è parlato di tradizionalismo e, contemporaneamente, di espressionismo, di simbolismo sorpassato. Mi permetta di dire che questi criteri formalitici sono essi stessi sorpassati. E' vero: in Fellini, in Antonioni il simbolismo cerca di nascondersi. Ma con l'unico risultato di essere ancora più lampante. Nè di più lo evitava il neorealismo italiano. Bisognerebbe parlare a questo punto della funzione simbolica di qualunque opera, anche la più realistica. Non ne abbiamo il tempo. Del resto, è piuttosto la natura del suo simbolismo che si è voluto rimproverare a Tarkovskij; i simboli sarebbero espressionistici (?) o surrealistici! Ecco ciò che non posso accettare. In primo luogo perchè si ritrova qui l'accusa che un certo accademismo in corso di sparizione rivogle, anche in URSS, al giovane regista. Per alcuni critici, laggiù, e per i vostri migliori critici, qui, parrebbe che Tarkovskij abbia assimilato in fretta procedimenti sorpassati in Occidente e che li applichi senza discernimento. Gli vengono rimproverati i sogni di Ivan: "dei sogni! Noi altri, abbiamo smesso da tempo, in occidente, di utilizzare i sogni. Tarkovskij è in ritardo: andava bene nel periodo tra le due guerre!" Ecco che cosa ho letto da penne autorizzate.
Ma Tarkovskij ha ventott'anni (me l'ha detto lui stesso, non trenta come hanno scritto alcuni giornali) e, siatene certi, conosce malissimo il cinema occidentale. La sua cultura è essenzialmente e necessariamente sovietica. Non si guadagna nulla, si perde tutto a voler derivare da procedimenti borghesi un "trattamento" che viene dal film stesso e dalla materia da trattare. Ivan è folle, è un mostro; è un piccolo eroe; in verità è la più innocente e toccante vittima della guerra: questo ragazzo al quale non si potrà fare a meno di voler bene è stato forgiato dalla violenza e l'ha interiorizzata. I nazisti l'hanno ucciso quando hanno ucciso sua madre e massacrato gli abitanti del suo villaggio. Eppure, vive. Ma altrove, in quell'istante irrimediabile nel quale ha visto cadere il suo prossimo. Io ho visto alcuni giovani algerini allucinati, plasmati dai massacri. Per loro non c'è differenza tra l'incubo della veglia e gli incubi notturni. Erano stati uccisi, volevano uccidere e farsi uccidere. Il loro accanimento eroico è anzitutto l'odio e la fuga da un'insopportabile angoscia. Se si battevano, nel combattimento fuggivano l'orrore; se la notte li disarmava, se ritornavano, nel sonno, alla tenerezza della loro età, l'orrore rinasceva, rivivevano il ricordo che volevano dimenticare. Così è Ivan. Ed io penso che, anzi, va lodato Tarkovskij per aver mostrato così bene come, per questo bambino teso al suicidio, non ci sia differenza tra giorno e notte. In ogni caso, non vive con noi. Le azioni e le allucinazioni si corrispondono strettamente. Guardate i rapporti che egli mantiene con gli adulti: vive in mezzo alle truppe, alcuni ufficiali - brava gente, coraggiosa, ma "normale", che non ha dovuto patire un'infanzia tragica - lo raccolgono, si occupano di lui, gli vogliono bene, vorrebbero ad ogni costo "normalizzarlo", spedirlo nelle retrovie, a scuola. Il bambino potrebbe, apparentemente, come nella novella di Sciolochov, trovare tra loro un padre per sostituire quello che ha perduto. Troppo tardi: egli non ha più bisogno neppure genitori; in modo più profondo ancora che questa privazione, è l'orrore incancellabile del massacro visto a ridurlo alla solitudine. Gli ufficiali finiscono per considerare il bambino con un miscuglio di tenerezza, di stupore e di diffidenza dolorosa: vedono in lui quel mostro perfetto tanto bello e quasi odioso che il nemico ha radicalizzato, che si afferma soltanto attraverso impulsi assassini (a esempio, il coltello) e che non può troncare i legami della guerra e della morte che, adesso, ha bisogno di questo universo sinistro per vivere, che, in mezzo ad una battaglia è liberato dalla paura e che, nelle retrovie, sarebbe travolto dall'angoscia.
La piccola vittima sa ciò che gli occorre: la guerra - che lo ha fatto - il sangue, la vendetta. Così, i due ufficiali gli vogliono bene; quanto a lui, tutto ciò che si può dire, è che non li detesta.
L'amore, per lui, è una strada sbarrata per sempre. Gli incubi, le allucinazioni non hanno nulla di gratuito. Non si tratta di un pezzo di bravura e neppure di un sondaggio praticato nelle "soggettività" del bambino: essi restano perfettamente oggettivi, si continua a vedere Ivan dall'esterno come nelle scene "realistiche"; la verità è che il mondo intero per questo bambino è un'allucinazione e che lo stesso bambino, mostro e martire, è in quell'Universo, un'allucinazione per gli altri.
E' per questo che la prima sequenza ci introduce abilmente nel mondo vero e falso che è quello del bambino e della guerra, descrivendoci tutto a partire dalla corsa vera del bambino attraverso i boschi fino alla falsa morte della madre (è morta davvero, ma l'avvenimento - che noi non conosceremo mai perchè è sepolto troppo nel profondo - era differente; non ritorna mai alla superficie se non attraverso trascrizioni che gli tolgono un poco del suo nudo orrore). Follia? Realtà? L'una e l'altra: in guerra tutti i soldati sono folli; il bambino mostro è una testimonianza obiettiva della loro follia perchè è lui il più folle. Non si tratta dunque nè di espressionismo, nè di simbolismo ma di un modo di raccontare che l'argomento stesso esige, e che il giovane poeta Voznesenskij chiamava "surrealismo socialista". Sarebbe stato necessario penetrare più profondamente le intenzioni dell'autore per comprendere lo stesso significato del tema: la guerra uccide coloro che la fanno anche se sopravvivono ad essa. E, in senso più profondo, la storia, con un unico movimento reclama i propri eroi, li fa e li distrugge rendendoli inadatti a vivere senza soffrire nella società che essi hanno contribuito a forgiare. [...]

Jean Paul Sartre, da una lettera a L' Unità del 911011962

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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