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Panico - Panique


Regia:Duvivier Julien

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo Il fidanzamento del signor Hire di Georges Simenon; sceneggiatura: Julien Duvivier e Charles Spaak; fotografia: Nicolas Hayer; montaggio: Marthe Poncin; musiche: Jean Wiener, Jacques Ibert; scenografia: Serge Piménoff; interpreti: Michel Simon (Monsieur Hire), Viviane Romance (Alice), Paul Bernard (Alfred), Charles Dorat (Michelet), Lucas Gridoux (Fortin, il farmacista), Lita Recio (Viviane), Jenny Leduc (Irma), Michèle Auvray (Mme Branchu); produzione: Filmsonor Société Anonyme; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia, 1946; durata: 100’.
Nuovo restauro digitale di TF1 Droits Audiovisuels presso il laboratorio Digimage, a partire dal nitrato interpositivo originale.

Trama:Alla periferia di Parigi, una donna viene assassinata. Chiunque parla dell'omicidio, eccetto il misantropo signor Hire. La stessa sera Alice, appena uscita di galera, si incontra nuovamente con il suo amante Alfred. I due si comportano come se non si conoscessero, anche perché Alice è andata in galera per proteggere Alfred. Il signor Hire, però, si innamora di Alice e sa anche chi è l'assassino…

Critica (1):Mr. Hire è un individuo orgoglioso, eccentrico e solitario. È segretamente innamorato della bella ed equivoca Alice (Viviene Romance). Quando il corpo di una giovane donna viene rinvenuto nel suo quartiere, immediatamente i sospetti dei vicini e della polizia si concentrano su lui. Dopo uno spettacolare quanto drammatico inseguimento-linciaggio sui tetti di Parigi, una fotografia rivelerà l'identità del vero colpevole. Tratto dal romanzo di Georges Simenon, il primo film di Julien Duvivier dopo il suo ritorno in Francia da Hollywood vede l’acclamato esponente del realismo poetico usare il suo consumato mestiere per fini più oscuri e cupi. Grazie alle sfumate e incisive performance dei due protagonisti, questo noir ad alta tensione mostra (prima del Lang americano di Furia, Sono innocente e Il grande caldo) i pericoli della perversa ferocia della masse, costruendo una puntuale allegoria della doppiezza e della meschinità dei francesi durante gli anni delle guerra. “Lo sguardo freddo ma fraterno e segretamente tenero di Simenon fa spazio qui alla visione di un misantropo, condannando irrimediabilmente e senza indulgenza le bassezze dell’umanità”.
Jacques Lourcelles, ilcinemaritrovato.it

Critica (2):(…) Simenon colloca la vicenda del romanzo (un banale fatto di cronaca nera) in uno spazio intermedio. Non si tratta propriamente della città, ma neanche della campagna. Il protagonista, M. Hire, è prigioniero di questa posizione "a confine fra". Tutto il libro si gioca sull'opposizione di coppie antitetiche: città/campagna, quindi, ma anche folla/strade deserte, cantina/primo piano, notte/giorno... Simenon insiste in questo modo sul carattere asociale del personaggio, asociale in quanto non appartenente ad alcuna società, non collocabile appunto, ed è per questo che M. Hire viene a definirsi solo attraverso l'aspetto esteriore. Per rafforzare questa sensazione di indeterminatezza, Simenon fa largo uso del fuori campo, gioca in larga parte sull'al di là di qualche cosa (una porta, una finestra, una vetrata...), sulla separazione fisica o temporale tra il personaggio e gli eventi, tra M. Hire e gli altri personaggi il crimine che origina il racconto è posto come già accaduto (secondo la migliore tradizione del genere), ma l'esperienza stessa che Hire ha del mondo esterno non è mai diretta, viene sempre filtrata. Quando egli osserva Alice, lo fa da dietro una finestra; il microcosmo che abita l'immobile di Hire parla da dietro i muri, dietro le porte, ovvero è produttore di un tipo di rumore che ha esistenza propria, autonoma, in quanto legato solo ipoteticamente a diverse identità. I suoi unici rapporti con il mondo esterno vengono spogliati di qualsiasi umanità, in quanto sclerotizzati in comportamenti routinali. Necessariamente, quindi, «il décor scorreva sempre uguale». Lo spazio urbano viene ritagliato in spazi abituali e la vera città è posta anch'essa al di là: «il rumore di Parigi nasceva al di là dei muri». M. Hire vive in una stanza che viene a configurarsi come una sorta di ventre materno virtuale che lo ripara dall'esterno, i suoi sensi percepiscono sempre attraverso una qualche membrana. E per questo che, quando avviene il primo vero contatto con l'esterno, ciò produce uno choc. L'incontro con la folla, con la gente del quartiere, provoca un trauma in M. Hire il quale viene letteralmente colpito in viso ed è solo allora che il décor si trasforma, assume nuove sembianze. Nel momento del confronto M. Hire tenta una vana fuga, pagando con la morte la sua incapacità a vivere.
Duvivier, in Panique, sceglie di amplificare le conseguenze del banale "fait-divers", ma si dichiara poco interessato ad aggiungere un nuovo titolo alla già lunga lista di film policiers, indicando che l'interesse di Panique non sta nella scoperta di un assassino o nelle peripezie di un'inchiesta, quanto piuttosto nell'aver voluto fare un film di "atmosfera sociale". E quindi il quartiere il vero protagonista di questa prima trasposizione del romanzo di Simenon. I diversi abitanti non vengono trattati come semplici comparse, ad essi viene data viva voce, si tratta di un vero microcosmo vivente. L'ambientazione viene preannunciata vocalmente (lo strillone che vende «Paris-soir») e visivamente (l'insegna dell'autobus che ne designa la destinazione, Villejuif) prima che mostrata attraverso campi lunghi e totali, peraltro assai numerosi. Imbevuto del nero pessimismo del dopoguerra Panique presenta un paesaggio umano spietato, che condanna M. Hire in base alle sole apparenze. Il protagonista si trova inoltre al centro di una vera congiura narrativa. M. Hire appare predestinato alla morte in quanto dotato di un carattere ambiguo. Cinico e poco simpatico, il personaggio interpretato da Michel Simon è dotato di una doppia identità, M. Hire/dottor Varga venditore di illusioni. Condannato il suo protagonista per i suoi difetti caratteriali (il sostanziale rifiuto di adeguarsi alle norme della comunità), Duvivier lo pone costantemente al di sotto di linee oblique che si incrociano. La direzione obliqua (direzione dello sguardo che Hire pone su Alice) è infatti predominante. E la scenografia stessa a condurre verso un apice, il punto di incontro di linee direttive divergenti, la soluzione irrimediabile. M. Hire è condannato a salire quelle scale dall'alto delle quali troverà la morte in un finale che diverge leggermente (ma necessariamente) da quello di Simenon. M. Hire cade dal tetto e si schianta nella piazza al centro della folla, laddove Simenon riserva al suo "eroe" una morte più dolce ma più beffarda (raggiunto dai pompieri, Hire muore per arresto cardiaco). Alice rimane un personaggio unidimensionale, apertamente negativo e senza scrupoli, agito unicamente dal suo amore per Alfred. La folla, divisa negli interessi, si riunisce nel comune intento di purgare la comunità dal male che la minaccia (Hire). Villejuif funziona nel film di Duvivier come riduzione cellulare della città. (…)
Gianmarco Del Re, Cineforum n. 323, 4/1993

Critica (3):

Critica (4):
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