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Armata Brancaleone (L')


Regia:Monicelli Mario

Cast e credits:
Soggetto: Age, Furio Scarpelli, Mario Monicelli; sceneggiatura: Age, Furio Scarpelli, Mario Monicelli; fotografia: Carlo Di Palma; musiche: Carlo Rustichelli; canzoni di Rustichelli, Age, Scarpelli e Monicelli; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia: Piero Ghepardi; costumi: Piero Ghepardi; effetti: Armando Grilli; interpreti: Vittorio Gassman (Brancaleone da Norcia), Catherine Spaak (Matelda), Gian Maria Volonte' (Teofilatto dei Leonzi), Maria Grazia Buccella(la vedova), Barbara Steele (Teodora), Enrico Maria Salerno (Zenone il Santone), Carlo Pisacane (Abacuc), Folco Lulli (Pecoro), Ugo Fangareggi (Mangold), Joaquin Diaz (Guccione), Luis Induni (Capitano di Guccione), Gianluigi Crescenzi (Taccone), Alfio Caltabiano (Arnolfo Mano di Ferro); produzione: Mario Cecchi Gori per Fair Film (Roma) - Les Films Marceau (Parigi) - Vertice Film (Madrid); distribuzione: Philip Morris; origine: Francia - Italia - Spagna, 1965; durata:120'.

Trama:Un cavaliere in viaggio per prendere possesso del feudo di Aurocastro, viene assalito dai briganti che, dopo averlo sopraffatto, lo gettano in un fosso. Un membro della banda, avendo trovato la pergamena attestante l'investitura del feudo, convince l'amico Brancaleone a sostituirsi al cavaliere. Brancaleone, messosi al comando dei briganti, lungo il percorso per Aurocastro incappa in diverse avventure: l'incontro con Teofilatto ed i suoi bizantini, l'occupazione e la fuga da una città in preda alla peste, il salvataggio di una stravagante promessa sposa. Giunta al feudo, l'armata viene assalita dai Saraceni ma è salvata dai guerrieri comandati dal cavaliere che era stato aggredito dalla banda. Per Brancaleone ed i suoi uomini non resta che partire per una Crociata in Palestina.

Critica (1):Pur essendo sicuramente uno degli esempi più classici della commedia all'italiana, la saga di Brancaleone evoca richiami tematici molto ampi e discussi, che rivelano quanto siano sfuggenti i confini di questo "genere aperto". Il film era stato pensato qualche anno prima, come un progetto dell'effimera cooperativa Film Cinque: il fallimento di A cavallo della tigre aveva fatto accantonare questa e altre iniziative anche se il costumista Gherardi aveva già eseguito foto di prova per alcune comparse. Quello che per Monicelli è un soggetto ispirato al film Donne e soldati (1955) di Malerba e Macchi, per Age è un soggetto originale mutuato semmai da La sfida del samurai (1961) di Akira Kurosawa, soprattutto per quanto riguarda certe soluzioni visive, per il trucco e l'armatura dell'attore principale. Il tipo di ricostruzione storica slegata dalla solita retorica si fondava, per Monicelli, su due esempi cinematografici, Francesco, giullare di Dio (1950) di Rossellini e 1860 di Alessandro Blasetti.
In realtà, L'armata Brancaleone è un'operazione profondamente originale nel suo insieme, pur se frutto di molti spunti raccolti altrove. Oltre a Kurosawa - la cui opera suscitava negli anni '60 grande interesse nel cinema occidentale (testimoniato dai remake di Sturges e di Leone) - si può pensare a I cento cavalieri, parabola "brechtiana" che Cottafavi aveva realizzato con scarsissimo successo di pubblico due anni prima. Soprattutto, con Cottafavi si condivide il rifiuto di un Medioevo che l'appena terminato boom dei film in costume aveva reso (nei ricchi kolossal hollywoodiani come nelle imitazioni "povere ma belle" di Cinecittà) manieristico e sdolcinato. Né è da trascurare un possibile rimando a uno dei maggiori successi di Gérard Philipe, Fanfan la tulipe.
Il riferimento al film di Rossellini - regista verso cui Monicelli ha palesato sempre grande ammirazione - è invece da prendere con le molle: soprattutto perché, come ha osservato bene Gassman, L'armata Brancaleone è il film in cui più emerge l'anima monicelliana di regista teatrale. Siamo agli antipodi di specialmente nell'idea di cinema moderno ante-litteram che animava Rossellini, specialmente nel Francesco, giullare di Dio. Quanto alle fonti letterarie, è chiaro che l'intuizione migliore è quella di una sorta di latino medievale che costituisce l'idioma dei personaggi e che corrisponde per l'Italia centrale alla "vulgata padana" in cui sarà scritto qualche anno dopo Mistero buffo di Fo: le radici stanno nella cultura liceale e universitaria degli autori. Tuttavia, né Cervantes né il Calvino di Il cavaliere inesistente sono estranei all'operazione: almeno per quanto riguarda i contorni generali della storia e l'ambientazione, e per l'immagine di una civiltà che, dopo la caduta di Roma, era precipitata al punto da non vedere, oltre l'anno 1000, alcun futuro. Il problema delle fonti è però, tutto sommato, secondario. A Monicelli interessa aggiungere un'altra pala alla ricostruzione nazional-popolare della storia italiana; e, contemporaneamente, ricreare su uno sfondo inedito il gruppo di piccoli perdenti che anima le sue opere meglio riuscite. Da questo punto di vista, anche l'invenzione della vulgata post-latina non è poi tanto distante dal gergo malavitoso di I soliti ignoti e dal successivo dialetto sportivo-spettacolare del delicato Temporale Rosy. E l'ambientazione storica rende più facile inserire quel senso di morte che sottende gran parte del cinema di Monicelli, soprattutto nella maturità e nella vecchiaia.
La prima avventura di Brancaleone è più "sgangherata" ma, forse proprio per questo, più riuscita della seconda, che appare fredda e ripetitiva. Per L'armata Brancaleone Monicelli può contare su un gruppo di fedeli caratteristi come Folco Lulli e Carlo Pisacane e su un innesto di gran classe quale si rivela Barbara Steele nella parte di una nobile masochista (l'attrice rappresentava, con la sua bellezza "asimmetrica", il simbolo più inquietante fra le molte vamp dei nostri anni '60 (...) Brancaleone alla Crociate vede invece abbassarsi il livello degli attori: l'unica presenza soddisfacente sembra essere quella dell'ex-leader dei Rokes, Shel Shapiro, nella parte di un fervente monaco. Inoltre, il secondo film - successo grande ma non enorme come ci si poteva aspettare - risentì delle polemiche tra Gassman e Monicelli: l'accordo tra i due si incrinò in fase di missaggio quando il regista volle, contro il parere dell'attore, mantenere la prevalenza dei rumori sul dialogo, col risultato - secondo Gassman - di creare scontento tra il pubblico che finisce per non cogliere alcune battute. Da notare ancora che il primo film fu interamente girato nei luoghi dove era ambientato (il Viterbese, Crotone); il secondo prevedeva invece esterni in Algeria, e per questo Cecchi Gori scelse la coproduzione con quel paese.
Entrambi i film ottennero riconoscimenti. Per L'armata Brancaleone si è già detto; Brancaleone alle crociate vinse un premio a San Sebastiano. Tra gli effetti del successo sulla struttura del cinema italiano, ci fu anche quello di indicare i costumi e in una certa misura il linguaggio per il cosiddetto filone "decamerotico" che prende spunto dalla trilogia di Pasolini ma che a questa fonte è più propriamente riconducibile.
Stefano Della Casa, Mario Monicelli, Il Castoro Cinema

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Mario Monicelli
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