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Próxima estación (La) - Próxima estación (La)


Regia:Solanas Fernando E.

Cast e credits:
Soggetto: Fernando E. Solanas; fotografia: Alejandro Fernández Mouján, Mauricio Mintoti, Fernando E. Solanas; musica: Gerardo Gandini; montaggio: Mauricio Minotti, Alberto Ponce, Fernando E. Solanas; suono: Lena Esquenazi, Fernando Soldevila; produzione: Pablo Rovito, Fernando E. Solanas; distribuzione: Cinesur S.A.; origine: Argentina, 2008; durata: 115’.

Trama:All’inizio degli anni 90’, lo stato argentino ha cominciato a privatizzare le sue imprese con la volontà di modernizzare i loro servizi e di offrirne di migliori: i treni interurbani furono soppressi; migliaia di paesi rimasero isolati e un milione di abitanti emigrarono verso la capitale. Il maltrattamento del passeggero divenne la norma. I furti e gli incidenti si moltiplicarono. Con la privatizzazione delle linee aeree inoltre si eliminarono rotte provinciali e i passeggeri furono abbandonati negli aeroporti. Mai una crisi simile dei trasposti aveva interessato il paese. Quando venne soppresso l’80% dei treni, merce e passeggeri venivano trasferiti necessariamente su gomma. Le strade erano sempre intasate e gli incidenti aumentarono: solo nel 2007 la “guerra delle auto” provocò di 8000 morti e migliaia di feriti. La confusione tra pubblico e privato resiste ancora. Le ferrovie sono state privatizzate perché erano in perdita, ma i servizi pubblici esistono per dare guadagni o per servire la comunità? Per caso devono dare una rendita anche le scuole e gli ospedali pubblici?

Critica (1):Fernando Ezequiel Solanas, detto Pino («neppure mia madre sa perché, è un nome che mi hanno dato da bambino»), è qualcosa di più di un regista cinematografico. Settanta anni, argentino, era approdato in Italia, a Pesaro, con il suo primo film nel 1968, La hora de los hornos, «era un film di denuncia - racconta - anche se oggi di fronte a tutto quello che è successo sembra una favola». Quaranta anni dopo è ancora in Italia per presentare il suo nuovo lavoro, Proxima Estación, invitato dal primo Festival dei diritti umani di Napoli e di passaggio a Milano presso l'Istituto Europeo di Design. Si tratta di un documentario, il quarto di cinque che raccontano l'Argentina devastata dal neoliberismo e dalla corruzione di Menem. In particolare si affronta la dissoluzione del patrimonio ferroviario, una truffa colossale passata prima attraverso la privatizzazione, poi allo smantellamento della maggior parte delle tratte, con smembramento di macchinari e altro, tutto letteralmente rubato da aziende voraci quanto i rapinatori.
Parlare con Pino è come essere investiti da un fiume in piena; è stato anche deputato, ha fondato un movimento politico che nella capitale ha avuto l'8,5% e intende presentarsi alle prossime elezioni nella capitale. Subito entra in argomento definendo «un'aberrazione privilegiare il trasporto su gomma, perché maggiormente inquinante, meno economico, inoltre la ferrovia, oltre a permettere di socializzare e di tenere uniti i cittadini, può funzionare in qualsiasi condizione meteorologica. Invece si continua con la guerra dell'automotore, che solo in Argentina provoca 8000 morti l'anno, con costi sociali e economici spaventosi». Eppure attraverso i vari governi che si sono succeduti sino alla perversione di Menem questo è successo in Argentina, ma non è che in Italia (fatto salvo lo smantellamento interessato) la situazione sia poi molto diversa. Il problema secondo Pino è che «dopo venti, trenta anni di neoliberismo gli stati non sono più in grado di controllare alcunché», infatti nel filmato chi dovrebbe indagare, incriminare, inchiodare alle responsabilità gli autori dello scempio cade letteralmente dalle nuvole oppure è preso da un senso di impotenza.
Ma soprattutto è indignato con «l'idea che il privato sia migliore dello stato. È una favola, hanno rubato tutto nel modo più selvaggio», così come selvaggi sono stati Bush e Cheney con la loro politica. Non è tenero neppure con il governo Kirchner, pur senza avere preconcetti «quando fanno qualcosa che va nella giusta direzione siamo pronti all'applauso, non siamo professionisti dell'opposizione». Eppure, di fronte a tutto questo, Solanas è entusiasta perché «l'America Latina vive un momento straordinario e unita ha un futuro straordinario perché per la prima volta nel continente sono in maggioranza i governi di centro sinistra e di sinistra. Anche se voi in Europa vi fermate a una frase di Chavez, che D'Alema definisce demagogo. La verità è triste, mi trovo di fronte a un'Italia rassegnata, alla cultura della sconfitta. Se il modello della sinistra italiana è questo io dico no, alla luce del fatto che abbiamo studiato Gramsci, facendone un culto».
Tornando al cinema l'entusiasmo è lo stesso, sta per completare il quinto documentario e lui, che ha firmato anche titoli straordinari come Tangos, El exilio de Gardel, Sur, El viaje, La nube, ha ancora voglia di realizzare lavori non documentari. «Ho tre o quattro progetti, ma non ho molto tempo per organizzare la produzione e trovare i finanziamenti. Uno si intitola Los hombres que estan solos y esperan, una frase di Ortiz Scalabrini, una sorta di Carlito Marx argentino degli anni '30 e '40 e si ispira al suo magnifico lavoro, poi sto pensando a una saga sulla mia generazione che dovrebbe partire dalla resistenza degli anni '60 per arrivare alle democrazie corrotte».
Chissà, del resto è un ottimo momento per il cinema argentino e per l'America Latina, e chiacchierando con Pino verrebbe voglia di tornare a fare gli emigranti perché lui dice che «L'Europa è morta». Che abbia ragione?
Antonello Catacchio, Il Manifesto, 14/11/2008

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