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E ora dove andiamo? - Et maintenant on va où?


Regia:Labaki Nadine

Cast e credits:
Sceneggiatura: Nadine Labaki, Jihad Hojeily, Rodney El-Haddad, Thomas Bidegain; fotografia: Christophe Offenstein; musiche: Khaled Mouzanar; montaggio: Véronique Lange; scenografia: Cynthia Zahar; costumi: Caroline Labaki; interpreti: Nadine Labaki (Amale), Claude Baz Moussawbaa (Takla), Layla Hakim (Afaf), Yvonne Maalouf (Yvonne), Antoinette El-Noufaily (Saydeh), Petra Saghbini (Rita), Ali Haidar (Roukoz), Kevin Abboud (Nassim), Mostafa Al Sakka (Hammoudi), Sassen Kawzally (Issam), Julien Farhat (Rabih), Anjo Rihane (Fatmeh), Khalil Bou Khalil (sindaco), Samir Awad (prete), Ziad Abou Absi (capo del villaggio), Mohammad Akil (Abou Ahmad), Gisèle Smeden (Gisèle), Caroline Labaki (Aida); produzione: Nadine Labaki e Anne-Dominique Toussaint per Les Films Des Tournelles-Pathé-Les Films De Beyrouth-United Artistic Group-Chaocorp-France 2 Cinéma-Prima Tv con la partecipazione di Canal +-Cinecinema-France 2; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Francia- Libano-Italia-Egitto, 2011; durata: 100’.

Trama:In un isolato villaggio libanese dove cristiani e musulmani convivono pacificamente, un gruppo di donne è determinato a proteggere la comunità disinnescando le improvvise tensioni interreligiose portate da forze esterne al villaggio.

Critica (1):Buone notizie dal Medio Oriente. Nel Libano eternamente dilaniato tra mille fazioni è nata una regista che maneggia i generi più esplosivi e le trovate meno ortodosse con leggerezza da coreografa e mira da lanciatore di coltelli. Si chiama Nadine Labaki e qualcuno si ricorderà di lei per Caramel, la commedia ambientata in un salone di bellezza che rivelò il suo talento (e la sua grazia, Labaki è anche attrice, qui fa la padrona del bar). Stavolta però la 37enne scoperta a Cannes compone un'irresistibile requisitoria per la pace mescolando gli ingredienti più disparati con sfacciataggine, inventiva, felicità non comuni. E ora dove andiamo? si apre infatti con una memorabile scena da tragedia greca – un gruppo di donne nerovestite avanza battendosi il petto e quasi danzando in un paesaggio desolato – ma presto si trasforma in qualcosa di completamente diverso. Un'indiavolata commedia rusticana, parlata e qua e là cantata in arabo. Un western mediorientale in cui le donne hanno il ruolo dei buoni e gli uomini quello dei cattivi. Una favola con momenti musical ambientata in un paesino dove cristiani e musulmani convivono in naturale e precaria armonia. (...) Anche se l'idea più bella (e molto mediorientale) di questa strategia di pace non si può raccontare senza sciupare un film che vive di inventiva, di libertà, di salti di tono. E del piacere contagioso con cui Labaki dirige un cast folto quanto colorito mescolando attori e non (ognuno troverà i suoi beniamini, noi abbiamo un debole per la madre del ragazzo sfortunato e per la coppia formata dal sindaco e da sua moglie, una signora trovata in loco che ha la grinta e il fascino di una regina delle scene). Generosità non significa perfezione, qualcosa magari si poteva limare. Ma tanta energia è una benedizione. Se c'è un film che merita di diventare il simbolo delle primavere arabe (dei loro sogni), è questo.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 20/1/2012

Critica (2):«E ora dove andiamo?» La domanda nel finale dà anche il titolo al nuovo film di Nadine Labaki, regista e attrice libanese lanciata dal successo del precedente Caramel di cui come anche stavolta era protagonista e autrice della sceneggiatura – insieme a Rodney El Haddad e Jihad Hojeily. E come lì il punto di vista è di nuovo quello delle donne. Sono loro le protagoniste, il coro di forza, resistenza, ironia, lacrime e astuzia per contrastare l'arroganza degli uomini. I maschi sono stupidi, smaniosi di ammazzarsi, mai disposti a ragionare... Dalla Beirut del salone di bellezza con la cera al miele caramellato Labaki si sposta in un villaggio arroccato tra i monti che anni di guerra hanno devastato riempiendo di morti il cimitero e lasciando le donne a piangere... Siamo di nuovo in Libano, anche se non è mai detto, e in effetti potremmo essere in qualsiasi punto del pianeta in cui religione e 'ernie' divengono l'alibi per una guerra, e soprattutto gli strumenti perfetti per distruggere un pensiero libero, una società avanzata, una cultura multiforme pure con le sue contraddizioni – come poteva essere il Libano degli anni prima la guerra civile. Ma anche per camuffare altre ragioni, forse più vere, le economie, le divisioni di classe, il controllo geopolitico. (...) Non sono però figurine questi personaggi, al contrario respirano morbidezza, sensuali, appassionate, rifiutano con fierezza la stupidità dell'orgoglio. E il senso dell'umorismo, che è la dote più bella della regista, le rende capaci di prendere in mano il destino del proprio paese mettendo in ridicolo la voglia di combattere dei loro uomini. Risata e pianto vanno in altalena, eppure a tratti qualcosa non funziona, quasi che Labaki non riuscisse a controllare gli equilibri facendosi sfuggire qua e là qualche spezia di troppo.
Cristina Piccino, Il Manifesto, 20/1/2012

Critica (3):

Critica (4):
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