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Zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti (Lo) - Loong Boonmee Raleuk Chaat


Regia:Weerasethakul Apichatpong

Cast e credits:
Sceneggiatura: Apichatpong Weerasethakul; fotografia: Sayombhu Mukdeeprom, Yukontorn, Mingmongkon, Charin Pengpanich; montaggio: Lee Chatametikool; scenografia: Akekarat Homlaor; arredamento: Nitipong Thintubthai; costumi: Chatchai Chaiyon; interpreti: Thanapat Saisaymar (Zio Boonmee), Jenjira Pongpas (Jen), Sakda Kaewbuadee (Tong), Natthakarn Aphaiwonk (Huay, moglie di Boonmee), Geerasak Kulhong (Boonsong, figlio di Boonmee), Kanokporn Tongaram (Roong), Samud Kugasang (Jaai), Wallapa Mongkolprasert (Principessa); produzione: Apichatpong Weerasethakul-Simon Field-Keith Griffiths-Charles De Meaux-Hans W. Geissendoerfer-Luis Miñarro-Michael Weber per Kick The Machine-Illuminations Films Past Lives Production-Anna Sanders Films-Eddie Saeta S.A.-The Match Factory-Gff Geissendoerfer Film-Und Fernsehproduktion Kg; distribuzione: Bim; origine: Spagna-Tailandia-Germania-Gran Bretagna- Francia, 2010; durata: 113’.

Trama:Boonmee si rende conto di avere un'insufficienza renale ed è consapevole che morirà nel giro di 48 ore. Da grande professionista dello yoga, l'uomo capisce che la malattia è legata al suo karma negativo dovuto all'uccisione di troppi comunisti. Dopo aver espresso il desiderio di tornare a casa dall'ospedale, per morire in pace, Boonmee trova ad accoglierlo il fantasma della moglie defunta giunta per aiutarlo a superare i suoi ultimi istanti di vita. Per l'occasione torna a casa anche suo figlio, ma sotto le sembianze di una scimmia poiché ha vissuto per 15 anni nella foresta accoppiandosi con una creatura chiamata "il fantasma della scimmia". Mentre ricorda le sue vite passate, Boonmee chiede al fantasma di sua moglie di accompagnarlo nella foresta dove, prima di spegnersi, ricorderà un evento della sua prima vita.

Critica (1):Thailandia del nord. Un uomo malato, ai margini della giungla. Si chiama Boonmee e vuole finire i suoi giorni laggiù. Un ragazzo lo aiuta nella dialisi (artigianale) quotidiana. Intanto appare la sua ex moglie in forma di fantasma. Intanto suo figlio torna sotto le sembianze di un essere mostruoso dagli occhi rossi fiammeggianti. E un bisonte scappa ma viene riacciuffato. E una principessa sfigurata viene posseduta da un pesce gatto parlante. La giungla è piena di esseri erranti, visibili e invisibili. E al suo centro, su una collina, c'è una grotta, verso cui Boonmee si sente attratto come da un'altra vita che ha vissuto. Nella giungla di notte però ci si sente soli. Così il monaco-ragazzo scende in città, e approda in un locale dove fanno il karaoke, mentre il suo corpo è lì che guarda le notizie in tv. Questo è quanto. E lo sappiamo che detto così fa sorridere. Ma ridurre il cinema di Apichatpong Weerasethakul alla sua trama, è come descrivere un vino leggendone l'etichetta, o raccontare un innamoramento attraverso il resoconto stenografico dei dialoghi. Boonmee è cinema sensuale e spirituale (nel senso pagano, animista del termine). È roba che quasi ti sembra di toccarla talmente è densa. Ma è anche un atto di evocazione magica (si evocano spiriti, animali, alberi, vite passate, film trapassati), non in senso metaforico, ma nel senso di un rito efficace, che ha una sua tecnica e una sua estetica, e ottiene risultati tangibili, visibili, "esatti". Il cinema di Apichatpong, fin dalla sua prima apparizione, ha suscitato entusiasmi incontenibili e inappellabili moti di rifiuto. Il regista-videoartista thailandese, che pratica l'Occidente (il suo mondo culturale, le sue forme espressive, la sua forma mentale) ormai da molto tempo e con profitto, ha fin da subito attirato il sospetto di realizzare film per noi spettatori colti che siamo in grado di apprezzarne le pause chilometriche, la lentezza ossessiva e l'attitudine visionaria (...). Ma di fronte a Lung Boonmee è ormai evidente a (quasi) tutti che abbiamo bisogno di “quest’altra cosa”, capace di attingere a dimensioni sconosciute al cinema (d'autore?) conosciuto, forse perché ha la presunzione di fregarsene dello sviluppo orizzontale, per muoversi verticalmente sopra e sotto la realtà, e al modo in cui il cinema racconta la realtà, fino a che il reale (ondeggiando in su e in giù, tra ciò che lo supera e ciò che lo precede) ne risulta come espanso, dilatato, se non addirittura trasfigurato. Si
rischia di diventare esoterici, quando si parla di un film come questo...
Al netto del titolo – Lo zio Boonmee che può ricordare le sue vite precedenti – sarebbe complicato per chiunque capire che il tema di fondo è la reincarnazione, o meglio, la trasmigrazione delle anime tra uomini, piante, animali, fantasmi. Boonmee è stato un bisonte? Una principessa? Oppure il pesce che fece l'amore con la principessa? Trattasi di storia vera. Di ciò che un tale raccontò a un monaco buddista, il quale raccolse altre testimonianze e poi ne fece un libro. Ma Apichatpong Weerasethakul (che elimina qualsiasi spiegazione prosaica) ne fa invece una questione di cinema come strumento "capace di creare vite anteriori artificiali", di incarnare mondi paralleli, che l'autore, la troupe e poi il pubblico possono condividere e alimentare.
Poi c'è l'altro lato della faccenda, l'estinzione di popoli e di culture, che hanno le loro credenze (il mondo è come lo vedi) e anche il loro cinema. Cinema di cui Apichatpong risale le correnti, attingendo a ricerche e ricordi d'infanzia (le scimmie-fantasma con gli occhi rossi vengono dall'horror thai d'antan). Altro aspetto, questo, difficilmente intellegibile allo spettatore occidentale, anche medio-alto. Così come i riferimenti al passato e al presente del Paese. Così come i legami con l'installazione-video «Primitive» di cui fa parte anche questo film, dedicata al nord-est della Thailandia, alla memoria rimossa e alle tracce lasciate dalla "violenza politica" sui ragazzi di un villaggio. Eppure Boonmee vive di vita propria, la forza delle immagini è indiscutibile, l'ironia è spiazzante, la sua suggestione ha davvero qualcosa di magico. Weerasethakul è scettico sulla reincarnazione («ollywood Reporter» glielo ha chiesto, e lui ha giudiziosamente risposto: «È affascinante, vera o falsa che sia»), ma crede fermamente nella trasmigrazione delle anime tra cinema e realtà, attori e spettatori, giungle e platee, esseri viventi ed entità immaginarie.
Una curiosità: il regista thailandese pratica abitualmente la meditazione (rigorosamente "vipassana", antica come il buddismo), così come un altro autore visionario che ha l'abitudine di guardare dentro e oltre le cose, che si chiama David Lynch (lui preferisce la "trascendentale", moderna come lo yoga trapiantato in Occidente). Che c'entri qualcosa col loro cinema?
Fabrizio Tassi, Cineforum n. 495, 6/2010

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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