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Là-bas - Educazione criminale


Regia:Lombardi Guido

Cast e credits:
Sceneggiatura: Guido Lombardi; fotografia: Francesca Amitrano; musiche: Giordano Corapi; montaggio: Annalisa Forgione, Beppe Leonetti; scenografia: Maica Rotondo; costumi: Francesca Balzano; suono: Davide Mastropaolo, Leandro Sorrentino; interpreti: Kader Alassane (Yssouf) Moussa Mone (Moses) Esther Elisha (Suad) Billy Serigne Faye (Germain) Fatima Traore (Asetù) Alassane Doulougou (Idris) Salvatore Ruocco (il capoclan) Franco Caiazzo (Zi Peppe) Gaetano Di Vaio (gestore autolavaggio) Marco Mario de Notaris (chirurgo); produzione: Dario Formisano, Gaetano Di Vaio, Pietro Pizzimento, Gianluca Curti per Eskimo- Figlidelbronx-Minerva Pictures Group; distribuzione: Istituto Luce – Cinecittà; origine: Italia, 2011; durata: 100’.

Trama:Castel Volturno, 18 settembre 2008. Un commando di camorristi irrompe in una sartoria di immigrati africani, sparando all'impazzata e uccidendo sei ragazzi di colore. Nel frattempo, il giovane immigrato Yssouf decide di chiudere i conti con lo zio Moses. È lui che lo ha convinto a venire in Italia promettendogli un futuro da onesto artigiano e che invece lo ha trasformato nel cinico gestore di un giro milionario di cocaina, con il rischio di finire ammazzato dal potente clan rivale dei nigeriani. Tuttavia, Yssouf non è il solo a essere intrappolato nella quotidiana lotta per la sopravvivenza: intorno a lui ruotano anche le vicende dell'amico Germain, della cantante Asetù e della prostituta Suad, che lo stesso Yssouf vorrebbe riscattare dai suoi padroni.

Critica (1):Una volta i generi erano la struttura portante del nostro cinema. Non solo la commedia – l'unico sopravvissuto – ma anche il western, l'horror, il poliziesco, l'erotico. Oggi sono quasi tutti scomparsi, perché possono fiorire solo all'interno di un'industria forte e sana: la nostra non lo è. Riaffiorano di tanto in tanto, come fiumi carsici. E talvolta riescono ad incrociarsi con il cinema d'autore e con il cinema «civile», gli altri grandi filoni su cui la nostra cinematografia si è sempre basata. Là-bas è tutto questo, in una miscela insolita, con aspetti inediti che lo rendono uno degli esordi più interessanti della stagione. Per semplificare l'approccio critico e gettarvi un po' di fumo negli occhi potremmo definirlo un capitolo apocrifo di Gomorra. In realtà è qualcosa di meno e qualcosa di più. Di meno perché non ha la complessità stilistica e narrativa del film di Matteo Garrone, e non ha alle spalle un fenomeno editoriale come il libro di Saviano. Di più perché nasce da un'osservazione diretta della realtà, da un punto di vista narrativo ancor più «dentro» le cose. Basti dire che è un film italiano in cui ci sono pochissime battute nella nostra lingua: i personaggi sono tutti immigrati africani nella zona di Castel Volturno e si esprimono in inglese, in francese o – più di rado – nelle loro lingue native; due o tre scene sono in un napoletano talmente stretto da necessitare, anch'esso, dei sottotitoli. Di tanto in tanto – paradossi dell'immigrazione – l'italiano fa capolino come «lingua veicolare», quando lo usano per capirsi due africani che parlano idiomi diversi.
Già questa caratteristica fa di Là-bas un film anomalo, distribuito esclusivamente in copie originali con sottotitoli. Ma il punto di vista è ancora più originale: Lombardi si è, per così dire, «annullato» in una storia interna al mondo degli immigrati. La storia è quella di Yssouf, giovane africano che viene in Italia chiamato da uno zio ormai integrato che gli promette un lavoro onesto e si ritrova a spacciare droga. Il tirante narrativo è il tentativo di Yssouf di uscire dal giro, ma il cuore del film è nei personaggi collaterali e nell'allucinante contesto che li circonda. Lombardi ha girato nei luoghi veri, e chiunque sia stato anche una sola volta sulla Domiziana, dalle parti di Castel Volturno e del villaggio Coppola (dove Garrone girò L'imbalsamatore), sa che lì c'è una frontiera non ufficiale ma solidissima e violenta, un Far West dentro lo stato dove lo stato non ha alcun potere. Non a caso il film si chiude con l'immagine del luogo dove avvenne, nel 2008, la sparatoria nella quale sei africani furono uccisi. È persino banale dire che fra gli immigrati c'è chi lavora onestamente e chi, anche con baldanza e piacere, entra nelle file della malavita. Là-bas è una testimonianza vera e dolente su un mondo che sta accanto a noi, dall'altra parte della strada. È l'Italia, bellezza. Là-bas, laggiù.
Alberto Crespi, L’Unità, 9/3/2012

Critica (2):Quanti modi ci sono per raccontare l'immigrazione in Italia? All'ultima Mostra di Venezia sembravano non esserci altri temi. Forse perché quasi nessuno ha più la voglia o la capacità di raccontare gli italiani se non di riflesso. Comunque sia, c'era Terraferma di Crialese, c'erano gli alieni-metafora di Gipi (L'ultimo terrestre), i migranti in odore di santità di Olmi (Il villaggio di cartone), gli extracomunitari invisibili di Patierno (Cose dell'altro mondo), l'amore fra una giovane cinese e un vecchio immigrato ormai quasi assimilato (Io sono Li di Andrea Segre, il migliore di tutti).
E poi c'era questo Là bas di Guido Lombardi, talentuoso cortista napoletano, che merita una considerazione a parte. Perché è forse il primo film «ali black» mai girato in Italia (di bianchi e italiani se ne vedono pochi e per pochi istanti, anche la nostra lingua non si sente spesso). Perché ha vinto il Leone del Futuro come migliore opera prima. E perché prende spunto da un fatto di cronaca – la strage di Castelvolturno, 6 giovani africani uccisi dai camorristi nel settembre 2008 – per illuminare tutto un mondo dall'interno o almeno provarci.
La storia è semplice, volutamente esemplare. Un giovane africano appena giunto in Italia deve scegliere se fare la vita onesta ma durissima del bracciante sfruttato come un animale, lui che sogna di fare l'artista, o invece dare una mano allo zio spacciatore. Sappiamo già cosa sceglierà Yssouf, e cosa lo aspetta. Tanto che si fatica un poco a credere all'ingenuità del personaggio. Così ci ostiniamo a sognare svolte narrative che non ci sono, non possono esserci, ma nel frattempo scopriamo parecchie cose interessanti.
Scopriamo con concretezza, senza pietismo, come vivono i braccianti che si spezzano la schiena nei campi di pomodori. Impariamo quanto sia difficile e pericoloso evitare certe lusinghe. Vediamo come l'ingenuità di Yssouf, i suoi confusi sogni d'artista, il suo naturale desiderio d'amore, si aggroviglino in un destino.
Perché Lombardi ancor prima che di capire i suoi personaggi si sforza di rappresentarli. Calandosi in un microcosmo fatto di sogni, mentalità, desideri, almeno quanto di realtà fisica. Ma finisce col sacrificare sull'altare della cronaca proprio la concretezza, il sentimento di verità che dovrebbe dare vita al racconto di una realtà conosciuta solo attraverso le semplificazioni dei media. Chiudendo i protagonisti dentro percorsi un poco obbligati. Come capita a chi si addossa un compito titanico: mettere in scena un mondo che l'Italia intera, malgrado il cinema, si sforza di ignorare.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 11/3/2012

Critica (3):

Critica (4):
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