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Apprezzato professionista di sicuro avvenire (Un)

Regia:De Santis Giuseppe
Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Giuseppe De Santis e Giorgio Salvioni; fotografia (Eastmancolor): Carlo Carlini (operatore: Sergio Martinelli); scenografia, costumi e arredamento: Giuseppe Selmo e Enrico Checchi; montaggio: Adriano Tagliavia; musica: Maurizio Vandelli; fonici: Goffredo Salvatori, Gianni d’Amico; interpreti: Lino Capolicchio (Vincenzo Arduni), Riccardo Cucciolla (Nicola Parrella), Femi Benussi (Lucietta Arduni), Robert Hoffmann (don Marco), Andrea Checchi (padre di Vincenzo), Ivo Garrani (padre di Lucietta), Nino Vingelli (maresciallo), Massimo Serato (monsignore), Luisa de Santis (Maria), Vittoro Duse, Annamaria Dossena, Pietro Zardini, Giulio Massimini, Ugo Carboni, Sergio Serafini; produzione: Giuseppe De Santis, Giorgio Salvioni; origine: Italia, 1972; durata: 100'.
Critica (1):De Santis, apprezzato professionista del cinema italiano, non riusciva a far film sin dal 1964 quando, con l’aiuto dei sovietici, aveva condotto in porto la grossa operazione produttiva di Italiani brava gente. Otto anni di assenza dal set si fanno sentire, inevitabilmente. Il direttore della fotografia Carlo Carlini, che quasi vent’anni prima era stato operatore di macchina per Caccia tragica, afferma che il primo giorno delle riprese sul set di Un apprezzato professionista di sicuro avvenire De Santis appare un po’ arrugginito. Ma subito la ruggine si dilegua. Questo è un film che porta ancora il marchio – seppur appannato – di uno stile difficilmente confondibile: si tratta di un’opera sanguigna, di un realismo "orribile", barocco, violento, nel quale la poetica dell’accumulazione viene maldestramente condotta alle estreme conseguenze, fino ad apparire fuori registro; fino a confondersi, quasi, con tante altre cose che – mentre De Santis era fermo, in attesa di poter realizzare i suoi progetti – sono cresciute nel cinema italiano. Mi riferisco, per esempio, alla massiccia profusione di corpi femminili, che il cinema italiano ormai esibisce con grande naturalezza, cosa che spiazza in modo drastico la violenza dell’erotismo desantisiano. Per quel che riguarda la costruzione del racconto, De Santis continua a preferire l’accumulazione. Si pensi alla scena dell’assassinio – le immagini vengono anche rallentate – di una inquadratura nella quale Capolicchio si scaglia contro Hoffman trafiggendogli il petto con la punta acuminata di un candelabro. Oppure alla sequenza dei falliti tentativi dell’avvocato Arduni di possedere sua moglie Lucia: una lunga serie di inquadrature di abbracci, in ambienti sempre diversi, corpi nudi ansimanti, ripetuti primi piani di Capolicchio e della Benussi. Rispetto al De Santis del passato c’è in Un apprezzato professionista di sicuro avvenire qualcosa di nuovo: un certo tipo di intreccio, vicino al giallo, o meglio vicino al filone del giallo-giudiziario, in voga nei primi anni settanta, filone che trova il suo modello proprio in un film realizzato nel 1969 dall’allievo Elio Petri, autore di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Per la prima volta De Santis, come regista, si mette nella condizione di nascondere allo spettatore una verità (la scena in cui Arduni uccide il prete la vediamo solo alla fine del film): chi è il colpevole dell’assassinio di don Marco? Quale ne è il movente?
Lo spettatore di Caccia tragica sapeva che Alberto era il bandito, che Michele non faceva quel nome ai Carabinieri temendo per l’incolumità di Giovanna. Lo spettatore di Riso amaro sapeva che Walter Granata era un delinquente; così come lo spettatore di Italiani brava gente sapeva che i nostri soldati andavano incontro ad una probabile morte. Il cinema di De Santis è stato sempre un cinema di certezze rivelate, di accumulazioni, di conferme. Non può, improvvisamente, diventare un cinema che tiene nascoste le informazioni, che tace. Qui il regista si mette su una strada che non è la sua, si misura con un modo di raccontare che non solo non gli si addice, ma addirittura contrasta con quella sua inclinazione "barocca" che si è riaffacciata negli anni Sessanta, soprattutto a partire da La garçonnière.
Trattando un soggetto come quello di Un apprezzato professionista di sicuro avvenire bisognerebbe "dire" il meno possibile, dosare ad arte le informazioni da passare allo spettatore, quasi come in una detection-story. Invece, De Santis non si trattiene dall’inserire in una delle prime sequenze del film un tratto narrativo che subito rovina la strategia dell’intreccio: Arduni arriva in chiesa e vi trova la polizia che già compie i rilievi accanto al cadavere di don Marco. Mentre i poliziotti si fanno più in là, egli s’inginocchia accanto alla sua vittima e, fingendo di pregare, raccoglie un bottone che giace sul pavimento. Ma si ferma d’improvviso: ha un’allucinazione. Crede di vedere il cadavere animarsi e stendere il braccio per sottrargli il bottone. La sua allucinazione si materializza sullo schermo in un'inquadratura ripresa con un grandangolo che distorce l’immagine e la rende “orribile”. Questo tratto narrativo ci dice troppo, ci svela troppe cose troppo presto. Eppure rientra nel gusto, nello stile e nel modo di narrare che De Santis ha sviluppato attraverso i suoi film. In Un apprezzato professionista di sicuro avvenire De Santis applica all’intreccio quella tecnica del collage che aveva contraddistinto – almeno da un punto di vista tematico – alcuni dei suoi primi film. È come se un bambino dispettoso (ma intelligente) avesse messo in disordine i fogli della sceneggiatura. Davanti al complicato intrecciarsi dei flash-back, più che di collage, bisognerebbe forse parlare di puzzle, perché allo spettatore tocca il compito di ricostruire la storia mettendo insieme i tasselli che un raffinato gioco di piani temporali, ha scomposto. Per quel che riguarda il lavoro di sceneggiatura, bisogna precisare che qui, per la prima volta, De Santis vi attende in relativa solitudine, giovandosi della sola collaborazione dell’amico Giorgio Salvioni, coinvolto nell’operazione anche in veste di produttore.
Stefano Masi, Giuseppe De Santis, Il castoro cinema, 1981
Critica (2):
Critica (3):
Critica (4):
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