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Oltre le colline - Dupa dealuri


Regia:Mungiu Cristian

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo di Tatiana Niculescu Bran; sceneggiatura: Cristian Mungiu; fotografia: Oleg Mutu; montaggio: Mircea Olteanu; scenografia: Calin Papura, Mihaela Poenaru; costumi: Dana Paparuz; suono: Cristian Tarnovetchi; interpreti: Cosmina Stratan (Voichita), Cristina Flutur (Alina), Valeriu Andriuta (Prete), Dana Tapalaga (Madre superiora), Catalina Harabagiu (Suor Antonia), Gina Tandura (Suor Iustina), Vica Agache (Suor Elisabeta), Nora Covali (Suor Pahomia), Dionisie Vitcu (Sig. Valerica), Ionut Ghinea (Ionut), Liliana Mocanu (Madre Elena), Doru Ana (Padre Nusu), Costache Babii (Dottor Solovastru), Alina Berzunteanu (Dott.ssa Radu), Teodor Corban (Ispettore di Polizia), Cristina Cristian (Camelia), Petronela Grigorescu (Dott.ssa Neagu), Liana Petrescu (Suor Arcadia), Alexandra Agavriloaiei (Suor Eudoxia), Alexandra Apetrei (Suor Tatiana), Noemi Gunea (Suor Lavrentia), Katia Pascariu (Suor Sevastiana), Mara Carutasu (Suor Aanastasia), Cerasela Iosifescu (Dott. D.L.), Ada Barleanu (Infermiera Gina), Mariana Liurca (Infermiera Sandra), Marian Adochitei (Gabi), Andreea Bosneag (Georgiana); produzione: Cristian Mungiu, Pascal Caucheteux, Gregoire Sorlat, Vincent Maraval, Jean-Pierre & Luc Dardenne, Bobby Paunescu Jean Labadie per Mobra Films in coproduzione con Why Not Productions-Les Films Du Fleuve-France 3 Cinéma-Mandragora Movies; distribuzione: BIM; origine: Romania-Francia-Belgio, 2012; durata: 150’.

Trama:Voichita e Alina sono cresciute insieme in orfanotrofio fino alla maggiore età. Successivamente, la prima è stata accolta nel monastero locale mentre la seconda è stata affidata ad una famiglia adottiva, dalla quale è scappata per andare in Germania. Ora Alina torna per portare via con sé anche l'amica, l'unica persona che abbia mai amato e da cui sia mai stata amata. Ma Voichita non è certa di voler lasciare la comunità religiosa. Intanto l'irrequietezza di Alina porta il prete e le sorelle a credere che sia malata o indemoniata.

Critica (1):Ispirato a un fatto di cronaca che risale al 2005, il film racconta la storia di Alina, una ragazza che, in visita a un'amica che conduce vita monacale in un monastero sperduto tra le montagne, muore dopo essere stata sottoposta a un esorcismo. Mungiu prende comunque le distanze dalla cronaca, dando alla vicenda cadenze e sfumature da storia di amor fou: la ragazza in visita al monastero è innamorata dell'amica alla quale si è ricongiunta, con la quale aveva avuto una relazione in passato, quando erano entrambe ospiti di un orfanotrofio. E a questo amore non intende rinunciare, nonostante la riluttanza della sua ex coni pagna – ora sotto l'influenza del prete a capo della comunità e delle altre monache – a riprendere la relazione. Come in un celebre film di Lars Von
Trier, Le onde del destino, col quale questo di Mungiu ha diversi punti in comune, i tratti di ostinazione e assolutezza che segnano i sentimenti della protagonista fanno gradualmente venire alla luce il sostrato di intolleranza alla base della fede. Il prete e le sue sottoposte non sono nemmeno lontanamente in grado di capire la sofferenza di Alina, tanto meno di curarla, e questa incapacità diventa la benzina che alimenta la loro rabbia, soprattutto quando la quotidianità sobria e austera del monastero viene messa in subbuglio dall'inquietudine della ragazza, che rimane tanto più aggrappata al suo amore quanto più lo vede scivolare via. La reazione al suo dolore del prete e delle altre monache assume così le sembianze di un'insofferenza che in breve genera forme di aggressività e prevaricazione destinate a culminare in un maldestro tentativo di esorcismo, che di fatto coincide con un atto di tortura. Il punto di forza del film sta nella sua egregia progressione drammatica: attento ai dettagli e alle sfumature che caratterizzano il conflitto tra la ragazza e il resto del gruppo, Mungiu coglie, senza forzature né inverosimiglianze, tutti i passaggi che segnano la degenerazione del rapporto, dalla sponda della reciproca incomprensione a quella della sopraffazione fisica. Di tanto in tanto nel film fanno capolino altri personaggi: medici e psicologi (alla prima seria crisi, la ragazza viene portata in ospedale), gente comune (la famiglia adottiva di Alina,) poliziotti (chiamati ad accertare, nella parte finale del racconto, le circostanze della morte avvenuta in monastero). Da tutti traspare un sentimento di completa noncuranza verso i sentimenti e il destino della ragazza. Il trattamento riservato ad Alina in monastero diventa così la punta di un iceberg segnato dalla completa sordità delle istituzioni – religiose, sociali, mediche, familiari – verso la sofferenza della protagonista, i cui travagli emotivi vengono di volta in volta trascurati, condannati o addirittura repressi con la forza. Incapace di sintonizzarsi sulla lunghezza d'onda dell'ambiente circostante, la ragazza viene lasciata andare alla deriva. Con metodo e pazienza, operando con perizia sui dialoghi e nella direzione degli attori, Mungiu mette impietosamente a nudo un universo incardinato su regole che non danno spazio ai sentimenti, giudicati eversivi al punto da meritare una punizione esemplare. E a questo ritratto di un mondo afflitto da anemia emotiva contribuisce in modo determinante il suo stile di regia: scene prolungate nel tempo e con un unico punto di ripresa, che spesso comprende nell'inquadratura diversi personaggi. Una forma di realismo malinconico, rassegnato alla visione di una tragedia che si consuma gradualmente, lontano da ogni pathos melodrammatico, con la quieta e inesorabile placidità di un evento naturale.
Leonardo Gandini, Cineforum n. 515, 6/2012

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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