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In nome della legge


Regia:Germi Pietro

Cast e credits:
Soggetto: Giuseppe Mangione, basato sul romanzo "Piccola pretura" di C. G. Loschiavo; sceneggiatura: Aldo Bizzarri, Federico Fellini, Pietro Germi, Giuseppe Mangione, Mario Monicelli, Tullio Pinelli; scenografia: Gino Morici; fotografia: Leonida Barboni; musica: Carlo Rustichelli; interpreti: Massimo Girotti (Guido Schiavi), Jone Solinas (baronessa Teresa Lo Vasto), Charles Vanel (Turi Passalacqua), Camillo Mastrocinque (barone Lo Vasto), Saro Urzì (maresciallo Grifò), Turi Pandolfini (don Fifì), Peppino Spadaro (avvocato Faraglia), Ignazio Balsamo (Francesco Massara), Saro Arcidiacono (Il cancelliere), Nanda De Santis (Lorenzina La Scaniota), Nadia Nivea (Bastianedda), Bernardo Indelicato (Paolino), Pietro Sabella (Gallinella); produzione: Lux Film, Luigi Rovere; origine: Italia, 1949; durata: 104'.

Trama:Un giovane magistrato è inviato come pretore in un paese nel centro della Sicilia. Vi giunge animato dai migliori propositi: farà il suo dovere ad ogni costo combattendo la mafia imperante. In paese è accolto con diffidenza, con ostilità: l'unico a dimostrargli simpatia è un giovanotto di nome Paolino. L'indomani del suo arrivo, il pretore deve occuparsi di un omicidio; ma l'inchiesta è difficile, perchè tutti sono legati dall'omertà e nessuno vuol parlare. Una parte della popolazione è disoccupata, in seguito alla chiusura di una zolfara. Il pretore cerca di risolvere il problema, inducendo il barone Lo Verso, che amministra la zolfara, a riaprirla, uniformandosi così alla legge...

Critica (1):Il primo film che io ho fatto in Sicilia, ho accettato di farlo. Questo può forse essere un segno di faciloneria. ma al
l'inizio fu proprio così. Ho scritto, assieme ad altri, il trattamento, la sceneggiatura, senza mai aver messo piede in Sicilia. II film aveva nella mia testa un valore di costruzione drammatica, che era ciò che soprattutto mi interessava: un racconto che si richiamava per averne letto o per sentito dire, ma in realtà non c'ero mai stato. La Sicilia l'ho vista soltanto quando, a sceneggiatura di In nome della legge ultimata, sono andato là per i sopralluoghi, e devo dire che il lavoro fatto precedentemente non ebbe bisogno di essere modificato; quando avevamo fatto intuitivamente non si rivelò sbagliato, andava bene lo stesso, però assunse tutta una nuova illuminazione. Cioè, se prima ci si preparava a fare un film con un entusiasmo relativo, ma senza una accensione vivissima, dopo invece sentii che poteva essere una cosa importante, perché quei paesaggi, quelle facce, quei costumi, la realtà di quei costumi non erano cose inventate, esistevano. E allora tutto acquistò una nuova dimensione, una diversa e più profonda realtà, e anche un pathos maggiore, un senso epico e umano più profondo. (...)
In In nome della legge c'era l'aspetto delinquenziale rappresentato da una parte di mafiosi; c'era la legge, in mezzo, che tendeva ad affermare il proprio predominio, e c'erano gli interessi dei quali la mafia si serviva e che a sua volta serviva. Era un quadro che ancora oggi io sostengo essere più vicino alla realtà di quel che non sia un semplicismo frettoloso, anche se può darsi che in questi ultimi anni, per quel tanto di trasformazione industriale che c'è stata in Sicilia, gli interessi concreti di speculazione della mafia si siano andati gradatamente spostando verso queste zone, strappandola all'ambiente latifondistico in cui era nata. E il banditismo? La mafia, il banditismo... in ogni cosa è di una complicazione infinita. La mafia o Giuliano? Giuliano cos'era, aveva qualche cosa a che fare con la mafia? Qual'era la relazione tra mafia e Giuliano e polizia... La mafia s'è forse giovata di Giuliano per mantenere certi privilegi... non mi pare. Mi pare che Giuliano sia sempre stato, ad esempio, un fenomeno che faceva paura a dava fastidio alla mafia in quanto tendeva proprio a scalzare l'autorità. Di Giuliano, anziché della mafia, si possono essere serviti alcuni latifondisti, dei proprietari terrieri per opporsi al movimento contadino. Può darsi anche che la mafia fino a un certo punto abbia sostenuto Giuliano... mah. Su questo Rosi ha fatto un film che a me piace molto ma che non può chiarire un problema per sua natura, quanto mai oscuro. Ma c'è un proverbio siciliano che non so se esiste in altre lingue del mondo, e che è molto bello e significativo, e che dice che comandare è meglio che fottere: è come un tentativo di spiegazione del fenomeno mafioso.
Ecco, anche questo è un film che amo, e che ho sentito soprattutto nella visione dell'ambiente di Sicilia, del clima sociale, della personalità dei mafiosi. A distanza di anni riconosco però che la storia è un po' facile, un semplice schema da western , i cattivi da un lato, i buoni dall'altro, e poi c'è anche il mezzo buono che va con i buoni, e naturalmente occorreva il contrappeso, ed ecco il mezzo cattivo che va con i cattivi. II film mancava di un'ambizione culturale, e sono certo che oggi non lo farei così: non tanto per il finale, con il trionfo della giustizia, che, come mi raccontò l'autore del soggetto, il magistrato Lo Schiavo, è rigorosamente vero, ma era dovuto alla particolare situazione di Barrafranca quarant'anni fa, con la particolare mafia di allora, che aveva, almeno in quei posti, anche un carattere di associazione cavalleresca animata da spirito di giustizia, di cui appunto Turi Passalacqua era il rappresentante. Ma la mafia nel suo complesso, quella di ieri e di oggi, con i suoi problemi politici e sociali, non ha niente a che fare con il mio film che raccontava solo un'avventura locale e, purtroppo, irripetibile. Girandolo ho sentito stimolo ed entusiasmo nella rappresentazione delle cose, dei personaggi, della fame di giustizia di quella gente, ma è mancata un'emozione profonda e duratura, quella dalla quale nacquero Il ferroviere o II cammino.
(in Pietro Germi, Ritratto di un regista all'antica, AA.VV., Pratiche, 1989)

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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