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Nick Cave - 20,000 Days on Earth


Regia:Pollard Jane, Forsyth Iain

Cast e credits:
Sceneggiatura: Jane Pollard, Iain Forsyth, Nick Cave; fotografia: Erik Wilson; musiche: Warren Ellis, Nick Cave; montaggio: Jonathan Amos; scenografia: Simon Rogers; interpreti: Nick Cave, Susie Cave, Warren Ellis, Darian Leader, Ray Winstone, Blixa Bargeld, Kylie Minogue, Arthur Cave, Earl Cave, Thomas Wydler, Martyn Casey, Conway Savane, Jim Sclavunos, Barry Adamson, George Vjestica; produzione: Jw Film-Corniche Pictures-British Film Institute (Bfi)-Film4-Pulse Films; distribuzione: Nexo Digital; origine: Gran Bretagna, 2014; durata: 95’.

Trama:Tra finzione e realtà, il doc racconta in una "giornata immaginata" della vita del musicista Nick Cave. I 20.000 giorni sulla terra cui si riferisce il titolo del film sono quelli della vita di Cave, rockstar e scrittore di culto, icona della musica rock internazionale. I due registi, prendendo spunto da un'annotazione scribacchiata da Cave nel suo diario – l'artista scopriva infatti di aver raggiunto i 20.000 giorni di vita – hanno ripreso in totale libertà la vita privata e pubblica del loro "attore", per tracciare un ritratto intimo e profondamente sincero del suo processo artistico.

Critica (1):Una coppia a letto, addormentata. Suona la sveglia. L'uomo la guarda, la spegne, si alza, va in bagno e osserva la sua immagine riflessa nello specchio. Un luogo comune cinematografico visto centinaia di volte. La particolarità è che in questo caso l'uomo si chiama Nick Cave, e quello è il suo ventimillesimo giorno sul pianeta. 20.000 Days or Earth, il film sul musicista australiano presentato in anteprima al Torino Film Festival in questi giorni, è un oggetto non facilmente identificabile in termini stilistici. Non esattamente un documentario biografico, si pone all'incrocio tra fiction, intervista, monologo, confessione. E quanto alle intenzioni, siamo a mezza via tra la celebrazione e la demistificazione, non tanto del personaggio "Nick Cave" quanto del ruolo stesso dell'artista e della rockstar. Un giorno qualunque nellavita di una persona niente affatto qualunque, che tuttavia alla fine risulta più prevedibile di quanto ci si aspetterebbe. Girato da lain Forsyth e Jane Pollard, celebre coppia britannica di "visual artist" e registi di videoclip, il film segue Cave nell'arco di ventiquattr'ore, e non c'è una sola sequenza nella quale il cantante non sia presente.
Lo vediamo parlare del padre con lo psicanalista, buttare giù i testi di qualche canzone su una vecchia macchina da scrivere in una stanza stracolma di libri e memorabilia, provare nel suo studio di registrazione casalingo, mangiare un piatto di anguille con il fido luogotenente musicale Warren Ellis, spulciare fotografie e diari insieme ai due registi nel sotterraneo del proprio archivio privato, guardare la televisione con la coppia di figli gemelli. E nei tempi morti girare apparentemente senza meta in auto sul lungomare di Brighton, la tristissima città balneare inglese nella quale ha scelto di vivere (o di nascondersi). Con un espediente narrativo ad effetto, anche se un po' scontato, saltuariamente compaiono sul sedile del passeggero persone che sono state importanti nel passato di Cave, come il suo vecchio chitarrista nei Bad Seeds Blixa Bargeld oppure Kylie Minogue, la diva pop con la quale duettò in Where The Wild Roses Grow. La sensazione che vorrebbe essere trasmessa è quella di intimità e trasparenza assolute, un giorno dentro la vita di Nick Cave come se lo spettatore stesso fosse Nick Cave. Ma il tentativo, benché interessante dal punto di vista del linguaggio scelto, riesce solo fino a un certo punto. L'artista è troppo consapevole della sua aura iconica per non resistere alla tentazione di giocarci sopra, e quindi di mandare falsi segnali. Certo, quello che vediamo non è più il giovane tossico maledetto di trent'anni fa, ma un uomo di mezza età con i capelli tinti, apparentemente venuto a patti con i suoi demoni e persino dimesso e malinconico nel suo riflettere sullo scorrere del tempo e sul ruolo della memoria - per lui decisivo - nel processo creativo. In un certo senso, il documentario è anche una lunga seduta di auto-coscienza sul cosa significa scrivere una canzone, ed è l'aspetto forse più poetico e stimolante del film. Che, inevitabilmente, termina su un palco. E lì, nel rito performativo del concerto, che i Cave veri, finti o possibili convergono in un'unica persona.
Carlo Bordone, il Fatto Quotidiano, 28/11/2014

Critica (2):Son tanti, 20.000 giorni. Soprattutto se ti chiami Nick Cave e hai una carriera alle spalle iniziata con i seminali Birthday Party, formazione australiana cruciale per le sorti del cosiddetto post-punk. Soprattutto dopo avere segnato buona parte degli anni Ottanta con album indimenticabili come lire Firstborn Is Dead e avere dimostrato anche nel decennio successivo con dischi come Henry's Dream, Let Love In e Murder Ballads di essere una delle poche teste pensanti in circolazione del rock'n'roll.
I problemi per Cave sono sopraggiunti con la canonizzazione coatta a furor di popolo che lo ha portato a sedere nelle sfere celesti delle eminenze rock La beatificazione di Cave da parte dei media ha provocato sia una sorta di sovraesposizione che un evidente affaticamento della musa del musicista, crisi rappresentata ottimamente da Nocturama. Ed è proprio in quello scorcio di primi anni Zero che Cave riprende a interessarsi al cinema dopo l'esperienza di Ghosts... of the Civil Dead del 1989 diretto dal fedele John Hillcoat. Ed è cavallo di questo riattivato interesse per il cinema che Cave si separa da Blixa Bargeld, famigerato chitarrista degli Einstürzende Neubauten e dà vita insieme all'irsuto violinista Warren Filis al progetto Grinderman nel quale il musicista torna a rivisitare il feroce rock-blues metallico di matrice stoogesiana.
Nel ripensare una band di fatto senza una chitarra portante e il lavoro sul cinema, la musica di Cave (ri)trova una dimensione immaginifica che Push the Sky Away coglie con notevole felicità e precisione. 20.000 Days on Earth (…), ossia il numero dei giorni vissuti da Cave sinora, presentato all'inizio di quest'anno prima al Sundance, poi a Berlino e a Nyon a Visione du Réel, firmato da IForsyth e Jane Pollard, giunge dunque come una consacrazione di questo straordinario autunno della creatività caveiana. Film dalla vocazione indiscutibilmente felliniana, ma declinata come in un onirico saggio documentario di cinema-verité Cave mette in scena se stesso e i suoi fantasmi, rivela parte del suo processo creativo, ripercorrendo e confondendo passato e presente della sua parabola artistica. Alla guida di una Jaguar, come Edith Scob in Holy Motors, Cave dialoga con persone provenienti dal suo passato e non solo. Inevitabilmente il momento più lancinante riguarda la materializzazione nella Jaguar di Blixa Bargeld che aveva abbandonato i Bad Seeds inviando a Cave una email di sole due righe.
Compaiono inoltre Kylie Minogue (altro punto di contatto con Holy Motors con la quale aveva interpretato il brano Where the Wild Roses Grow nell'album Murder Ballads e l'attore Ray Winstone. Lo sforzo compiuto dai due registi di creare un corrispettivo oggettivo in grado di dare corpo e forma sia al mondo che al processo creativo di Nick Cave produce un universo coerente di segni e suoni tanto più convincente in quanto assolutamente artificiale.
L'archivio caveiano, infatti, è una pura invenzione felliniana, quasi un ciak abbandonato di Brazil. Rispetto alla retorica e alla sintassi tradizionale del rockumentary, ancorato all'inevitabile alternanza di teste parlanti e materiali d'archivio, cosa che rende strutturalmente identici fra loro film su musicisti diversissimi, 20.000 Days on Earth tenta con grande coraggio una struttura narrativa propriamente cinematografica, integrando la musica nel tessuto del racconto evitando di utilizzarla come mero strumento pubblicitario e/o denotativo. Anche i momenti che vedono Cave in azione dal vivo trovano nel film una motivazione narrativa forte essendo il palco il luogo dove la musica si trasfigura in osmosi e comunicazione, performance e scambio, luogo quindi sempre al centro del processo di creazione, anzi parte integrante di esso e sua verifica attiva. Ed è proprio il tentativo, difficile ma assolutamente riuscito, di dare forma al processo creativo di Cave, come un mondo a parte, un ecosistema ancorato nel blues e nel punk, in grado godardianamente di evitare la semplice somma aritmetica delle singoli che compongono l'insieme degli elementi della poetica di Cave, a offrirsi come l'elemento più interessante e convincente del film di Forsyth e Pollard.
Un film di fantasmi, dunque, 20.000 Days on Earth, nel quale l'eco della musica diventa la traccia testimoniale di una presenza inquieta, creativa transitoria eppure lucidamente vivida. Proprio come i sogni, d'altronde. Quelli che si fanno a occhi aperti, contando i propri giorni sulla terra.
Giona A. Nazzaro, il manifesto, 2/12/2014

Critica (3):

Critica (4):
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