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Shining - Shining (The)


Regia:Kubrick Stanley

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo omonimo di Stephen King; sceneggiatura: Diane Johnson, Stanley Kubrick; fotografia: John Alcott; musiche: Rachel Elkind, Wendy Carlos, Bela Bartok (esecuzione diretta da Herbert Von Karajan), Krzysztof Penderecki, Gyorgy Ligeti, Hector Berlioz; montaggio: Ray Lovejoy; scenografia: Roy Walker; costumi: Milena Canonero; interpreti: Jack Nicholson (Jak Torrance), Shelley Duvall (Wendy Torrance), Danny Lloyd (Danny), Scatman Crothers (Hallorann), Anne Jackson (Doctor), Philip Stone (Grady), Joe Turkel (Lloyd), Barry Nelson (Ullman), Tony Burton (Durkin); produzione: Warner Bros.-Hawk Films-Peregrine-Producers Circle; distribuzione: Warner; origine: Gran Bretagna; durata: 119’. Vietato 14

Trama:Jack Torrance – ex istitutore e scrittore in crisi con tendenza all'alcoolismo – nella speranza di ritrovare se stesso e l'ispirazione accetta di fungere da custode per la stagione invernale dell'immenso e deserto Hotel Overlook, sulle Montagne Rocciose. Dieci anni prima, in analoghe circostanze, un uomo, prima di suicidarsi, ha fatto a pezzi le due figliolette e la moglie. Jack è al corrente dei precedenti, ma non se ne cura e raggiunge il posto con la moglie Wendy e il figlioletto Danny di sette anni. Il cuoco di colore Hallorann, dotato di "luccicanza" o preveggenza come Danny, è l'unico a temere il peggio. In realtà, mentre scorrono le settimane, Danny rimane sempre più spaventato poiché, con le sue doti parapsichiche, vede fiumi di sangue scorrere e incontra personaggi della tragedia di dieci anni prima. Jack, sempre più stralunato, scrive all'infinito la stessa frase: "Il mattino ha l'oro in bocca". Wendy Torrance tenta di salvare il figlio e se stessa quando Jack cade preda di raptus omicida. Hallorann, allarmato per la mancanza di notizie e di comunicazioni, giunge all'hotel in tempo per subire l'aggressione del pazzo e per porgere agli altri due una via di salvezza. Jack finirà nel grande labirinto del giardino grazie all'infantile astuzia di Danny...

Critica (1):Una piccola macchina che s'arrampica lungo le valli; intorno le montagne, la solitudine, e il silenzio. E poi un grande albergo che ha finito la stagione turistica e si svuota rapidamente, i clienti sono già partiti, il personale si affretta a fare le valigie. Si aspettano solo i custodi del lungo letargo, la famiglia che verrà ad abitare l'albergo con centinaia di stanze, quella che s'arrampica con la macchina lungo le valli del Colorado presto coperte di neve.
Sono Jack Nicholson, un insegnante con ambizioni di scrittore, la moglie Shelley Duvall, spaesata massaia che non ha deciso nulla, il bambino Danny Lloyd al quale il suo compagno invisibile (l'altro bambino che abita nella sua bocca) ha detto di stare in guardia. Una famiglia già abbastanza bizzarra, messa insieme da chi sa chi, tenuta insieme da chi sa quali sentimenti. Del resto, non occorre essere bizzarri per accettare un isolamento di mesi in un albergo vuoto, dove la cucina è un antro senza confini e la sala da ballo si apre muta al termine di lunghi corridoi senza voci? All'atto di affidargli l'incarico, il padrone ha fatto a Nicholson (sorridendo) una precisazione: una decina d'anni prima è successa all'Overlook Hotel, nell'albergo in questione, una penosa vicenda; forse impazzito per la solitudine, il custode del tempo aveva fatto a pezzi le figliolette e la moglie e s'era sparato. Certo, sono cose che fanno impressione, che lasciano sgradevoli ricordi, quasi dei segni, se uno è sensibile. Nicholson (anche lui) sorride: no, è perfetto, in quella solitudine starò benissimo, grazie del lavoro. Sappiamo che Nicholson è una persona bizzarra, ma quel sorriso non è qualche cosa di più di un sorriso? Chi gliel'ha imprestato? Eccoli soli nell'albergo, il padre alla macchina da scrivere, la madre in cucina, il bambino in giro sul triciclo per lunghissimi corridoi. È un sensitivo, lo sappiamo, uno che possiede lo shining, la lucidità, la luccicanza, uno che può vedere a un angolo due bambine trucidate che si tengono per mano nei bei vestitini puliti, uno che può intravvedere dallo stipite di una porta sorgere e gonfiarsi un fiotto di sangue come un torrente che tracima, uno che intuisce i segreti della stanza proibita. Chiede al papà: «Non mi farai male, vero?» E Jack Nicholson risponde: «No, mai, non riuscirei mai a farti del male», mentre s'accentua quel sorriso imprestato e bestiale, troppo, anche per uno scrittore bizzarro.
In tanti giorni di lavoro, sui fogli correttamente ammucchiati, ha scritto solo la frase di una cantilena continuamente ripetuta: «Solo lavoro e niente gioco fanno di Jack un ragazzo triste», che è diventata nella traduzione italiana un'insensatezza più generica e più breve: «Il mattino ha l'oro in bocca». Da quel punto si capisce che Nicholson è diventato un pericolo, incontra nella sala da ballo improvvisamente e stancamente popolata i suoi veri amici, la sua società degli anni venti, l'odio imperturbabile dei grandi progetti, che torna, svanisce, riprende, saltando nella storia con diverse facce e negli individui con la stessa suggestione. «Lei non paga le consumazioni qui», gli dicono le verissime ombre degli anni venti. C'è solo quel piccolo incarico da sbrigare, quell'accetta, quel sangue, quelle noiose incombenze.
Shining non è un film dell'orrore, anche se s'appropria completamente il genere e non lascia affatto tranquilli gli spettatori (...). È un film sull'orrore, che è una cosa diversa. Il regista Kubrick non è solo l'epico visionario di 2001, con l'uomo trasformato dal cosmo. Ha sempre cercato, da Orizzonti di gloria a Stranamore all' Arancia meccanica, a Lindon, quella parte di malvagità individuale che influisce sui gruppi e sulla storia, che s'irraggia come una passione e una ribellione, anche stupida. Adesso sembra che il suo interesse sia raccolto completamente nell'individuo «malato» e malvagio, non fuori della storia, ma in gara incomprensibile con la storia (l'uso del labirinto nel film).
L'ha detto anche lui: «Le storie orrorifiche fanno vedere gli archetipi dell'inconscio, le storie di fantasmi fanno leva su una brama di immortalità», su un male che continua. Shining sarebbe tuttavia costretto al duro rischio di una contaminazione, emotivamente difficile, tra genere horror e genere filosofico, tra grand guignol e metafisica, se Kubrick non avesse ricondotto ogni ambizione metaforica a una propria ossessione, dove tutto si salda al filo dell'unità stilistica, a una specie di giostra dentro le immagini, dentro i riflessi vani delle immagini, dietro le musiche di Penderecki e la canzoncina degli anni venti che svelerà allo spettatore una parte, una regola del gioco.
Kubrick ha fatto interamente costruire in studio un enorme albergo, ha scelto gli arredi, riempito le dispense, moquettato i corridoi, popolato la sala da ballo, disegnato il labirinto, sospinto Nicholson ad una recitazione subito infernale (e per conto nostro eccessiva), tenuto nell'isterismo la Duvall e gli altri pochi interpreti. Ha prodotto un sistema di ingegneria ossessiva che suona lode e insieme allarme, inquietudine per il suo indecifrabile talento.
Stefano Reggiani, La Stampa, 3/12/1980

Critica (2):

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Critica (4):
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