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Altra Heimat (L')- Cronaca di un sogno - (Die andere Heimat - Chronik einer Sehnsucht)


Regia:Reitz Edgar

Cast e credits:
Sceneggiatura: Edgar Reitz, Gert Heidenreich; fotografia: Gernot Roll; musiche: Michael Riessler; montaggio: Uwe Klimmeck; scenografia: Toni Gerg, Hucky Hornberger; costumi: Esther Amuser; effetti: Helmut Neudorfer; interpreti: Jan Dieter Schneider (Jakob Simon), Antonia Bill (Jettchen), Maximilian Scheidt (Gustav Simon), Marita Breuer (Margarethe Simon), Rüdiger Kriese (Johann), Mélanie Fouché (Lena Zeitz), Eva Zeidler (nonna), Reinhard Paulus (zio), Barbara Philipp (Sig.ra Niem), Christoph Luser (Franz Olm), Rainer Kühn (Dottor Zwirner), Andreas Kulzer (Padre Wiegand), Julia Prochnow (Sophie Gent), Martin Haberscheidt (Fürchtegott Niem), Klaus Meininger (insegnante), Konstantin Buchholz (Barone), Martin Schleimer (Walter Zeitz); produzione: Erf-Edgar Reitz Film (Erf), in coproduzione con Les Films Du Losange-Ard Degeto Film-Arte Geie-Bayerischer Rundfunk (Br)-Westdeutscher Rundfunk (Wdr); distribuzione: Ripley's Film, Viggo, Nexo Digital; origine: Germania, 2013; durata: 230’.

Trama:In un villaggio dell'Hunsrück a metà del XIX Secolo, la popolazione è costretta a vivere in gravi condizioni e per questo molti di loro devono prendere una difficile decisione: restare o lasciare la propria casa per sempre, alla ricerca della libertà e di un futuro migliore. Jakob, il più giovane figlio di una famiglia di contadini e artigiani sogna di trasferirsi con il suo grande amore in Brasile. Il suo progetto, però, viene improvvisamente messo in discussione quando il fratello maggiore Gustav torna dal servizio militare...

Critica (1):Nella lingua degli indios dell'Amazzonia esiste una parola che significa all'incirca "la freccia alla fine del tempo". Jacob Simon, il protagonista della quarta puntata di Heimat (quinta, se si considerano anche i frammenti di Heimat-Fragmente: Die Frauen, 2006), quella freccia la insegue, la afferra e la rilancia, per ritrovarsi ogni volta daccapo, solo al mondo e appagato dall'unica sensazione che nella sua ignavia sa vivere fino in fondo, il "respiro della madre". Che poi sarebbe il primo heimat a cui tornare, vale a dire il luogo natio, la casa, la Patria, in un passaggio dalla dimensione privata a quella collettiva e storica nel quale è racchiuso il senso dell'intera saga di Reitz. Come Jacob stesso, d'altronde, lo stesso regista tedesco con questo suo nuovo, un po' meno fluviale capolavoro ("solo" quattro ore) torna all'unico mondo cinematografico che dall'inizio degli anni Ottanta ha saputo vivere e coltivare, come terra da lavorare, sudare e coltivare ancora, ricominciando ogni volta da capo il ciclo della vita.
In questa nuova puntata di Heimat la freccia del tempo si è piegata all'indietro e la storia è ricominciata. Siamo nell'Hunsrück prussiano tra il 1842 e il 1844, in un mondo di contadini e artigiani che lottano contro la miseria, in cui l'unica soluzione è la partenza verso il Brasile, l'abbandono della propria terra verso un nuovo luogo dove ricreare il ventre materno. Jacob è un intellettuale sognatore, un visionario che di fronte alle carovane di povera gente pronta a partire, studia la lingua delle popolazioni indigene, si appropria con l'immaginazione di un altro mondo, ricrea nella sua testa un'altra Patria e la trasforma nell'altrove di cui l'Occidente ha ancora oggi bisogno per sopravvivere a se stesso. Jacob, però, nonostante Reitz ne faccia l'unico protagonista del suo affresco ottocentesco, è una figura passiva: sogna quello che gli altri fanno, nella sua ignavia si nega al mondo, la Storia gli passa davanti, gli ruba le idee, lo imprigiona, lo travolge, e lui ogni volta si rialza, si appende a testa in giù e vive il "suo" mondo. O meglio lo immagina, lo reinventa, così come ancora lo stesso Reitz ricrea il suo racconto in un passato lontano, in un tempo non storico ma ancestrale, e così facendo permette alla sua saga e al suo stesso cinema di ricominciare. La reinvenzione della realtà sta negli occhi chiusi eppure aperti di Jacob, nelle potenzialità infinite di un sognatore e di un autore, Reitz, che a costo di simbolismi forse eccessivi trova il passo classico e commovente di un cinema che trasfigura la realtà in poesia. Die andere Heimat, cioè l'altra Heimat, è un dramma familiare sobrio e fluviale, sognante e svagato, illuminato da un bianco e nero splendido, plastico e insieme naturalista; soprattutto, è un film di grandi momenti – il primo incontro tra Jacob e le due contadinelle, la scene della vendemmia, la festa della composta – e di oggetti, particolari e immagini trasformate in correlativi oggettivi. Primo fra tutti l'albero di campagna sotto il quale Jacob porta la madre in punto di morte per farle vedere ciò che si vede dalla loro terra. «Da qui puoi vedere il mondo intero», le dice, e l'inquadratura stacca su un panorama di colline che invadono l'orizzonte e non permettono all'occhio di spaziare. Ma nel tempo e nello spazio ancestrali di Reitz, Jacob e la madre sembrano per davvero vedere il mondo: lo sognano, lo immaginano e l'albero sopra le loro teste ne raccoglie i pensieri, conservandoli fra i rami nodosi.
Roberto Manassero, Cineforum n. 528, 10/2013

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Critica (3):

Critica (4):
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