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Departures - Departures


Regia:Takita Yojiro

Cast e credits:
Soggetto: da un racconto di Shinmon Aoki; sceneggiatura: Kundo Koyama; fotografia: Takeshi Hamada; musiche: Joe Hisaishi; montaggio: Akimasa Kawashima; scenografia: Fumio Ogawa; interpreti: Masahiro Motoki (Daigo Kobayashi), Tsutomu Yamazaki (Sasaki), Ryoko Hirosue (Mika), Kazuko Yoshiyuki, Kimiko Yo, Takashi Sasano, Toru Minegishi, Tetta Sugimoto, Yukiko Tachibana, Tatsuo Yamada; produzione: Amuse Soft Entertainment-Asahi Shimbunsha-Dentsu-Mainichi Hoso-Sedic-Shochiku Company-Shogakukan,Tokyo Broadcasting System (Tbs); distribuzione: Tucker Film; origine: Giappone, 2008; durata: 131’.

Trama:Daigo Kobayashi è un giovane violoncellista costretto a tornare nella sua città natale dopo lo scioglimento dell'orchestra di cui faceva parte. Per mantenere se stesso e sua moglie, Daigo accetta un impiego come cerimoniere funebre, ovvero colui che compie il rito di lavaggio, vestizione e posizionamento nella bara dei morti per accompagnarli nel trapasso. La sua nuova occupazione non è ben accetta tra parenti e amici, soprattutto da sua moglie, ma il costante contatto con la morte e con coloro che hanno subito la perdita di uno dei propri cari, aiuterà invece Daigo a comprendere quali siano i più importanti legami e valori nella vita.

Critica (1):"Questo violoncello non ha colpe, è stato comprato da un perdente come me, per questo ha perso il suo lavoro".
Questa è una delle frasi che aprono la vicenda del giovane Daigo Kobayashi (Masahiro Motoki), il quale, abbandonata una carriera nel campo della musica e trasferitosi con la moglie Mika (Ryoko Hirosue) in campagna, nella prefettura di Yamagata, si ritrova a insaputa della donna a lavorare per un’agenzia addetta alla preparazione cerimoniale delle salme prima della cremazione.
Da qui, forte di un cast in ottima forma, il prolifico regista giapponese Yôjirô Takita, autore, tra l’altro, di “Yin yang master" (2001) e del suo sequel "Onmyoji 2" (2003), da un lato sviluppa il rapporto tra Sasaki (Tsutomu Yamazaki), proprietario dell’agenzia, e il protagonista, orfano di madre e abbandonato dal padre quando era bambino, dall’altro quello con la compagna, che lo lascia improvvisamente solo per tornare a Tokyo.
Perché, tra preparazioni al viaggio verso l’aldilà e cadaveri che spaziano da un travestito suicida a un’adolescenza interrotta da un incidente stradale, è prima di tutto una storia di solitudine quella che il regista racconta attraverso lenti ritmi di narrazione tipicamente orientali.
Una storia di solitudine che, conferendo non poca importanza al tema della separazione dei figli dai propri genitori, tenta in particolar modo di ribadire l’importanza d’imparare ad apprezzare e godere maggiormente un dono prezioso come la vita.
E, su una sceneggiatura a firma del televisivo Kundo Koyama, che riserva diversi colpi di scena soprattutto nella seconda parte, lo fa senza dimenticare mai di ricorrere all’ironia; pur ponendo al primo posto il classico senso poetico della cultura dagli occhi a mandorla, qui accentuato anche grazie alla colonna sonora di Joe Hisaishi ("Ponyo sulla scogliera").
Anche se qualche minuto in meno avrebbe giovato ancora di più a "Okuribito" (come s’intitola in patria il lungometraggio), aggiudicatosi comunque il premio Oscar per il miglior film straniero.
Francesco Lomuscio, filmup.leonardo.it

Critica (2):C'era (...) molta curiosità intorno a questo Departures, opera che affronta il tema della morte da un punto di vista insolito: quello di un nokanshi (in giapponese "maestro di deposizione nella bara"), la figura professionale che, in Giappone, è incaricata di preparare il defunto per l'ultimo viaggio, eseguendo un complesso ed elaborato rituale. Così, il film tratta un tema generalmente "rimosso" dal cinema, più sentito in Giappone ma comunque non semplice da affrontare: specie se, come in questo caso, si vuole toccare il tema della morte per parlare soprattutto di vita, di sogni e di riconciliazione con il proprio passato.
Il film è molto giapponese per i motivi di partenza, particolarmente sentiti in un contesto sociale in cui il contrasto tra tradizione e modernità è più che mai presente: il ritorno al paesino natale, la vita di provincia contrapposta alla caoticità della metropoli, l'importanza della riscoperta delle proprie radici. Il tono usato nella narrazione è tuttavia molto classico, immediatamente coinvolgente anche per il pubblico occidentale: nonostante il tema di base, e nonostante un soggetto che ha senso solo all'interno della cultura in cui è nato, il modo usato per raccontarlo è assolutamente universale, e di sicura presa su qualsiasi pubblico. È probabilmente proprio quest'universalità, e insieme questa facilità di rapportarsi con lo spettatore a prescindere dalla sua appartenenza, ad aver convinto i giurati dell'Academy a tributare al film il prestigioso riconoscimento.
C'è lirismo, in Departures, ma non c'è mai autocompiacimento. La fortissima carica emotiva della vicenda è gestita in modo sapiente dalla sceneggiatura, che alterna momenti di umorismo tipicamente locale ad altri in cui la problematicità dei temi viene fuori in modo più netto. Il tutto mantenendo un rigore assolutamente apprezzabile, puntando su una commozione che non cerca il ricatto, che evita (quasi) sempre di calcare la mano sulla lacrima facile; se si eccettua forse la parte finale in cui il tono sobrio vacilla un po' sul versante melò, senza tuttavia disturbare più di tanto. Ed è proprio questa sincerità di base, questa capacità di coinvolgere in modo immediato ma non banalmente ricattatorio, a decretare principalmente la riuscita del film: una capacità non comune nel cinema moderno, sicuramente da ascrivere alla regia di Takita Yojiro, cineasta molto prolifico in patria (...). Un'onestà di intenti che "fa" un film in grado di emozionare, divertire e parlare un linguaggio universale: il cinema, arte autenticamente popolare, è anche e soprattutto questo.
Marco Minniti, movieplayer.it

Critica (3):Intervista a Masahiro Motoki (attore protagonista) - Los Angeles. 23/2/2009
Si dice che sia stato lei la persona che ha avuto l’idea di questo film, Departures. C’è stato qualche evento che l’ha ha ispirato?
Quando sono stato in India 15 anni fa ero molto commosso nel vedere che in India la vita e la morte coesistono in armonia e in maniera molto naturale. Hanno entrambe lo stesso valore nella vita umana.
Vicino alle persone che si lavavano e si preparavano nel fiume, c’erano persone che celebravano un funerale e si accomiatavano dai corpi dei loro cari. Morte e Vita coesistono in equilibrio in quei posti. Ero affascinato e commosso dalla vista di questi episodi. Quando sono tornado a Tokyo, ho sentito che la morte era intenzionalmente nascosta dalla vita quotidiana. La gente è semplicemente troppo occupata a correre in giro e non affronta né guarda la morte come una parte importante della propria vita. Questo di fatto significa anche in altre parole che noi non apprezziamo e non godiamo della vita quanto dovremmo. Dal mio viaggio in India in poi ho sempre pensato al significato di vita e morte che giacciono fianco a fianco. (...)

Conosceva o era informato riguardo al lavoro del “nokanshi” (la persona che lavora per la preparazione cerimoniale dei corpi dei defunti prima di porli nella bara) già prima?
La prima volta che mi sono realmente interessato al lavoro dei “nokanshi” è stato quando ho letto il libro “Coffinman (l’uomo che mette nella bara): Il giornale di un becchino Buddista” di Shinmon Aoki. Ero profondamente commosso da questo libro. Così ho cominciato ad avere interesse
per vita e morte, ero completamente affascinato dal libro e dal lavoro del preparatore
dei cadaveri. Ho cominciato a pensare a un film basato su questo libro dal primo momento in cui ho
letto il libro.

Ha realmente studiato la cerimonia della deposizione nella bara da qualcuno
o ha partecipato alla cerimonia?
Quando mi è stato offerto di fare il personaggio in questo film “Okuribito” (Departures), come può immaginare ho dovuto imparare a fare il “preparatore”. Così ho accompagnato un “preparatore” di professione e ho imparato come un professionista svolge il rituale. Ho tentato di catturare l’eleganza e la bellezza della cerimonia cercando di apprendere il più possibile.
Ho anche partecipato in segreto alla cerimonia vera, in cui il preparatore professionista
stava veramente svolgendo il rituale davanti alla famiglia in lutto. Non appena ho guardato e osservato il rituale è diventato sempre più chiaro che il rito della preparazione dei defunti era estremamente artistico, proprio come la cerimonia del the. È una cerimonia calma e richiede raffinate capacità. Ero affascinato dal fatto che il rito fosse svolto in completo silenzio. Mi ha davvero ricordato la cerimonia del the. (...)
(dal pressbook del film)

Critica (4):
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