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Borg McEnroe


Regia:Metz Janus

Cast e credits:
Sceneggiatura: Ronnie Sandahl; fotografia: Niels Thastum; musiche: Jonas Struck, Vladislav Delay; montaggio: Per Sandholt, Per K. Kirkegaard; scenografia: Lina Nordqvist; costumi: Kicki Ilander; effetti: Alexander Hansson, Torbjörn Olsson; interpreti: Shia LaBeouf (John McEnroe), Sverrir Gudnason (Björn Borg), Stellan Skarsgård (Lennart Bergelin), Tuva Novotny (Mariana Simionescu), David Bamber (George Barnes), Jane Perry (Kay McEnroe), Claes Ljungmark (Mats Hasselqvist), Robert Emms (Vitas Gerulaitis), Demetri Goritsas (Peter), Jackson Gann (John McEnroe bambino), Björn Granath (Bengt Grive), Scott Arthur (Peter Fleming), Peter Hosking (Umpire Connors), Mats Blomgren (Rune Borg), Thomas Hedengran (Lennart Hyland), Val Jobara (Ille Nastase), Christopher Wagelin (Ulf Nordal), Tom Datnow (Jimmy Connors), Leo Borg (Björn Borg bambino), Dan Anders Carrigan (Ove Bengtsson), Lucy Ter-Berg (Bianca Jagger), Julia Marko-Nord (Margareta Borg), Jason Forbes (Arthur Ashe); produzione: Sf Studios Production Ab, Danish Film Institute, Film Väst, Finnish Film Foundation, Nordisk Film, Nordisk Film- & Tv-Fond, Sf Studios, Svt, Swedish Film Institute, Yellow Film & Tv; distribuzione: Lucky Red in associazione con 3 Marys Entertainment, Sky Cinema; origine: Svezia-Danimarca-Finlandia, 2017; durata: 100'.

Trama:Ambientato tra gli anni Settanta e Ottanta racconta una delle più grandi rivalità della storia dello sport, quella tra lo svedese Björn Borg e l'americano John McErnoe due atleti che hanno fatto la storia del tennis mondiale. Due uomini molto diversi tra loro, che si sono dati battaglia dentro e fuori dal campo e che hanno dato vita alla mitica finale di Wimbledon del 1980.

Critica (1):Chi erano Björn Borg e John McEnroe? Per capirlo davvero bisogna tornare al 1980, a quella straordinaria finale di Wimbledon (decisa in 5 set dopo il drammatico tie-break del 4° set conclusosi 18-16 per l’americano) che, in un modo o nell’altro, segnò la carriera di due tennisti passati alla storia.
Il film del danese Janus Metz (...) parte da quel match (che metteva di fronte il numero 1 e il numero 2 del ranking mondiale) per compiere poi un percorso a ritroso andando in cerca del come, e del perché, lo svedese Björn e l’americano John diventarono in seguito Borg e McEnroe.
Il glaciale, controllato, sciamanico IceBorg (mai soprannome fu più azzeccato) da una parte, l’iracondo e selvaggio riccioluto moro dall’altra: la compostezza e l’eleganza vs. l’esplosività e l’incubo di ogni arbitro del circuito internazionale.
Ma la visione di superficie, come tante altre volte il cinema ha saputo dimostrare, molto spesso limita la comprensione delle cose. E allora si torna alla prima giovinezza di Borg, a quell’incapacità di gestire la rabbia che lo porta dapprima ad essere allontanato dal circolo in cui si stava formando come tennista per poi trovare in Lennart Bergelin (Stellan Skarsgård), allora capitano della Squadra svedese di Coppa Davis poi suo allenatore personale, il mentore capace di instradarlo verso la gloria, a partire già dal 1972 quando, appena 15enne, sconfisse il neozelandese Onny Parun.
Sorta di Jesus Christ Superstar in calzoncini, primo vero divo di uno sport che solamente negli anni successivi (forse proprio grazie a lui e all’accesa contrapposizione – soprattutto mediatica – con l’antitetico McEnroe) iniziò a sfornare talenti capaci di far parlare di sé anche al di fuori del rettangolo di gioco, Borg ha gestito per anni le pressioni arrivando a quella finale del 1980 dovendo affrontare non solo il suo avversario, ma anche la miriade di demoni interiori che Bergelin e la futura moglie (l’ex tennista rumena Mariana Simionescu, interpretata Tuva Novotny) non sempre riuscivano a mitigare.
“Giocava a tennis come se da questo dipendesse la propria vita”, in fondo, ed è proprio questo aspetto a renderlo poi non così dissimile da McEnroe, all’epoca giovanissimo (21 anni, contro i 24 di Borg), indiscutibile talento che osò mettere in discussione la supremazia incontrastata dello svedese sul terreno di Wimbledon, torneo che si apprestava a vincere per la quinta volta consecutiva (primo tennista a riuscirci nell’era Open, record poi eguagliato da Federer, che lo vinse ininterrottamente dal 2003 al 2008).
Interpretati (bene) da Sverrir Gudnason e Shia LaBeouf, i due contendenti si ritrovano sullo schermo in questa sorta di Rush howardiano: lì a sfrecciare erano i bolidi pilotati da Niki Lauda e James Hunt (altra rivalità sportiva passata alla storia e, naturalmente, raccontata al cinema); qui, oltre alla pallina gialla, a (s)correre velocemente sono le immagini e gli stati d’animo di due campioni solitari destinati a cambiare per sempre le sorti – non solo prettamente sportive – del tennis.
E la sceneggiatura di Ronnie Sandahl insiste proprio su questo, su una dicotomia apparentemente così lampante da non essere poi così realmente netta. Perché essere al di qua o al di là della linea, spesso e volentieri, è davvero una questione di millimetri.
Valerio Sammarco, cinematografo.it, 3/11/2017

Critica (2):“Deve sentirsi l’uomo più solo di questo cazzo di pianeta”. A parlare così è Vitas Gerulaitis, tennista e forse più ancora playboy. Si sta godendo la vita in discoteca. Davanti a lui c’è John McEnroe. L’argomento, come sempre, è Bjorn Borg. Sta per cominciare Wimbledon 1980 e lo svedese è obbligato a vincere per il quinto anno consecutivo. “Borg non è una macchina. E’ un vulcano che si tiene tutto dentro, finché non esplode”. Gerulaitis non ha mai battuto Borg, ma evidentemente lo conosceva bene.
Borg McEnroe è uno dei migliori film di sport mai girati. Diretto da Janus Metz Pedersen, è stato prodotto in Svezia, Danimarca e Finlandia. Gli attori sono splendidi, su tutti Sverrir Gudnason (identico a Borg) e l’irrequieto Shia LaBeouf (un McEnroe credibilissimo). Tutto funziona, dalla capacità di scavare nella psiche dei due duellanti – così diversi e così simili – alla ricostruzione di quegli anni. Anche le sequenze tennistiche sono incredibili, a partire dal tiebreak del quarto set in finale: lo vinse McEnroe 18-16, e fu la prima volta che il pubblico non americano lo applaudì, ma l’incontro lo vinse Borg al quinto. È un film che ricorda da vicino Rush, il capolavoro di Ron Howard che seppe raccontare la sfida tra Hunt e Lauda: se al primo sostituite McEnroe e al secondo Borg, non cambia molto. Ed è un complimento. C’è il dramma, c’è l’amicizia. C’è la sfida perfetta: c’è quella cosa che a volte nello sport accade e si chiama “epica”.
Il film, anzitutto, restituisce lo spaesamento di Borg. Lo fa sin dall’inizio, quando Borg è in cima al grattacielo della sua casa a Monaco, e quando si sporge dalla terrazza non capisci – non lo capisce neanche lui – se stia allenando i bicipiti o se pensi al suicidio. Comincia a camminare nel centro della cittadina monegasca, tutti lo riconoscono e si rifugia in un bar. Il barista non sa chi sia e gli domanda il nome: “Mi chiamo Ruhne, faccio l’elettricista. È un bel lavoro, un lavoro normale”. Ruhne è il nome del padre di Borg. Elettricista, appunto. Prima di assurgere a macchina, Borg era uno sfasciaracchette non meno di McEnroe. Infatti, nel rivale, si rivede. Lo stima. Addirittura, nella finale, lo stimola a non smarrirsi: “Stai tranquillo, è una bella partita, pensa solo a giocare”. (…)
Andrea Scanzi, ilfattoquotidiano.it, 31/1072017

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