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Gloria - Una notte d'estate - What Price Glory


Regia:Cassavetes John

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: John Cassavetes; fotografia (colore): Fred Schuler; musica: Bill Conti; montaggio: George C. Villasenor, scenografia: René D'Auriac; costumi: Peggy Farrel (costumi per Gena Rowlands di Emmanuel Ungaro); suono: Dennis Maitland Sr., Jack C. Jacobsen; effetti speciali: Connie Brink; interpreti. Gena Rowlands (Gloria Swenson), John Adames (Phil Dawn), Buck Henry (Jack Dawn) Julie Carmen (Jeri Dawn), Val Avery (Sill), Basilic Franchina (Tanzini), Ferruccio Hrvartin, Vladimir Drazenovic,. Nathan Seril (mafiosi), Lupe Garnica (Margarita Vargas); produzione: Sam Shaw perla Columbia Pictures; distribuzione: Ceiad Columbia; origine: USA; 1990;.durata: 117'.

Trama:Jack Dawn, ambiguo membro di una potentissima organizzazione mafiosa, ha scritto in un quaderno-memoriale una documentazione esplosiva. Temendo un imminente regolamento di conti, affida il quaderno al figlioletto Phil che lascia alle cure di Gloria Swenson, amica della moglie e dirimpettaia. I gangster irrompono in casa Dawn e massacrano i genitori di Phil, la nonna Margarita e la sorellina Joan. Gloria, ex showgirl e già amica del boss Tony Tanzini, sa di essere ora, a New York, ovunque sotto il tiro dei membri della banda. Per di più lei non piace a Phil che, a sua volta, reputa ingombrante e urtante. Ciò nonostante, tenendo fede all'amicizia verso la madre del bambino, tenta di mettere in salvo se stessa e Phil.

Critica (1):(...) Con Gloria, Cassavetes confeziona con molto successo, a colpi di gags e clowneries, una esemplare parodia del thriller, uno spettacolo di consumato perfezionismo, compresa la musica accattivante di Bill Conti e la fotografia di un "mago" come Fred Schuler - reduce dalle raffinatezze di The Deer Hunter (Il cacciatore) -, che pare smentire quell'apparentemente facilona etica del cinema artigianale che ha presieduto finora ai manufatti del regista. Tutto, in Gloria, è calcolato al millimetro, rifinito in ogni particolare, con attenzione "hollywoodiana" al perfetto fluire del racconto, perché tutto scorra senza stridori, nel più formale ossequio alla sintassi codificata del film d'azione. Eppure, ancora una volta, Cassavetes scherza con le convenzioni, che non può trattenersi dallo sbeffeggiare. È hollywoodiano l'involucro esteriore del film, non il suo spirito, ancora una volta insolente libertino, sedotto dal gioco della sovversione e dell'improntitudine. A suo modo Gloria è l'apologia della ridondanza di Gena Rowlands, animale scenico dall'energia incontenibile, teatrante perennemente fuori misura, per il cui magnetismo gestuale si escogita un'estrema polarizzazione che tutto possa appagarlo senza più residui: il blasfemo travestimento da killer in gonnella, l'emblematico - è ingiurioso - capovolgimento di un ruolo tradizionalmente maschile, che Gena finisce per assolvere con infallibile precisione (sgomina un paio di bande prima di essere liquidata), profanando tutti i codici con una disinvoltura oltraggiosa. Ancora: Gena-Gloria non dilaga da sola lungo l'iter della sua furibonda avventura, ha un "amante" fedele, come prima ha avuto Moskowítz o Nick, un patner che, per raccogliere esaustivamente l'eredità di quegli adulti "foderati d'infanzia", non può che essere un bambino, uno smaliziato bambino di sei anni col quale stabilire un ennesimo provocatorio rapporto di coppia, l'ultimo - per ora- della strampalata serie collezionata da Cassavetes: Phil, il bambino, è promosso adulto dal padre che, nella straordinaria sequenza iniziale - summa geniale dell'estetica cassavetesiana -, lo affida alla scettica Gena appena prima di subire con gli altri membri della famiglia (la moglie, la suocera, la figlia maggiore) lo sterminio decretatogli dalla mafia per uno sgarro. Phil (John Adames) prende sul serio le ultime volontà del padre (essere lui, l'unico erede maschio, l'unico superstite, l'uomo che riscatterà la famiglia) e si cala con birbantesca determi-nazione nelle vesti del patner di Gloria: "io sono l'uomo", le grida reiteratamente sulle scale, quando sta per spalancarsi lo spazio febbrile della loro illegale comunanza contro l'illegalità costituita della mafia di New York, e "da uomo" le parla durante le varie soste, in casa di lei o negli alberghi, chiedendole se lo ama. Le parti previste dalla burla carnevalesca sono subito assegnate e alla derisoria coppia di "innamorati" in fuga - citazione parodica di tante coppie fatali della cinematografia hollywoodíana da You Only Once (Sono innocente!) in poi - spetta tutta la gamma degli sberleffi all'apparato del film d'azione. Quella che germina dal loro grottesco connubio, accidentale e inconsulto insieme, è una sarabanda di corse e inseguimenti senza tregua, un giocondo insensato balletto di maschere saltabeccanti senza posa, in un Barnum dell'eccentrico dal quale l'anomalia del sodalizio Gloria-Phil fa sprigionare mille meraviglie: quando il cerchio si stringe e minaccia di occluderli, Gloria estrae fulmineamente la pistola dalla borsetta e rinnova da grande teatrante qual'è - l'ex show-girl Gloria Swenson (deformazione di Swanson) - il gesto che li libera. Siamo nella dimensione immaginaria dell'illegalità pura, innocentemente ilare (la polizia, dopo la scena iniziale, non compare più; un taxista attende addirittura con lo sportello aperto che Gloria consumi un'altra fase della sua carneficina per poi reimbarcarla), là dove la scorribanda è vita, è scacco effimero alla morte. Siamo esattamente nel fulcro della dialettica carnevalesca morte/vita che Cassavetes ha adombrato in ogni suo film e che ora pare voglia ulteriormente spettacolarizzare, dilatandone i confini, estenuandone i tempi.
Sergio Arece, Cassavetes, Il Castoro Cinema, 1980

Critica (2):Probabilmente Gloria, a differenza degli altri film di Cassavetes, sarà un film da difendere; e non dalla censura del mercato, dai silenzi, dalle indiscriminate mutilazioni cui sono state fatte oggetto le opere precedenti dell'autore, ma dalle tendenze contrapposte dei tradizionali ammiratori di Cassavetes da un lato e degli appassionati del genere 'nero' o d'azione dall'altro. Infatti il film, mentre per i primi può risultare superficialmente spettacolare, vuoto della precisione sociologica e dell'accuratezza introspettiva che costituivano l'ossatura portante delle realizzazioni precedenti, ai secondi, contraddittoriamente, può apparire scarno di azione drammatica, privo, comunque, di gran parte dei topoi dei genere. Effettivamente Gloria, se da un lato, trascinato dal proprio dinamismo, è impossibilitato a soffermarsi sull'analisi microscopica e tagliente, dall'altro sviluppa la propria azione sulla base di un unico evento iniziate, senza affiancargli, a livello di puro plot, nessun “fatto” ulteriore. Le incessanti azioni spettacolari bloccano sul nascere le meditazioni introspettive, così come gli improvvisi e insistenti primi piani caricano di sottili implicazioni fughe e scontri a fuoco. Nero travestito da spaccato di vita urbana e, viceversa, romanzo psicologico sotto le spoglie dei film d'azione, Gloria trova il proprio equilibrio in questo sovraccarico di stimolazioni (peraltro lucidissimo, mai ridondante), che si risolve in una deliberata assenza di contenuti, tanto più rinnegati e derisi quanto più sono apertamente strombazzati. Nel film si parla troppo e si corre troppo perché parola e corsa possano essere dei tutto prese sul serio; l'eccedenza e la reciproca negazione di entrambe danno luogo, in maniera inavvertita e divertente, a una sintesi compatta che ha come oggetto primario il senso dello spettacolo cinematografico.
Che, dopo film quali Minnie e Moskowitz, La sere della prima, Assassinio di un allibratore cinese, Cassavetes dovesse giungere a un film sul cinema era tutto sommato ovvio; molto meno ovvie erano le modalità attraverso le quali questo irriducibile emarginato avrebbe fatto i conti con il cinema proprio e altrui, con Hollywood e con la propria precisa scelta antihollywoodiana. Le strade erano tutte più o meno abbozzate e percorribili: dalla antinarratività programmatica di Mariti e Una moglie alla rivisitazione/decodificazione dei nero di Assassinio di un allibratore cinese, dall'analisi esplicita di ruoli e maschere di La sera della prima alla beffarda divagazione sulla commedia rosa di Minnie e Moskowitz. Con l'elegante disinvoltura di un maestro, Cassavetes raccoglie una manciata di spunti differenti per creare un prodotto tanto raffinato da risultare, paradossalmente, commerciale. Senza l'astio dell'outsider nel confronti dello spreco dell'industria, ma anche senza i sensi di colpa dell'integrato, con la precisa consapevolezza della natura fondamentalmente onirica dei cinema (di tutti i film, dei film verità, dei film critici, dei film antihollywoodiani e, quindi, anche dei suoi film), supera l'impostazione, ormai di prammatica, delle rivisitazione, per approdare a un atto d'amore, sfrontato ma non beotamente acritico, verso l'immagine cinematografica, verso il film-favola. Gloria, attraverso una serie successiva e concatenata di ribaltamenti (dei nero, dei melodramma, dei film “alla Cassavetes”), si propone non tanto come viaggio critico attraverso gli stereotipi, quanto come consapevole viaggio nel sogno.
Gloria come rilettura dei genere nero. Che il nero sia il genere più vicino al registro narrativo di Cassavetes è fuori di dubbio; anche se, prescindendo da Assassinio di un allibratore cinese, le cadenze dei suoi film precedenti si apparentano con la commedia e con il dramma psicologico, esistono sempre in essi una tipologia dei personaggi e un'apparenza sbrigativa e secca nell'uso della mdp che non possono non rimandare al nero, cinema urbano per eccellenza e per tradizione cinema antitradizionale, di antieroi, di battaglie perse in partenza e di solitudine. Non bisogna tra l'altro dimenticare la lunga frequentazione dei nero da parte di Cassavetes attore. Cassavetes ha la faccia giusta per il nero; e ce l'ha anche Gena Rowlands, che sembra fatta apposta per interpretare il personaggio della “ex”, ex pupa dei gangster, ex banditessa pentita o comunque in crisi di coscienza, solitaria superstite di tempi migliori, Un po' una Gloria Grahame attualizzata, più decisa e meno torbida. Come Marlowe e come Art Carney in L'occhio privato, Gloria vive sola in un quartiere popolare, con un gatto e una collezione di antichi ricordi; si presenta alla porta degli amici vicini perché ha finito il caffè, con due vistosi distintivi connotanti il suo ruolo: l'immancabile sigaretta e il classico impermeabile con cintura. Quando decide di rispolverare la pistola non abbandonerà più la borsetta a tracolla nella quale la tiene, nemmeno di notte, in vestaglia. In dieci minuti Gloria è caricata di tutti i tratti salienti connotanti l'outsider, l'irriducibile portabandiera di un individualismo idealista. Da questo momento, inizia a muoversi come Jack Flowers e Cosmo Vitelli, rivisitando tutti i luoghi canonici dei genere, alberghi, cimiteri, bar, per arrivare infine, tra un tassì e l'altro, al confronto diretto con l'organizzazione, alla quale terrà testa secondo l'abituale dinamica delle parole non dette. E un'uscita di scena come la sua (“Facciamo una cosa Mr T. Adesso mi alzo e me ne vado da qui. Se vuoi, puoi fermarmi”) potevano farla, appunto, Bogart e Ben Gazzara.
Tutto in regola rispetto al genere, quindi, eccezion fatta per due vistose distorsioni: 1) Gloria è una donna, ma le motivazioni che guidano il suo agire sono esattamente identiche a quelle che da sempre regolano il movimento senza speranza dei protagonisti maschili di questi film (come dire che “il sistema non si batte”, ma un atto di giustizia personale, una battaglia contro i mulini a vento vale pur la pena di essere fatta); 2) il film ha il lieto fine; prima che scatti la sequenza in bianco e nero e al ralenti Gloria si vede chiaramente, benché travestita, e chiaramente parla.
Come dire “... e vissero felici e contenti”; ma questo non è mai stato del nero e tanto meno della rivisitazione del nero, il cui eroe è per tradizione sconsolatamente legato a una perenne riprova del proprio anacronismo. L'happy end apre allora la strada ad altri referenti. (...)
Emanuela Martini, Cineforum, n. 199, novembre 1980

Critica (3):

Critica (4):
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