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Luci della città - City Lights


Regia:Chaplin Charlie

Cast e credits:
Soggetto: Charlie Chaplin; sceneggiatura: Charlie Chaplin; fotografia: Roland Totheroh; musiche: Charlie Chaplin; montaggio: Charlie Chaplin; scenografia: Charles D. Hall; interpreti: T.S. Alexander (medico), Victor Alexander (boxeur sconfitto), Albert Austin (spazzino/ladro), Harry Ayers (poliziotto), Eddie Baker (arbitro), Henry Bergman (sindaco/portiere), Charlie Chaplin (il Vagabondo), Virginia Cherrill (ragazza cieca), Tom Dempsey (boxeur), James Donnelly (sovrintendente), Allan Garcia (maggiordomo), Jean Harlow (ragazza al ristorante), Willie Keeler (boxeur), Florence Lee (la nonna), Hank Mann (boxeur), Harris Myers (il milionario), Robert Parrish (strillone), John Rand (vagabondo), Joe Van Meter (ladro), Stanhope Wheatcroft (uomo al caffè); produzione: Charlie Chaplin per United Artists; distribuzione: mk2; origine: Usa, 1931; durata: 87'.

Trama:Un povero vagabondo dall'animo sensibile e pieno di generose aspirazioni incontra un giorno una povera ragazza cieca, che vende fiori, e se ne innamora. Essa lo crede un ricco signore. Il vagabondo non puo' dimenticare la gentile immagine: errando una notte per la città, giunge alla sponda del fiume, dove un ricco signore disperato è sul punto di togliersi la vita. Il vagabondo lo distoglie dall'insano proposito e lo rincuora: i due diventano ottimi amici. Ma il milionario è tanto preso dai suoi affari e dai suoi piaceri che non ha tempo di pensare all'amico e un bel giorno parte per l'Europa. L'affetto, che lega il vagabondo alla cieca, si fa invece sempre piu' intenso. Un giorno la ragazza s'ammala e il vagabondo si piega a tutti i mestieri per poterle procurare il necessario. Finalmente ritorna il milionario che offre ospitalità al vagabondo e provvede alla cieca i mezzi necessari perchè si faccia operare. Alcuni parenti del milionario accusano di furto il vagabondo, che, benchè innocente, deve passare dei mesi in carcere. Nel frattempo la ragazza, che ha riacquistato la vista, ha aperto un bel negozio di fiori. Un giorno il vagabondo, uscito di carcere, si ferma dinanzi alla vetrina della fioraia. Questa gli va incontro e a un tratto riconosce in lui l'ignoto benefattore...

Critica (1):City Lights parte da un'ipotesi secondo la quale, nella società americana degli anni Trenta, esiste, generalizzata, una doppia situazione esistenziale. Il miliardario - una sorta di dottor Jekyll - da sano è violento e prevaricatore; da ubriaco, cioè da anormale, è quello che dovrebbe essere un uomo normale. La fioraia, da cieca, cioè quando è anormale, ha sentimenti e reazioni normali; ma quando ha riacquistato la vista (un simbolo), ecco che tende a svelare un fondo di ingiuste (benché coatte) aspirazioni. In sostanza, ciò significa che la norma (la legge) è aberrante; mentre l'anormalità (l'illegalità) è l'unica condizione che permette di intravedere, almeno, i retti rapporti tra gli uomini. Ora, una simile situazione capovolta chi o che cosa l'ha prodotta? L'hanno prodotta il denaro e chi lo detiene consapevolmente. In una società chiaramente divisa in classi tutto è fatto dal denaro, capace di produrre persino l'amore" (Renzi).
La logica del Capitale è assoluta: se Charlot dimostra di poter vivere anche di espedienti, ai margini della Legge, il sistema ripropone inderogabili i suoi condizionamenti; solo grazie al denaro la fioraia potrà riacquistare la vista e Charlot sarà cosi costretto, in nome del "cuore", a gettarsi con tutte le sue astuzie nell'ingranaggio - ma inutilmente: la soluzione potrà venire solo dall'alto, dal paternalismo estemporaneo del miliardario ubriaco. La conclusione non può che essere disperata; la riacquisizione della vista non sarà che la conquista d'una cecità ben più grave, quella dei sentimenti. Il denaro assume così il ruolo bivalente di elemento salvatore e restauratore insieme: il gesto di questo miliardario (che anticipa quello brechtiano de Il signor Puntila e il suo servo Matti) è semplicemente portatore d'una corruzione defìnitiva.
Il segno dominante di City Lights è la sconfitta. In una delle sequenze centrali del film, Chaplin riprende un tema classico, già usato in The Knockout e in The Champion; per guadagnare un po' di soldi, Charlot accetta di sostenere un incontro di boxe. La necessità del denaro genera la violenza e dalla violenza, esercitata solo a livello degli oppressi, il povero Charlot non può che uscire sconfitto. La violenza non tocca infatti chi detiene il denaro, ma da questo viene scatenata fra chi non lo detiene. Lo stesso primo incontro fra Charlot e la fioraia è nel segno della sconfitta: lei, non vedendolo, gli getta in faccia l'acqua dei fiori. Chaplin del resto offende continuamente Charlot, rivelandone le illusioni e le frustrazioni: la connotazione della maschera si vena di amarezza e di tragedia, fino a che queste esplodono in tutta la loro evidenza nel famoso primo piano del finale. Proprio su questo finale e su una sua presunta "ambiguità" si sono appuntate numerose interpretazioni: c'è chi vi ha visto la possibilità sottintesa di un happy end (come per The Kid e per The Gold Rush), chi al contrario l'impossibilità di riconoscervi una qualunque soluzione. In realtà esso è perfettamente conseguente alla costruzione dell'intero film, alla sua struttura di rapporto dialettico fra tensione e frustrazione. Chaplin offende Charlot proprio nei suoi momenti più patetici, quando tende ad un inserimento concreto (e non solo formale) nei rapporti con gli altri. Il finale di City Lights è verificabile dal punto di vista di entrambi i protagonisti:
- la fioraia ha riacquistato la vista grazie al denaro, in qualche modo identificato con il bene, ossia con un rapporto sociale edulcorato e positivo. Nel momento in cui riconosce Charlot, vediamo il suo volto passare dal divertito al deluso. Il contatto sociale (il "vedere") determina in modo inevitabile la frustrazione, cioè la delusione del sogno che esso stesso ha indotto. La donna vede la diversità della realtà, ma la scoperta non sa risolversi in una nuova coscienza; la vista riacquistata è uno schermo definitivo che le è stato messo davanti agli occhi. Non è possibile per lei accettare Charlot, se non per compassione, negazione del sentimento.
- Lo sguardo tragico di Charlot rivela innanzitutto la coscienza di avere deluso (e irrimediabilmente) un'aspettativa; ma rivela anche la portata definitiva della propria disfatta, la consapevolezza del fallimento dei sentimenti. È un sogno infranto anche questo - ma non il sogno banale, piccolo-borghese come i tanti cui Chaplin ci aveva abituati: qui è l'intero senso dell'esistenza ad essere in gioco. Charlot diventa così "non solo l'umiliato, in tutto il suo squallore, che cerca comprensione e affetto come un cane; ma anche colui che vede veramente e conosce e comprende la realtà, oltre le sue contraffazioni e mistificazioni" (Renzi).
Se il comportamento di lei è dunque segnato dal sociale, cioè dalla induzione di schermi adulteranti, dell'ideologia come "falsa coscienza della realtà" o, meglio ancora, proseguendo lungo il significato simbolico del "vedere", dell'ideologia come "coscienza vera d'una realtà falsa" - in Charlot la prospettiva è tutta individuale, segnata dalla definitività dell'emarginazione. La solitudine ha perduto ogni carattere di orgogliosa rivalsa (The Circus); l'altro ha eroso anche quest'ultimo margine di libertà possibile. L'uomo è irrimediabilmente debole e indifeso, perché i suoi sentimenti sono sempre vulnerabili.
City Lights rappresenta il proseguimento della linea evolutiva aperta con The Gold Rush, e parzialmente deviata con The Circus. Chaplin cerca di uscire da quella concezione mitica della storia che tutto sommato intravede come pericolosa, proprio in quanto riflette un inconsapevole adeguamento ad una cultura tradizionale. Gli avvenimenti che sconvolgono gli Stati Uniti, rivelandone la falsità di superficie, sono presenti nel suo film interlinearmente conferendogli una precisione storica lontana da ogni astrazione: la società non è più regola assoluta e naturale, contro cui l'individuo si oppone ontologicamente (e inutilmente). Il denaro di City Lights non è piú l'oro-natura di The Gold Rush, ma il fattore concreto dell'alienazione.
Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, Il Castoro Cinema, 11/1977

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Critica (3):

Critica (4):
Charlie Chaplin
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