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Primo incarico (Il)


Regia:Cecere Giorgia

Cast e credits:
Sceneggiatura: Giorgia Cecere, Li Xiang-Yang, Pierpaolo Pirone; fotografia: Gianni Troilo; musiche: Donatello Pisanello; montaggio: Annalisa Forgione; scenografia: Sabrina Balestra; costumi: Sabrina Beretta, Akiko Kusayanagi; interpreti: Isabella Ragonese (Nena), Francesco Chiarello (Giovanni), Alberto Boll (Francesco), Miriana Protopapa (sorella di Nena), Rita Schirinzi (madre di Nena), Bianca Maria Stea Lindholm (Donna Carla), Vigea Bechis Boll (Cristiana), Antonio Fumarola (Domenico), Antonia Cecere (zia Vincenza), Gaia Masiello, Allegra Masiello (bambine della classe), Francesco Spalluto, Luca Antonio Cecere, Enrico Maselli, Alessio Maggi, Paolo Genchi (bambini della classe); produzione: Donatella Botti per Biancafilm in collaborazione con Rai Cinema; distribuzione: Teodora Film e Spazio Cinema; origine: Italia, 2011; durata: 90’.

Trama:Italia, 1953. Nena, una maestra originaria del Sud Italia, ha ottenuto un incarico lontano da casa e per un po’ dovrà separarsi da sua madre e sua sorella ma, soprattutto, da Francesco, un giovane dell’alta borghesia di cui è innamorata. Un po’ triste, ma anche curiosa per ciò che l’aspetta, Nena arriva a destinazione dove scopre che le cose stanno un po’ peggio di quanto immaginasse: la scuola è situata in un luogo sperduto, su un altopiano in mezzo a una natura ostile, gli alunni sono difficili da gestire e lei non ha nulla in comune con la gente del luogo. Tuttavia Nena è orgogliosa e caparbia e ha deciso di non farsi sconfiggere dalle avversità. Poi, un freddo giorno di febbraio, tutto precipita...

Critica (1):Un western al femminile nella Puglia del 1953. Lo firma Giorgia Cecere, già penna di Winspeare, qui alla prima regia. Gli dà carne e sguardi Isabella Ragonese, che aggiunge un bel personaggio alla sua collezione di italiane antiche e insieme moderne. [...] Fossimo in Arizona ci sarebbero cavalli, indiani, rodei (e scene e costumi sontuosi, perché sarebbe un film americano). In Puglia invece ci sono circhi, vendette, avvertimenti malavitosi. E maschi lenti che parlano col corpo, non con la voce. Catturati da immagini ‘atmosferiche’, che sanno di vento e di terra. E da inquadrature sapienti (l’aula con i bambini, la notte di nozze) a compensare la semplicità dei mezzi. Timida, timorata, incorporea alla fine del film Nena è bella, fisica, sensuale. È nata una donna. E con lei una regista, capace di mescolare generi e attori (l’unica professionista è la Ragonese). In un film che parte dal Sud di Primo Levi ma guarda a Truffaut.
(Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 6/5/2011)

Critica (2):Il merito, forse, è di Akira Kurosawa. Durante una lezione al Centro Sperimentale di Cine­matografia a Roma, il grande regista giappo­nese lì in visita a metà anni Ottanta, alla domanda di uno studente su cosa ci volesse per fare un buon film, trasse dal taschino una penna. Per fare il cinema quindi bisogna avere una buona storia da raccontare e bisogna saperla scrivere. A ricordare l’aneddoto è stata Giorgia Cecere, durante la presentazione del suo primo film da regista Il primo incarico [...]. Ori­ginaria di Castrignano del Capo (Lecce), Cecere è la sceneggiatrice, tra gli altri, dei film diretti da Edoardo Winspeare, Sangue vivo e Il miracolo. E una storia bellis­sima, intima, da raccontare, Cecere, ce l’aveva davvero. Era quella dei suoi genitori, di sua madre che ab­bandona l’amore e il natio paese salentino per andare a fare la maestra in un minuscolo villaggio racchiuso tra quattro trulli, a “Nord” quindi, e lì incontra quello che sarà l’uomo della sua vita.
«Così è nato Il Primo incarico – ha detto Cecere, che per la sceneggiatura si è avvalsa della collaborazione di Li Xiang-Yang e Pierpaolo Pirone – dalle storie che ho sentito, dal percorso di formazione di una giovane donna». Prodotto da Bianca Film, in col­laborazione con Rai Cinema e col sostegno dell’Apu­lia Film Commission (AFC), il film – uscito ieri – ha per protagonista la bravissima Isabella Ragonese (an­che lei ieri a Bari), che si misura con una donna d’altri tempi, Nena, ma estremamente moderna, capace di scegliere e orientarsi, padrona della propria fem­minilità, pur in un Sud dai tratti fortemente arcaici come quello del 1953, l’anno in cui si svolge la vicenda narrata.
I 150 chilometri di Puglia, dal Salento “profondo” a Cisternino e la Valle d’Itria, sono scanditi dall’al­ternanza dei colori delle stagioni, da un paesaggio che si incupisce e poi si ravviva (lodevole la foto­grafia, firmata da Gianni Troilo, anche lui esor­diente), dai muretti a secco e dagli ulivi secolari, ma anche da dettagli come le targhe delle tre uniche auto (precisamente, due macchine e un pulmino) che si vedono in tutto il film, a ricordarci che siamo proprio qui, tra Lecce, Brindisi e Taranto. Una produzione a basso costo, girata in sei setti­mane, con attori non professionisti (tra i quali i bravissimi bambini che compongono la piccola scolaresca di Nena), se si esclude la protago­nista Ragonese.
Dal canto suo, Isabella ha amato molto il ruolo di Nena, che ha im­parato a conoscere dai racconti della regista, prima ancora di avere tra le mani il copione. «Quando rivedo il film ho l’impressione che ci sia la vita dentro» – ha commentato l’attrice. A parlare del film anche Oscar Iarussi, critico cinematografico della «Gazzetta» e presidente dell’AFC, che ha sottolineato la tenacia e il riserbo con i quali Cecere è capace di coltivare un certo tipo di cinematografia coniugandola all’idea di una pedagogia dolce: «Alla maniera dei maestri del cinema italiano – ha detto Iarussi – come Vittorio De Seta in Diario di un maestro, quando la fiction era costituita da spezzoni di realtà».
Un film fatto quasi interamente da pugliesi e «non per campanilismo – ha precisato la regista – ma perché sono davvero i migliori in circolazione».
(Maria Grazia Rongo, La Gazzetta del Mezzogiorno, 6/5/2011)

Critica (3):Non sono solo un esti­matore de Il primo in­carico, esordio alla re­gia di Giorgia Cecere,
film già presentato a Venezia e che solo in questi giorni è uscito nelle sale. Provo verso di es­so un senso di gratitudine che vor­rei spiegare a me stesso. Racconta la storia vera, e per questo tanto più romanzesca, della madre, che nei primi anni Cinquanta ottiene il primo inca­rico di maestra elementare in una zona rurale del Salento, e vive il suo apprendistato di lavoro e solitudine in un’ostile comunità di uomini. Se tecnicamente appartiene al genere narrativo del romanzo di formazio­ne, o educazione sentimentale (omaggio alla determinazione e al coraggio morale delle donne del passato), si trasmuta in realtà nella
storia di formazione dello sguardo e dello stile poetico dell’autrice, che porge il suo omaggio alla grande tradizione visiva del nostro cinema. Cinema, ovvero, come ama ripetere Bernardo Bertolucci, “aprire gli oc­chi”. La maestra protagonista della storia («maestrina», nel lessico ma­schilista di alcuni recensori), resa ancora più nitida dalla brava Isabel­la Ragonese, scopre l’antica verità che insegnando si impara, e che la posta di ogni insegnamento è diven­tare ciò che si è. La regista Giorgia Cecere, già sceneggiatrice di Win­speare, impara e ci insegna che la bellezza del film, così raro nell’at­tuale panorama italiano, è nel lin­guaggio che coniuga intensità ed evidenza fino a renderli sinonimi; uno stile che possiamo anche dire “femminile”, affiancato dalla deli­catezza “orientale” del co-sceneg­giatore, il suo ex compagno del Cen­tro Sperimentale Yang Li Xiang, ci­neasta e pittore cinese. Il film è un’esperienza dei sensi, e la sua per­cezione quasi pittorica della realtà – la campagna, la natura, la luce, i cor­pi, i colori – è una lezione anche eti­ca: non serve tanto denaro, dice Giorgia Cecere, «i colori sono la co­sa che costa di meno».
(Beppe Sebaste, L’Unità, 8/5/2011)

Critica (4):
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