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Su tutte le vette è pace


Regia:Gianikian Yervant, Ricci Lucchi Angela

Cast e credits:
Sceneggiatura, fotografia, montaggio:
Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi; musica: Giovanna Marini; produzione: Museo della Guerra di Rovereto e Museo Storico di Trento. distribuzione: Lab 80; origine: Italia, 1999; durata: 71'.

Trama:Composizioni da film documenti dell'esercito Italiano ed Austro-ungarico sui fronti delle Alpi (Monte Pasubio, Monte Adamello) e da negativi originali, positivi di prima generazione del pioniere del cinema di guerra Luca Comerio. Decostruzione delle immagini di propaganda, di rappresentazione di potenza, all'interno del documentario sulla Prima Guerra Mondiale. Ricerca dell'individuo, del 'soldato-uomo' nell'archivio cinematografico raffigurante masse anonime. Nei dettagli, nei particolari, le espressioni, la microfisionomia, i comportamenti dei singoli. Ripresi attraverso il 'corpo ferito' del materiale nitrato, malattia terminale della emulsione dei negativi, fisicamente presenti sui campi di battaglia: frammenti di perforazioni, tracce di colore, monconi, fratture, muffe, macchie (di sangue), cancellazioni, impronte, cornici mancanti del fotogramma… della memoria.

Critica (1):Mobilità dell'occhio, immobilità delle immense montagne. Lo shrapnel: lo si ode con molto anticipo, un rumore come di vento che fischia, che diventa sempre più forte. Il tempo ti appare assai lungo. Avvolte in un pezzo di carta da giornale, giacciono sulla nostra tavola le poche cose del morto: un portamonete, la rosetta del berretto, una pipetta corta… Le liste delle perdite: … un morto … un morto … un morto … scritto così, uno sotto l'altro.
(Quaderno senza numero. Non oltre 1916-1918). Sulle Alpi, linea di confine.

Ritratti sociali. Il panico, l'angoscia di non sopravvivere. L'ebbrezza dell'uccidere. Guerra e bellezza del panorama: elementi in netto contrasto. Prigionieri e disertori per 'affinità etniche'. Nei soldati guardiani la sensazione di aver messo in gabbia uccelli. Cappellano: impartisce l'assoluzione generale prima della battaglia. Fatica estenuante: andirivieni di uomini che trasportano moltitudini di oggetti, ruote, casse, cannoni. Il peso dell'assalto. Insensibilità delle armi: prese al nemico gli si rivoltano contro. Animali: 'poveri animali' trascinati in una guerra di uomini.


Critica (2):Diario di Felix Hecht (1894-1917)
23 novembre 1915
Aspetto invano posta da casa… la vita sta nell'attendere, attendere sempre, in definitiva attendere la morte.
31 dicembre 1915
Fine d'anno. Cosa ci porterà il nuovo anno? Ci sarà forse anche per me una crocetta di legno in qualche cimitero di guerra?
23 febbraio 1916
Continua a nevicare forte… la legna è bagnata e manca il carbone. Si continua a distribuire pentole di the ma manca lo zucchero.
23 aprile 1916
Domenica di Pasqua. Festa triste! C'è una bufera tale che non si può aprire gli occhi. Le vedette che rientrano dagli avamposti hanno le ciglia bloccate, le mani dure e rosse dal gelo.
21 maggio 1916
La nostra seconda incursione ha avuto successo senza spargimento di sangue. Bene!
18 settembre 1916
I topi vengono di notte a schiere nelle ridotte e vi ballano la danza delle streghe. Che bestie questi topi indifferenti alla guerra.
10 novembre 1916
Non si dovrebbe porre nessuno nella tentazione di disertare per affinità etnica.
25 dicembre 1916
Vigilia di Natale: maglie di lana, zelten, mele, noci, sigarette, sigari, pipe, fiammiferi, libri, cartoline…
31 dicembre 1916
Comincia il quarto anno di guerra. Ci porterà la pace.
22 febbraio 1917
Cosa porterà la primavera? Ma cosa ci porterà la primavera?

Lettere di Efisio Atzori (1897-1916)
27 marzo 1916
…la neve è lo spettacolo più bello che abbia mai visto in vita mia. Sono più nero per il sole che nel tempo dei bagni.
22 aprile 1916
Vigilia di Pasqua. Qui solo ghiaccio, tormenta e freddo.
24 maggio 1916
Vi scrivo su carta di un nemico. In una caverna ho trovato un libro da messa di un polacco, con dentro edelweiss.
13 giugno 1916
Che entusiasmo vedere i nemici colpiti cadere. Si mangia, si canta, si beve.
10 luglio 1916
I cadaveri puzzano, di notte buttiamo della calce, rischiamo la pelle.
20 luglio 1916
Fatemi sapere come va il raccolto delle pere, della frutta.

Robert Musil (Diari '16-'18, La Guerra Parallela)
Pace vuol dire: star svegli di giorno, dormire alla notte. Vuol dire dormire in un letto e non in un fosso melmoso. Vuol dire non essere costretti a saltare quando uno te lo ordina; non mangiare panini soltanto nel ricordo; non abbracciare donne soltanto in sogno; non conoscere balli, donne, bambini, caffè, ferrovie, teatri solo come fiabe lontane, avvolte in un alone rosa pallido.


Critica (3):Attraverso l'incontro tra immagini d'archivio e frammenti di testi prelevati dai diari dei soldati morti al fronte (oltre che da quelli di Musil), orchestrati e cantati sotto forma di oratorio da Giovanna Marini, il film di Gianikian e Ricci Lucchi riesce ad evitare tutte le trappole del documentario a grande soggetto. Il film non racconta la Storia, ma restituisce volti e gesti ai morti senza gloria della guerra di confine. Plasmando instancabilmente la loro materia, svolgendo un lavoro analitico su immagini che sarebbero rimaste inerti e mute senza questo intervento, gonfiandole per farne uscire i dettagli nascosti o rallentandole per mostrare la parentela assurda e ripetitiva dei movimenti dei nemici, riducono la distanza, rendono la loro individualità agli anonimi sacrificati e fanno di questi "ancora fanciulli-morti futuri" dei nostri contemporanei. Il film si apre con il rosso delle esplosioni che bucano la notte nera, prima di seguire le sagome scure dei soldati sulla neve bianca. In accordo con le parole semplici e strazianti dei combattenti di vent'anni, questa affermazione cromatica della pellicola tinta permette di accentuare il contrasto tra l'indifferenza maestosa delle montagne e l'agitazione frenetica dei giochi di guerra. Giacché questi soldati con gli sci sembrano prima di tutto divertirsi in una scenografia di sogno; "La neve è il più bello spettacolo che abbia mai visto. Vengo bruciato dal sole più che sulla spiaggia", scrive il soldato italiano. Ma la morte si aggira nelle trincee di ghiaccio. Da una parte e dall'altra si ripetono le stesse routines, la stessa alternanza tra ordine e disordine, grande calma e panico improvviso. Figure sfilano davanti alla macchina da presa; alcuni lanciano uno sguardo furtivo mentre altri abbassano la testa; ci si accorda per andare in perlustrazione, ci si prepara per partire all'attacco, un mortaio viene trascinato su una slitta… Poi ci si lancia verso le linee nemiche, verso gli assassini che rimarranno sempre invisibili, minaccia nascosta nel paesaggio. E i piccoli punti neri perduti in un oceano di bianco cadono senza più rialzarsi. Il miracolo di questo film sensualmente disperato è di farci sfiorare la stanchezza e la paura, i momenti di entusiasmo bellico e l'infinita tristezza che pesa e sembra sprofondare gli uomini in quell'universo opaco di acqua e di rocce che non chiede altro se non di inghiottirli per vendicarsi degli oltraggi subiti. Come tutti i grandi cineasti, Gianikian e Ricci Lucchi utilizzano la materia stessa della loro pellicola, le sue tracce di decomposizione e la sua cancellazione progressiva, per farci sentire insieme la fragilità di una memoria sul punto di dissolversi per sempre, il costante rinnovarsi delle stesse pulsioni europee di suicidio collettivo e la sorte già segnata di molti di quei soldati. Il dialogo mormorato tra le immagini e la musica permette di ascoltare quello che nessuno ha registrato e neppure aggiunto: il silenzio spaventoso delle montagne, il vento e il rumore sordo del fronte. Bisognerebbe proiettare questo film a tutti i registi che hanno parlato della guerra, perché possano vedere come l'alba bianca di un prete che benedice i soldati prima dell'assalto lo trasformi in un fantasma che galleggia in parte a un popolo di ombre.
Frédéric Bonnaud, Les Inrockuptibles, 10/17 Novembre 1998

Critica (4):
Ricci Lucchi
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