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Simón del deserto - Simón del desierto


Regia:Buñuel Luis

Cast e credits:
Soggetto: Luis Buñuel; sceneggiatura: Luis Buñuel, Julio Alejandro; fotografia: Gabriel Figueroa; musica: Raúl Lavista; suono: James L. Fields; montaggio: Carlos Savage; interpreti: Claudio Brook (Simón), Silvia Pinal (il diavolo), Hortensia Santovena (madre di Simón), Enrique García, Alvarez (frate Matias), Enrique de Castillo (lo storpio), Francisco Reiguera (Diavolo travestito da strega), Jesús Fernéndez, Luis Aceves Castañeda,, Antonio Bravo, Eduardo McGregor, Enrique Alvarez Felix; produzione: Gustavo Alatriste; origine: Messico, 1964); durata: 40'..

Trama:V secolo d.C. Simón è un anacoreta che vive da anni sulla sua colonna in mezzo al deserto siriano. Lì accanto sua madre costruisce una capanna per sé. Simón"restituisce" le mani a un mutilato, è venerato dalla gente come un santo, ed è continuamente tentato dal "maligno" che gli si presenta con le sembianze di una donna. Riuscito sempre a respingere la tentazione, infine un giorno, all'improvviso, un aereo lo trasporta dal V secolo al XX, in piena New York, in un night club in cui Simón segue assente, dubbioso, il ritmo sfrenato delle danze.

Critica (1):[...] Nel 1964, Alatriste mi offrì la possibilità di realizzare in Messico un film sul personaggio straordinario di San Simone stilita, quell'eremita del IV secolo che passo più di quarant'anni in cima a una colonna in un deserto siriano. Ci pensavo da parecchio tempo, dagli anni della Residenza, quando Lorca, mi aveva fatto leggere la leggenda aurea. Rideva di cuore leggendo che le defecazioni dell'eremita, lungo la colonna, sembravano colate di cera su una candela. In realtà, dato che si nutriva solo di qualche foglia d'insalata che gli spedivano su dentro a un paniere, i suoi escrementi dovevano sembrare caccole di capra piuttosto. (...)
Scrissi una sceneggiatura completa, per un lungometraggio. Sfortunatamente, Alatriste ebbe qualche problema finanziario durante la lavorazione per cui dovetti tagliare il film a metà. Avevo previsto una scena sotto la neve, dei pellegrinaggi e perfino una visita (storica) dell'imperatore di Bisanzio. Dovetti togliere tutto e questo spiega il finale un po' brusco, e precipitoso.
Così com'è, ha vinto cinque premi al festival di Venezia, cosa mai capitata a nessun altro dei miei film. Aggiungo che nessuno andò a riceverli.
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Milano, Rizzoli.

Critica (2):[...]J. de la Colina - Simón del deserto mi ricorda in qualche modo La tentazione di Sant'Antonio. Però con l'aggiunta dell'umorismo.
B. - Sì, c'è qualcosa di umor nero ... Negroide se preferisce. Però solo delle tracce sparse, perché in realtà il personaggio mi commuove. Mi piace molto la sua sincerità, il suo disinteresse, la sua innocenza. Per esempio: arriva un monaco ad avvisarlo che i barbari stanno avanzando, parlando di diverse cose e fra queste della nozione di proprietà. "Cos'è la proprietà?" chiede Simon. "La proprietà è ciò che sia tuo." Simón non capisce. "Ti faccio un esempio", dice l'altro. "Supponiamo che questo bastone sia tuo. Bene adesso te lo porto via." E Simón "Molto bene, prendilo con te." L'altro è sconcertato: "No, no! tu devi protestare perché te l'ho preso." "Perché? Prendilo con te." Simón non sa né capisce cosa sia la proprietà. È più innocente di un bambino perché il bambino si attaccherebbe all'oggetto. Simón non ha bisogno che dell'aria, di un po' d'acqua e di lattuga. È libero e lo sarebbe anche in una segreta. Lo stesso Robinson - e qui c'è una differenza con Simón - non è libero, perché ha un angoscioso bisogno di compagnia.
T. P. Turrent - Con la sua libertà e la mancanza del senso della proprietà, il suo isolamento dall`establishment", Simón è come un autentico hippy.
B. - Gli hippies potrebbero nominarlo loro santo protettore e portare medagliette con la sua effigie. Però voi potete vedere che in questa epoca gli hippies sono "falliti". E molti di loro sono affascinati dal rumore, dal rock, dalla chitarra elettrica e da altre cose demoniache.
T. P. T. - Esattamente il diavolo lo porta nel XX secolo e lo conduce in una rumorosa discoteca. Perché?
B. - Non so. Ricordatevi che non è un film concluso: nell'idea originale dovevano succedere molte altre cose, ma finirono i soldi e dovetti farne un mediometraggio. Simón doveva finire su una colonna più alta, di venti metri, davanti al mare, dove arrivavano i Gerarchi della Chiesa. Ho girato solo per diciotto giorni. Siccome la storia rimaneva a metà ho cercato un finale che non fosse Simón che pregava sulla sua colonna, dato che questo lo avevamo già visto per troppo tempo. Ero interessato a conoscere la reazione che avrebbe avuto Simón nell'entrare in contatto col "mondo". Però risultò dubbia.
T P T. - Ma perché torna in questo "mondo"; nel XX secolo?
B. - Non so.
J. de la C. - Forse perché il nostro tempo è dissacrato.
B. - In effetti oggi il sacro conta molto poco. Per quanto non siamo credenti possiamo sentire ciò come una perdita. Un pover'uomo cattolico del Medioevo sentiva che la sua vita, per quanto potesse essere dura (penso soprattutto a un taglialegna nel punto più profondo di un bosco), aveva un senso, faceva parte di un ordine spirituale. Per quest'uomo la volontà e lo sguardo di Dio erano ovunque. Viveva "con Dio". Non era come un orfano. La fede gli dava una forza interiore tremenda. Pensate, Gilles de Rais - di cui mi avrebbe fatto piacere filmare la vita se non fosse stato per problemi di "ricostruzione storica" -, questo depravato assassino, era al tempo stesso un devoto credente, era stato compagno d'armi di Giovanna D'Arco. Quando si scoprirono i suoi crimini e fu condannato chiese perdono sinceramente davanti al popolo. E questo è lo straordinario: molta gente, inclusi i genitori dei bambini che aveva assassinato, violentato, torturato, piangevano con lui, lo compativano. Che epoca invidiabile! (...)
J. de la C. - Gilles de Rais e Sade da un lato; Simón e Nazarín dall'altro. Il santo e il criminale. Sono due poli magnetici per lei.
B. - Sì, mi interessano più della vita di un impiegato ... o di quella di un artista geniale. (...)
J. de la C. - Lei molte volte si è definito materialista.
B. - E lo sono. Da quando ho perso la fede. E perché non mi è possibile trovarvi rimedio. Forse non sempre mi piace esserlo.
J. de la C. - A ciò volevo arrivare. Nel film c'è almeno un vero miracolo: l'uomo mutilato che subito riacquista le sue mani.
B. - Sì, è un miracolo, però lì nessuno dei presenti gli dà importanza. È come succede oggi con i miracoli di Lourdes, a cui nessuno fa caso e sono considerati quasi routine. E neanche l'uomo che riceve il miracolo gli dà importanza. Qual'è la prima cosa che fa con le sue mani miracolate? Dà un ceffone a sua figlia: "Su bambina, andiamo a casa!" Probabilmente l'uomo pensa: "è un santo miracoloso, è naturale che mi abbia fatto un miracolo".
in José de la Colina, Tomás Pérez Turrent, Buñuel por Buñuel

Critica (3):

Critica (4):
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