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Cinese (La) - Chinoise (La)


Regia:Godard Jean-Luc

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Jean-Luc Godard; fotografia: Raoul Coutard; musiche: Karlheinz Stockhausen; montaggio: Delphine Desfons, Agnès Guillemot; interpreti: Juliet Berto (Yvonne), Lex De Bruijn (Kirilov), Michel Semeniako (Henry), Anne Wiazemsky (Veronique Superviele), Jean-Pierre Léaud (Guillaume Meistre); produzione: Productions De La Gueville/Parc Films/Athos Films/Simar Films/Anouchka Films, Parigi; distribuzione: Cinetca dell’Aquila; origine: Francia, 1967; durata: 90’.

Trama:Tre giovani e due ragazze, cercando di applicare alla propria vita il pensiero di Mao Tse Tung, si dedicano allo studio e alla discussione. Dopo qualche tempo, una delle ragazze, Veronique, propone di uccidere un'alta personalità del mondo culturale francese, come primo di una serie di atti terroristici. Henry, che è l'unico ad opporsi, in nome della coesistenza pacifica, viene tacciato di "revisionismo", ed espulso dal gruppo, mentre Kirilov si uccide, poichè gli è stato rifiutato l'incarico di compiere la missione stabilita. A portarla a compimento è Veronique, ma il significato dell'atto compiuto viene sminuito da un colloquio che la ragazza ha con un suo amico letterato. Alla fine, i superstiti del gruppo ritornano alle loro consuete occupazioni: e Veronique ha la coscienza di aver compiuto solo il primo passo di una lotta estenuante.

Critica (1):Il 1967 è per Godard soprattutto l'anno della Chinoise, forse il suo film piú noto, senz'altro il piú citato e il piú utilizzato da quanti hanno cercato di definire in che cosa consistesse il «godardismo». Alcune soluzioni linguistiche e alcune «trovate» di questo film sono infatti divenute celebri: dalla conservazione dei «ciak» all'inizio di alcune inquadrature, agli effetti piú esemplari di «cinema nel cinema» (vi si vede l'operatore Coutard intento alle riprese), al ricorso programmatico, agli effetti di atraniamento, secondo gli insegnamenti di Brecht cui viene dedicato un palese omaggio (il suo nome è l'unico a non venire cancellato da una lavagna su cui sono stati scritti i nomi di scrittori, filosofi, drammaturghi, il primo a esser cancellato è invece il nome di Sartre). Ma a fare della Cinese un film paradigmatico è anche l'enorme quantità di materiali figurativi accumulati come inserti, sfondi o contrappunti della vicenda o della recitazione degli attori: immagini di fumetti e affiches pubblicitarie, copertine di libri e ritratti di personaggi celebri, esempi di arte «socialista» e aberrazioni della civiltà dei consumi intervengono sempre meno come il risultato di una curiosità culturale poliedrica e sempre piú come necessari strumenti di un discorso che cerca nell'eterogeneità e nella dispersione del reale, e non nella solida lucidità dell'immaginario narrativo, i propri fondamenti. Certamente, come dice Véronique nel film; «l'effetto estetico è immaginario», ma questa parola è da intendere allora in un senso del tutto diverso da quanto fino ad ora è stato fatto. Kirilov le risponderà allora: «Sì, ma questo immaginario non è il riflesso della realtà, è la realtà di questo riflesso». Cioé la realtà, pesante, materiale, della finzione e dell'artificio. Cosí il modello stilistico praticamente costante del film è quello che – nell'isolamento del piano ravvicinato di un attore che recita sullo sfondo di un'immagine – mette costantemente in rapporto le forme visive della cultura di oggi, nella loro riproducibilità tecnica, cioé i riflessi della realtà, con la realtà del riflesso, l'attore con il suo corpo e la sua voce, in primo piano, vicino alla cinepresa che lo riproduce e insieme rivela l'artificio della riproduzione.
Ma bisognerà ancora accennare, per La cinese, ai contenuti concreti del film, e quel suo essere giunto cosa al momento giusto, in tempo per preannunciare se non per promuovere, come alcuni arrivarono a dire, la grande rivolta del maggio francese. I personaggi di Godard sembravano, in quell'estate del 1967 in cui il film fu presentato a Venezia, burattini indottrinati che recitavano una lezione bislacca: e dopo pochi mesi quegli slogan erano davvero sulla bocca di tutti i giovani d'Europa, e le scritte sui muri dell'appartamento parigino dei cinque ragazzi inondavano le strade, annunciando la «prise de la parole» degli esclusi. Naturalmente non si tratta di disquisire sulle capacità divinatorie di Godard; è però da sottolineare come la sua indubbia capacità di cogliere gli umori del tempo si sia acuita nel momento in cui questi non vengono piú cercati a livello culturale o di costume, ma a livello direttamente politico. (...)
Non è interessante sapere «da che parte stia» Godard nel momento in cui gira La cinese: se per i suoi personaggi abbia solo simpatia, o se ne condivida pienamente le idee, o se ironizzi sui loro infatilismi. È importante invece che a partire da questo film Godard veda che le contraddizioni del reale si manifestano principalmente a livello politico. Si tratta di un punto di partenza: e ciò deve render giustizia delle banalizzazioni secondo le quali La cinese sarebbe il capolavoro, o comunque il film « piú rappresentativo » di Godard. Vedere in questo film la realizzazione piú matura ed esemplare del godardismo vuol dire ridurre questo, appunto, ad un «ismo», ad una formula che finalmente abbia trovato la sua messa a punto, coincidente non a caso con il massimo di divulgazione pubblica. Invece la prima didascalia del film, «un film in corso di lavorazione», avrebbe dovuto mettere in guardia dal mito dell'opera e del senso definitivamente compiuto. La chinoise è soprattutto progetto, lavorazione, è piú cinema che non film. (...)
La vicenda della cospirazione «estiva» di un gruppo di ragazzi gauchistes, gruppo destinato a sfaldarsi e a rientrare in parte nell'alveo borghese da cui era uscito, è palesemente ispirata, anche in alcune soluzioni scelte dai membri del gruppo (il suicidio - l'adesione al P.C. - il «tradimento» ecc.) ad un interessante romanzo di Paul Nizan, intitolato appunto La cospirazione. Una conferma è data dal fatto che la cellula della Chinoise si chiama Aden-Arabia, dal titolo del piú noto dei pamphlet di questo importante e poco conosciuto autore. La critica, soprattutto italiana, che accusava Godard «da sinistra», per íl suo tardivo accostamento al marxismo, avrebbe forse fatto bene ad accorgersi almeno di questo, per capire le radici storiche di un atteggiamento in cui gauchisme e terzomondismo si trovavano strettamente legati.
Ma, ancora, si è finito di parlare di questo film come di un approdo. Per sottolinearne invece la collocazione agli inizi di una ricerca bisognerà accostare il discorso che esso compie sul linguaggio e sulla rappresentazione o, ciò che è lo stesso, seguire da vicino la vicenda di quello che è senza dubbio il personaggio con cui più Godard si identifica: l'attore Guillaume. Guillaume è l'attore che abbandona l'illusione di un teatro nazionale ed unificante per arrivare a recitare Brecht e Racine nelle piazze, nelle case. Per far questo deve cercare altri modelli - il teatro cinese ad esempio - e deve proporsi una nuova concezione del pubblico e della sua stessa posizione di intellettuale. Sarà il problema che negli anni successivi si porrà allo stesso Godard quando, da cineasta illuminato, vorrà divenire cineasta militante, parlare ad un nuovo pubblico e dall’interno delle lotte. Ma questo passo non si può fare conservando il linguaggio di sempre: é tutta la storia del linguaggio (cinematografico) che deve essere rivista. (...)
Alberto Farassino, Godard, Il Castoro Cinema, 1995

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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