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Almanya - La mia famiglia va in Germania - Almanya - Willkommen in Deutschland


Regia:Samdereli Yasemin

Cast e credits:
Sceneggiatura: Nesrin Samdereli, Yasemin Samdereli; fotografia: The Chau Ngo; musiche: Gerd Baumann; montaggio: Andrea Mertens; scenografia: Alexander Menasse; costumi: Steffi Bruhn; interpreti: Vedat Erincin (Hüseyin anziano), Fahri Ogün Yardim (Hüseyin giovane), Aylin Tezel (Canan), Lilay Huser (Fatma anziana), Demet Gül (Fatma giovane), Denis Moschitto (Ali), Rafael Koussouris (Cenk), Petra Schmidt-Schaller (Gabi), Aykut Kayacik (Veli adulto), Aycan Vardar (Veli a 10 anni), Ercan Karacayli (Muhamed adulto), Kaan Aydogdu (Muhamed a 8 anni), Siir Eloglu (Leyla adulta), Aliya Artuc (Leyla a 4 anni); produzione: Roxy Film Gmbh-Infafilm Gmbh; origine: Germania, 2011; durata: 97’.

Trama:La famiglia Ylmaz, metà turca e metà tedesca, vive in Germania da quando il nonno Hüseyin vi è immigrato alla fine degli anni 60, come "lavoratore ospite". Una sera, durante una riunione di famiglia, Hüseyin sorprende i suoi cari con la notizia dell'acquisto di una casa in Turchia dove vuole che tutti si trasferiscano. Nonostante i familiari si ribellino a questa decisione, Hüseyin rifiuta di accettare una risposta negativa e costringe tutti a partire per la Turchia. E' l'inizio di un viaggio pieno di ricordi, discussioni e riconciliazioni.

Critica (1):Se qualcuno veramente pensa, come hanno as­serito nelle scorse settimane dapprima la cancelliera tedesca Angela Merkel e poi anche i premier britannico Davld Ca­meron, che il multiculturalismo in Euro­pa abbia fallito, dovrebbe guardare con attenzione il film Almanya - Willkom­men in Deutschland, ovvero Benvenuti in Germania, la pellicola che in questi primi giorni dei Filmfest berlinese ha riscosso la maggior dose di applausi. Tutti me­ritatissimi per altro, perché si tratta di una commedia sottile, spesso melanconica, ma a tratti anche esilarante, figlia di quel filone cinematografico che potrem­mo definire turco-tedesco che ha in Fatih Akin il suo più celebre capofila.
«Ma io sono turco o tedesco?». Il dramma inizia quando un bambino di sei anni in una scuola della Germania di oggi si interroga sulla propria identità culturale. Questione cruciale perché dal la risposta dipende la scelta di giocare a pallone nella squadra dei bambini tedeschi o di quelli turchi E la risposta non è facile, perché il piccolo in questione è nato in Germania e parla perfettamente il tedesco, ma il suo nome, Cenk Ylmaz, rivela inequivocabili origini turche. Tocca alla sorella maggiore e soprattutto al nonno raccontare al piccolo la storia della loro famiglia. Da qui ha inizio la rievocazione di una vicenda esempla­re di quella che è stata l'emigrazione di massa dalla Turchia verso la Germania negli anni Sessanta. Dalla lontana Anatolia il ventenne Huseyin Yilmaz prima da solo e poi con la famiglia, si trasferisce in Baviera per dare il suo contributo al boom dell'economia tedesca Un impatto forte con questo paese mille miglia lontano dal suo, dove si portano a spasso i cani, le donne sono poco coperte e gli uomini sono biondi, alti e mangiano carne di maiale. Dopo aver lavorato come manovale per 45 anni il Gastarbeiter turco riceve l'onore della cittadinanza tedesca, ma in lui scatta il desiderio di rivedere la vecchia patria. La moglie, i quattro figli ormai adulti e il nipotino lo seguono in questo viaggio nella memoria alla scoperta di un mondo, quello della Turchia, che nel frat­tempo è diventato per tutti loro estraneo. Giocando con ironia sui cliché e senza mai cadere nella retorica, la giovane regista Yasemin Samdereli, lei. stessa tedesca di origine turca, ha confezionato un ottimo film, destinato a raccogliere molti successi. Un'opera che secondo la regista va intesa come testimonianza del fatto che «il multiculturalismo in Europa in realtà è appena cominciato».
G.U., L’Unità, 14/2/2011

Critica (2): (...) Il benvenuto in Germania è quello che riceve il patriarca della famiglia, l’armeno Huseyin Yilmaz quando giunge il 10 settembre 1964, milionesimo straniero all’ufficio immigrati e, cedendo il posto per cortesia, si trova milionesimo +1 e quindi ri-precipitato nell’anonimato più oscuro. Proprio la sua storia oscura viene raccontata ad un nipote bambino, umiliato a scuola dal rifiuto dei compagni turchi ad immetterlo nella propria squadretta (non è più turco, essendo i suoi genitori ormai di nazionalità tedesca) e dalla parallela ripulsa dei tedeschi (che tedesco è uno che si chiama Cenk Canan e la cui famiglia proviene da un paese che non sta nemmeno nella carta d’Europa?). I quarantacinque anni della storia del patriarca, dei suoi figli e dei suoi nipoti, si snodano con grazia attraverso il racconto, fatto di armoniosi flashback, di una nipote che collega i fili dei racconti familiari, vissuti à rebours: dall’emozione per l’ottenimento del passaporto tedesco alla infanzia armena, all’innamoramento, all’immigrazione lacerante che prima priva per lungo tempo i figli del proprio padre e poi, quando questi verrà a riprenderseli, degli amici e delle abitudini acquisite. E poi le emozioni della madre, prima chiusa nel guscio domestico e poi sempre più integrata; a sorpresa, dopo quasi mezzo secolo la decisione autoritaria del ritorno in Armenia.
Ma il vecchio è saggio e sa che la vita dei suoi è in Germania: il viaggio sarà semplicemente l’occasione per conoscere la propria storia e le proprie radici. Anche il destino è saggio e concluderà con un colpo di genio la vita dell’uomo, proprio là da dove era partito, là, dove un figlio resterà per ricostruire la casa che si era rivelata un rudere. Toccherà al nipote, al ritorno “in patria“ pronunciare dinanzi alla cancelliera tedesca, che aveva invitato il nonno con altri immigrati di lungo corso ad un ricevimento d’onore, le parole testamentarie del nonno “Sono felice”. Finalmente fiero il nipotino porterà a scuola una carta d’Europa che comprenda la sua Armenia e, non più “né turco né tedesco”, potrà forse un giorno sentirsi turco tedesco. (...)
Sara Mamone, drammaturgia.it

Critica (3):

Critica (4):
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