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Io la conoscevo bene


Regia:Pietrangeli Antonio

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Ettore Scola, Antonio Pietrangeli, Ruggero Maccari; fotografia: Armando Nannuzzi; musiche: Piero Piccioni; montaggio: Franco Fraticelli; scenografia e costumi: Maurizio Chiari; interpreti: Stefania Sandrelli (Adriana Astarelli), Ugo Tognazzi (Baggini), Nino Manfredi (Cianfanna), Enrico Maria Salerno (Roberto), Robert Hoffmann (Antonio), Jean-Claude Brialy (Dario Marchionni), Joachim Fuchsberger (Fausto, lo scrittore), Franco Fabrizi (Paganelli, press agent ), Karin Dor (Barbara), Turi Ferro (commissario), Franco Nero (Italo); produzione: Ultra Film-Le Film Du Siecle-Roxy Film; distribuzione: Cineteca Nazionale; origine: Italia, 1965; durata: 122’.
Vietato 14

Trama:Adriana, una bella ragazza di campagna, dal Pistoiese si trasferisce a Roma in cerca di fortuna. Comincia a lavorare come domestica, poi fa la parrucchiera, quindi la maschera in un cinema, poi la cassiera in un bowling. Credulona, ingenua, ignorante, attratta soltanto dai dischi e dal ballo, mentre passa da un mestiere all'altro, subisce con indifferenza e con amoralità ogni compagnia maschile che le si presenta. Ma il suo non è calcolo, bensì fragilità, incoscienza e bisogno d'affetto. Di lei tutti approfittano, ma Adriana non se ne accorge e, nonostante tutto, piena di speranza, affida il denaro guadagnato a un ambiguo agente che le profila la possibilità di fare del cinema. In realtà, Adriana non farà che alcuni inserti pubblicitari; prenderà parte come comparsa ad un film mitologico; presenterà qualche vestito in teatrini di provincia. Né la nostalgia del paese d'origine, né l'interruzione di un'incipiente maternità riusciranno a salvarla. Un giorno, quando le disillusioni si accumuleranno facendole finalmente capire il vuoto che la circonda, Adriana porrà fine alla sua triste esistenza gettandosi dal balcone.

Critica (1):Io la conoscevo bene, diranno tutti coloro che si sono serviti della sua freschezza; al contrario, nessuno aveva penetrato nella confusa realtà dove nemmeno lei sapeva orientarsi (...). Non è soltanto la storia d'una provinciale bruciata (...) è anche un segnale d'allarme per chi si creda (...) in diritto di scagliare una pietra, assolvendosi con la pietà. Il film ha difetti (...) ma non tali da mettere in pericolo la solidità della struttura (...). L'interpretazione della Sandrelli (...) ha (...) una buona spontaneità di riflessi, sempre al livello di una naturalezza priva di retroterra culturale. Dei molti uomini (...) si devono ricordare almeno Tognazzi, nella sua parte d'un guitto (...) e Manfredi, che disegna un'equivoca figura di talent scout.
Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 2/12/1965

Critica (2):L'originalità del film, raccontato con linguaggio moderno, con una sintassi spezzata, a quadri staccati ma, quasi sempre, limpidi e aggressivi, sta nel riscatto di una materia consunta attraverso la sua aperta ed energica, anche se talora un po' intellettuale, demistificazione. Nonostante la sequela di delusioni che l'eroina subisce, e a dispetto del suo «calvario» di automa, il regista non indulge né al patetico né al pittoresco. In altre parole, non si compiace né del vuoto di sentimenti e di passioni che grava tutt'attorno, né della vulnerabilità della vittima. Ma analizza il rapporto di interdipendenza, riscontrando con acume e obiettività come al cinismo dell'ambiente corrisponda logicamente la sordità del personaggio.
Ugo Casiraghi, L’Unità, 2/12/1965

Critica (3):Io la conoscevo bene, nel frangente attuale del cinema italiano, acquista anche un altro significato, che è bene sottolineare subito. Esso è un raro esempio di onestà professionale e di coerenza con un proprio discorso, portato avanti con umiltà e talora con qualche indecisione, ritenendolo forse un po' marginale rispetto a temi più impegnativi sollecitati dalla realtà del momento, ma tuttavia proseguito per fedeltà verso se stesso, in piena coscienza del valore di dati suggeritigli da una particolare predisposizione della propria sensibilità e da una specifica formazione culturale. L'esempio è da additare proprio a vari colleghi di Pietrangeli, e suoi coetanei, i quali, dopo aver sbandierato i più rivoluzionari impegni di denuncia dei mali della società, anche da precise angolazioni politiche, oggi stanno toccando le punte più basse della loro parabola, al livello ormai delle più grossolane richieste della platea.
Leonardo Autera, Bianco e nero, 1-2/1966

Critica (4):Non è tanto che io sia la Celestina de Il sole negli occhi o l'Adriana di Io la conoscevo bene o la Pina de La visita come, scusatemi, Flaubert era Emma Bovary. Ma è che nel processo di trasformazione sociale a cui, da vent'anni a questa parte, assistiamo in Italia, la donna ha incontestabilmente un ruolo da protagonista. Tanto profondo e rapido è stato il passaggio dalle posizioni in cui era relegata ancora subito dopo la guerra a quelle che, di forza, ha occupato negli ultimi anni.
E non si tratta solo di un fatto di costume quanto di una radicale, profonda rivoluzione interiore: processo che dura tutt'ora e che è forse addirittura in anticipo sull'evoluzione della società italiana, tant'è vero che gli stessi istituti di legge stentano a tenergli dietro. Le mie protagoniste (...) sono tutte legate da uno stesso «filo rosso» rappresentato non già da una mia predilezione per questo o quel prototipo di donna quanto dai vari aspetti che può aver assunto il cammino dell'emancipazione della donna nella società italiana.
Antonio Pietrangeli, Il cinema di Antonio Pietrangeli, a cura di Piera Detassis, Tullio Masoni, Paolo Vecchi , Marsilio Editori, 1987
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