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Vita altrui (La)


Regia:Sordillo Michele

Cast e credits:
Sceneggiatura: Michele Sordillo; fotografia: Saverio Guarna; montaggio: Massimo Fiocchi; musica: Ludovico Einaudi; scenografia: Elisabetta Gabbioneta; costumi: Carolina Olcese; interpreti: Renato Carpentieri (Andreoli), Giusi Cataldo (Valeria), Maria Consagra (Anna), Renato De Carmine (Giovanni), Massimo De Francovich (Vittorio), Iaia Forte (Carmen), Luisa Pasello (Irene), Corso Salani (Aldo), Jerzy Stuhr (Riccardo Bauer), Carolina Torta (il preside); produzione: Michele Sordillo per Arcadia S.A.S; distribuzione: Vitagraph; origine: Italia, 2000; durata: 84'.

Trama:Nell'Italia di oggi si intrecciano le vite di vari personaggi della media borghesia. Riccardo, sposato con Carmen e padre del piccolo Roberto, è professore universitario di filosofia teoretica e cliente occasionale di una casa di appuntamenti, il Mitos Club. In seguito alla pubblicazione di un suo libro, viene invitato a partecipare a un talk-show - "La vita altrui", appunto - condotto da Valeria, giovane giornalista d'assalto e figlia di un avvocato, Giovanni, coinvolto in un processo per fatti di corruzione: una vicenda che potrebbe avere un esito negativo sulla carriera della ragazza, e che sicuramente in qualche modo influisce anche sugli esiti di ascolto della sua trasmissione.

Critica (1):(...) Uomini e donne sono accomunati dal palazzo borghese in cui vivono, teatro di una commedia umana i cui intrecci sembrano regolati da un caso beffardo come da una implacabile necessità. Dalle sue finestre sul cortile, per lunghi attimi lo sguardo di ciascuno sintetizza con l’approssimazione della lontananza approcci ben più concreti e brucianti. Scale e ascensori rappresentano i luoghi deputati per rapporti formali tra monadi incomunicanti, le cui tranches de vie si dipanano nel chiuso di appartamenti lindi quanto asettici. Se l’ascensore è un elemento ricorrente, vero punto di vista interno nel percorso di andata e ritorno dalla tana, le scale officiano incontri frettolosi, presto destinati a infrangersi dietro porte chiuse in maniera decisa quanto repentina. Questo affollato microcosmo di solitudini trova il suo corrispettivo speculare nel talk show «Vite altrui», in cui esso viene messo in piazza secondo le modalità becere della cosiddetta “televisione del dolore”, una realtà altra e surrettizia cui sembra essere ormai delegata, pervertendosi, ogni comunicazione. Siamo d’altronde nell’era dei cellulari e delle chat line, cioè dell’uso massificato ed autoreferenziale della parola trasmessa per via elettronica, che fa da paravento a un inarrestabile regredire di rapporti interpersonali autentici, cui i programmi televisivi “dal vero”, in una forbice che va dai «Chi l’ha visto?» ai «Grande Fratello», fungono da contraltare necessario, in un panorama che ormai fa impallidire le percezioni “futuribili” dei vari Orwell e Bradbury. Attorno alla televisione ruotano dunque un po’ tutti i personaggi di La vita altrui: Valeria e Aldo la fanno, con il cinismo “professionale” che caratterizza gli operatori e l’attenzione all’audience che non si ferma neppure di fronte agli affetti personali (la donna non esita a portare in studio il padre per raddrizzare una trasmissione in crisi, dando l’impressione di preoccuparsi più della ricaduta su se stessa delle disavventure giudiziarie del genitore che non del genitore stesso); Jessica sembra avere come scopo precipuo della sua messa in scena un futuro di show-girl, mentre il trucido ex amante della madre non nasconde al fratello l’orgoglio di essere stato citato sui teleschermi; il professor Bauer, al di là del blasone accademico, tiene a sua volta molto al passaggio nel talk show, tanto da chiedere in proposito un parere all’assistente («Come sono andato?») e lagnarsi con la moglie perché non l’ha registrato. Persino lo psicoanalista e la compagna giudice dei minori, che palesemente non la guardano e solo nella casa in allestimento cercano di mettere in funzione un apparecchio obsoleto che trasmette in bianco e nero, ne parlano in un dialogo che esprime probabilmente lo sconsolato punto di vista dell’autore. «Nessuno è necessario», afferma Vittorio. «Non è vero. La televisione lo è. Quello che succede in televisione succede davvero», controbatte Anna. A prescindere dall’aspetto, diciamo così, mediatico, La vita altrui mette in scena personaggi la cui implosione psicologia diventa motore per una controllata, contorta quanto illusoria ricerca di surrogati.. Bauer, teorico della comunicazione, si accoppia con giovani prostitute anche perché incapace di comunicare con la moglie, la quale si nega ai piaceri del talamo, pronuncia acide battute sulla prostituzione maschile come conquista di pari opportunità e proietta le proprie frustrazioni sul figlio, che fa sintomatologicamente la pipì a letto. Jessica cerca di realizzarsi puntando al succès de scandale della pornografia, sua madre ne denuncia la scomparsa, sembrerebbe, solo per vendicarsi dell’amante che l’ha lasciata, e continua nella sua volontà persecutoria anche dopo che la figlia lo ha scagionato. D’altro canto, lo psicoanalista e la compagna provano ad aiutare gli altri («Anche ascoltare è un modo di agire»), ma risultano civilmente impotenti, sia sul piano professionale che su quello umano: Anna da sola non arriverebbe mai a capo delle vicende di Jessica e Roberto, Vittorio, che mostra un non di simulato scetticismo rispetto al proprio mestiere («La classica terapia che si fa giusto perché uno ha tempo e soldi», dice a proposito di Irene ha una figlia inquieta che occasionalmente si prostituisce togliendosi significativamente la parrucca, struccandosi e vomitando prima della “prestazione” - alla quale sembra spingerla una ricerca di identità ed autonomia sconfinante nel masochismo, ed ha in tutta evidenza un rapporto non facile con il padre e la sua pur comprensiva amante). In questa gamma di atteggiamenti che va dalla rassegnazione alla disperazione, Valeria e Aldo rappresentano forse i personaggi più spregevoli, nella loro un po’ schematica modernità di professionisti della gestione delle apparenze. I più rispettabili, per l’ambigua lucidità con cui riescono comunque a vivere le miserie quotidiane, risultano forse l’avvocato Andreoli e la moglie Irene: nel limite in cui è possibile penetrarlo, il loro è un segreto che presuppone un’attitudine estrema, l’accettazione della propria contorta autenticità fin oltre la tragedia.(...)
Paolo Vecchi, Cineforum n. 398

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Michele Sordillo
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