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Felicità non costa niente (La)


Regia:Calopresti Mimmo

Cast e credits:
Soggetto, sceneggiatura
:Francesco Bruni, Mimmo Calopresti, Heidrun Schleef; fotografia: Arnaldo Catinari; montaggio: Massimo Fiocchi; scenografia: Alessandro Marrazzo; fonico: Remo Ugolinelli; costumi: Silvia Nebiolo; musiche : Franco Piersanti; interpreti: Mimmo Calopresti (Sergio), Vincent Perez (Francesco), Francesca Neri (Sara), Fabrizia Sacchi (Claudia), Valeria Bruni Tedeschi (Carla), Peppe Servillo (Gianni), Laura Betti (Suora guardiana), Luisa De Santis (Lucia); prodotto da: Donatella Botti con Bianca Film, Rai Cinema, Canal +; distribuzione: Lucky Red; origine: Italia, 2003; durata: 100’.

Trama:A sconvolgere la vita di Sergio, architetto sposato, con amante e tanti amici, è un incidente d'auto. È il fattore scatenante che gli fa rimettere in discussione la sua vita.

Critica (1):So poco di com’è Mimmo Calopresti nella vita reale, ma nel suo nuovo film affiorano tormenti ed estasi di timbro molto personale. Non per i fatti che racconta, lungi da me il sospetto che il regista sia stato bastonato per futili motivi, e con conseguenze gravi, dal suo vicino di pianerottolo. Ma quella che il film descrive la conosco bene: è la crisi della mezza età di cui siamo in molti aver sofferto. Quando nel pieno del marasma confidai amichevolmente le mie pene all’illustre collega veterano Filippo Sacchi, il fondatore di questa rubrica convenne alla luce dell’esperienza che la crisi dei 40 era tremenda, ma «niente in confronto alla crisi degli 80» da cui si considerava appena uscito. Questa battuta illuminò il mio tetro panorama, schiudendomi quando tutto intorno suggeriva «lascia» il pragmatico invito «raddoppia»; e mi sentirei di girare a Calopresti lo stesso invito. Mi direte che questo è uno strano modo di imbastire una recensione, ma è proprio quello che il film sollecita: parlare a tu per tu, discutere della vita. Molte cose mi lasciano perplesso, a cominciare dal titolo. Non è vero che «la felicità non costa niente»; personalmente sono convinto, con Stendhal che la felicità sia «una lunga abitudine a ragionare giusto». E quindi ha un costo di sacrifici non indifferente. Pensare il contrario significa allinearsi alla mentalità del protagonista, questo architetto Sergio (incarnato plausibilmente dallo stesso regista) nevrotico, instabile, perseguitato dai fantasmi del rimorso e tuttavia pronto ad addormentarsi abbracciato a un pupazzo come un bambino. Se gli diamo retta è perché il racconto delle sue angosce si inserisce in una cornice stilistica impeccabile, come in un romanzo scritto bene, con quelle immagini di città (Roma, Torino) ritagliate da uno che ne scopre gli aspetti meno consumati o le fa emergere dalle profondità del ricordo. E quei personaggi, anche minori, tutti in qualche modo con una presenza incisiva. In questo senso mi pare più convincente la prima metà del film, apparentemente dispersiva, un carnet di note dolenti; mentre da quanto appare sullo schermo l’incantevole immagine di Francesca Neri (della quale sapremo poi che è una matta vera) si sente subentrare una fragile ipotesi narrativa, qualcosa che potrebbe assimilarsi al manierismo (vedi poi l’immagine sognata del Paradiso proletario). Però Mimmo Calopresti ha davanti a sé i suoi secondi 40 anni per tirare le somme degli spunti creativi e organizzarli in un contesto totalmente accettabile. Prevedo un viaggio di cui sarà interessante seguire le tappe, a cominciare da questo «la felicità non costa niente». Un film da amare, contestare, discutere. Tutto meno che un film inutile.
Tullio Kezich, Corriere della Sera (1/2/03)

Critica (2):Lo slogan di lancio (“Un uomo. Due donne. Un incontro magico”) e i vari trailer visti in televisione e al cinema non rendono giustizia al nuovo film del regista di La parola amore esiste. Lo depistano. Perché il cinema di Mimmo Calopresti è, prima di tutto, il cinema di Nanni Moretti che vive un po’ di più, che pulsa di storie intrecciate e incasinate, che si nutre di sentimenti confusi. Alla ricerca della felicità. Il cinema del regista di La seconda volta è l’unico, oggi in Italia, a potersi permettere frasi che declamano l’ovvio apparente: “ho paura di morire”, “ho continuamente voglia di piangere”, “la sincerità assoluta è un’utopia”, “dille che le voglio bene” e via delirando, nel senso di una febbre d’amore che sale verso la vita. Perché non cadono nel ridicolo? Perché è lo stesso Calopresti che le scrive e le dichiara, le recita e le fa proprie, cacciando filtri e spirali, tagliando qualsiasi rete di protezione, mettendosi in gioco col corpo e con la mente, senza scrupoli e pudori. Anche Là felicità non costa niente, opera disarticolata, sanamente imperfetta, sincera - come direbbe Morandini - come una tegola in testa, è un sacco vuoto che ha voglia di riempirsi di dubbi e di domande, di pugni presi e dati, di noie agognate, di piccoli grandi tormenti (e “Piccolo tormento” è il quasi tormentone musicale del film, cantato da Peppe Servillo, al quale è consegnato un ruolo di forte simbologia filosofica, e dalla sua Piccola Orchestra Avion Travel). Solo provocazioni? Ma La felicità non costa niente ha il raro pregio di mettere in scena la crisi di un uomo – anzi: di un maschio – insofferente all’ipocrisia e al consumismo, chiuso nel buio di un viaggio nella vertigine e poi riproiettato nel sogno di un’esistenza che abbia al centro quel “Wonderful World” riarriangiato ska, circondato da uomini bambini che ancora non sanno cos’è un mondo meraviglioso e che dunque si manifesta per quello che sono: involontariamente puri. Ancora una volta Mimmo Calopresti, alle lusinghe delle scorciatoie, preferisce il rumore del mare.
Aldo Fittante, Film TV (4/2/2003)

Critica (3):

Critica (4):
Mimmo Calopresti
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