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Tre volti - Se rokh


Regia:Panahi Jafar

Cast e credits:
Soggetto: Jafar Panahi; sceneggiatura: Jafar Panahi, Nader Saeivar; fotografia: Amin Jafari; musiche: Imaj Studio Tabriz; montaggio: Mastaneh Mohajer, Panah Panahi; scenografia: Leila Naghdi Pari; costumi: Leila Naghdi Pari; effetti: Hamed Musavi; interpreti: Behnaz Jafari, Jafar Panahi, Marziyeh Rezaei, Maedeh Erteghaei, Narges Delaram (madre), Fatemeh Ismaeilnejad (anziana nella tomba, Yadollah Dadashnejad (Yadollah), Ahmad Naderi Mehr (Karbalaei), Hassan Mihammadi (anziano sulla strada), Mehdi Panahi (fratello di Marziyeh), Shahrzad (Letture), Asghar Aslani (proprietario di bestiame), Yusef Moharamian (suonatore di duduk); produzione: Jafar Panahi per Jafar Panahi Film Productions; distribuzione: Cinema di Valerio De Paolis; origine: Iran, 2018; durata: 100’.

Trama:La famosa attrice Behnaz Jafari riceve il video di una giovane che implora il suo aiuto per sfuggire alla propria famiglia conservatrice e tiranna. Behnaz abbandona le riprese del film a cui sta lavorando e si rivolge al regista Jafar Panahi per risolvere il mistero del video e raggiungere la ragazza. Inizia così un viaggio in auto verso il nordovest rurale dove ogni incontro è pieno di fascino e ironia.

Critica (1):Il regista iraniano Jafar Panahi è da otto anni agli arresti domiciliari, più il divieto di girare film per vent'anni. Continua a lavorare con mezzi minimi. In Se rokh sembra anzitutto dire che non può neppure pensare di girare un film suo. Può soltanto fare un film alla maniera di un suo maestro. Io sono chiuso in casa, non faccio un film mio, lo faccio come fosse un film sognato da un altro che non può più, neppure lui, girare film. Di un film di Abbas Kiarostami questo film del confinato Jafar Panahi ha tutte le movenze. Sembra la prosecuzione del percorso di Kiarostami, di cui Panahi è stato stretto collaboratore. Ricorda Dov'è la casa del mio amico? (1987), o Close Up (1990), o E la vita continua (1992), o Il sapore della ciliegia (1997), o Il vento ci porterà via (1999). È un Kiarostami degli anni belli: con l'Iran di colline e valli, di strade attorcigliate, villaggi sperduti, po­vere case, vicoli bui e Panahi che va in macchina come in macchina, nei suoi film, è andato spesso Kiarostami, morto nel 2016.
L'inizio è drammatico. L'attrice Behnaz Jafari, nel ruolo di se stessa, riceve il video di una giovane attrice disperata che si impicca mentre il cellulare la riprende. Immagini vere o ingannevole messa in scena? Secondo Panahi potrebbero essere vere. Così i due, Panahi e la Jafar, si mettono in
viaggio verso un paese vicino alla frontiera turca, in cerca di Marziyeh, forse suicida. Si mettono in cerca di una verità: e questo del cercare una verità, nel mondo, nel cinema, nell'immagine, è stato uno dei motivi portanti di tanto cinema iraniano.
Comincia un'indagine in un Iran fermo in chissà quale tempo. Con un'attrice che vorrebbe (o avrebbe voluto) essere di questo nostro tempo. Con un regista cui è proibito giraré film in cui continuare a porsi domande: e infatti Panahi si limita per tutto il film a fare l'autista. Con l'intervento di personaggi che, anche nelle maniere più incongrue, cercano di entrare in questo tempo da cui sono esclusi. Come quell'anziano che porta a Panahi, pensa te, il prepuzio del figlio, conservato per anni, perché lo consegni a Teheran a un attore famoso che per loro, padre e figlio, rappresenta la virilità e il successo e sarebbe garanzia di successo anche per il figlio. Come se il cinema avesse sostituito la religione. Come se quell'attore famoso potesse passare un po' della sua fama a quel figlio. Cosa che non potrà mai accadere visto che l'attore famoso è all'estero e non ha il permesso di rientrare in Iran: e Panahi non ha il permesso di uscire dall'Iran...
Panahi e la sua compagna di viaggio scoprono anche che Marziyeh era – è? – a sua volta un simbolo divisivo, come lo stesso Panahi, ammirata/o da alcuni per il suo desiderio di uscire dall'isolamento, malvista/o da altri per questo stesso desiderio. Se rokh è un'utile meditazione sull'impossibilità di fare film, sull'essere costretti a non pensare neppure di poter fare un film. Su un Iran immobile. Sull'immaginarsi addirittura che un prepuzio – cosa? – possa smuovere qualcosa.
Bruno Fornara, Cineforum n. 575, 6/2018

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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